Tesi etd-01082019-190309 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
MARTORELLA, LINDA
URN
etd-01082019-190309
Titolo
Le mutazioni "de novo" del gene RET nelle MEN 2B:
ipotesi eziopatogenetiche e nuove prospettive chirurgiche
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Spinelli, Claudio
Parole chiave
- de novo mutations
- medullary thyroid cancer
- MEN 2B
Data inizio appello
29/01/2019
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
29/01/2089
Riassunto
La MEN 2B è rara sindrome endocrina tumorale associata alla precoce insorgenza di carcinoma midollare della tiroide (MTC), lo sviluppo di feocromocitoma approssimativamente nel 50% dei pazienti e la presenza di caratteristiche extra-endocrine che compaiono durante l’infanzia. L’incidenza stimata è di 1,65 casi su 1 milione di nati vivi/anno. È inoltre la più rara di tutte le sindromi MEN 2 (5%). Per questo rimane mal descritta in letteratura, a distanza di 50 anni dalla sua prima descrizione.
La sindrome è causata da una mutazione germinale attivante, a carico del protooncogene RET (REarranged during Transfection) che codifica per un recettore transmembrana ad attività tirosin-chinasica coinvolto in diversi processi cellulari. Tale mutazione viene trasmessa con meccanismo autosomico dominante.
Esiste una stretta correlazione tra genotipo e fenotipo per cui, sulla base della specifica mutazione codonica di RET, le manifestazioni cliniche e l’aggressività del MTC stesso variano. Nella quasi totalità dei casi di MEN 2B la mutazione avviene a carico del codone 918 dell’esone 16 e consiste nella sostituzione di una metionina con una treonina (M918T); questa risulta essere associata ad una maggiore aggressività e ad una insorgenza molto precoce del MTC.
Come indicato dalle linee guida ATA l’unica strategia terapeutica risolutiva per questa categoria di pazienti, definita ad alto rischio, è la tiroidectomia profilattica eseguita entro il primo anno di vita nel paziente risultato positivo al test genetico di screening. L’intervento da eseguire consiste in una tiroidectomia totale associata allo svuotamento del compartimento linfonodale centrale e, in caso di necessità, anche di quello latero-cervicale.
Il test genetico rappresenta, quindi, un presidio diagnostico importante perché consente, in caso di anamnesi familiare positiva, di individuare precocemente i soggetti portatori di mutazione e di attuare così una adeguata e tempestiva strategia chirurgica, a scopo profilattico.
Più del 90% delle mutazioni M918T di RET sono germinali de novo, quindi si presentano come casi isolati. In assenza di un membro della famiglia affetto, lo screening di RET per le mutazioni germinali non è utile. Inoltre, per la rarità dei portatori di tale mutazione nella popolazione generale, lo screening random non è conveniente. Per questo motivo, i pazienti con MEN 2B sono di solito identificati già affetti da MTC ad uno stadio più avanzato rispetto ai pazienti con MEN 2A, ad un momento in cui spesso il tumore non è più curabile. MTC quindi risulta essere la maggiore minaccia per la sopravvivenza a lungo termine dei pazienti con MEN 2B, determinandone la prognosi. Ci sono una serie di segni e sintomi non-endocrini che rappresentano dei tratti fenotipici caratteristici. Tra questi sono stati identificati sia problematiche neonatali che pediatriche relativamente comuni che, in combinazione, dovrebbero destare sospetto alla valutazione. Essenzialmente, tutti i pazienti con MEN 2B mostrano uno o più di questi sintomi dal momento che MTC è diagnosticato. Il riconoscimento precoce delle MEN 2B rimane comunque una sfida per i medici, perché molti dei tratti fenotipici caratteristici si sviluppano gradualmente nel tempo in modo età-dipendente.Il nostro studio pone l’attenzione sui pazienti de novo in quanto presentano una serie di problemi diagnostico-terapeutici che inevitabilmente si riflettono sull’efficacia delle strategie chirurgiche attualmente disponibili e sulla prognosi degli stessi pazienti.
Nella prima parte della tesi, costituita da un unico capitolo, ci siamo occupati di fornire al lettore tutti gli strumenti utili alla comprensione dello studio, fornendo informazioni sulla tiroide e sul surrene, principali organi coinvolti dalla sindrome, sul carcinoma midollare della tiroide sviluppandolo in tutti i suoi aspetti, e ponendo l’attenzione sugli aspetti clinici peculiari e sui meccanismi genetici- molecolari sottostanti la malattia e sul feocromocitoma. Infine, abbiamo descritto l’iter diagnostico e il trattamento chirurgico.
La seconda parte della tesi consiste nel nostro studio basato sull’osservazione di 7 pazienti, 6 femmine e 1 maschi, di età inferiore/uguale ai 25 anni, affetti da MEN 2B de novo, durante il periodo che va dal mese di Gennaio 1984 al mese di Dicembre 2018, diagnosticati e sottoposti ad intervento chirurgico di tiroidectomia presso il nostro presidio ospedaliero.
Tali soggetti sono stati valutati dal punto di vista clinico, istopatologico, laboratoristico, strumentale e molecolare.
Lo scopo dello studio è valutare l’adesione da parte dei clinici e delle famiglie alle recenti linee guida, l’analisi delle caratteristiche cliniche, anatomo-patologiche e molecolari, l’efficacia della tiroidectomia curativa, unica strategia terapeutica applicabile, l’outcome a lungo termine, l’analisi delle modalità e del timing della diagnosi, l’analisi delle differenze tra le forme de novo di MEN 2B e quelle in cui la mutazione è trasmessa per via ereditaria e, infine, la formulazione di una ipotesi circa la possibile causa eziopatogenetica.
I risultati dello studio hanno dimostrato come in tutti i pazienti con mutazione de novo, e che presentavano la mutazione M918T, la diagnosi è infatti avvenuta tardivamente, quando il MTC era già presente e in stadio avanzato, indipendentemente dal fattore che ha portato alla formulazione dell’ipotesi diagnostica, in quanto nessun paziente è stato sottoposto al test genetico di screening. Di conseguenza tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un intervento non a scopo profilattico ma bensì curativo. L’età media al momento dell’intervento è stata di 14,4 anni, ben più tardivamente rispetto a quanto indicherebbero le linee guida ATA.
È stata eseguita una tiroidectomia totale con svuotamento del comparto centrale in tutti i pazienti, associata a svuotamento del compartimento latero-cervicale nell’85,7% dei pazienti.
Dall’analisi istopatologica è emerso che tutti i pazienti presentavano un MTC in stadio IV, presentando una malattia metastatica a livello linfonodale e nel 14,3% anche secondarismi a livello polmonare già alla diagnosi. Il 100% dei pazienti presentava un MTC multifocale.
Essendo tardivo, il trattamento chirurgico non ha raggiunto lo scopo curativo: tutti i pazienti presentavano livelli sierici di calcitonina persistentemente elevati dopo l’intervento e di conseguenza sono andati incontro ad un outcome sfavorevole.
Il 71,4% (5 pazienti) è andato incontro a progressione di malattia e tra questi il 40% è deceduto, considerando un follow-up medio di 5,8 anni.
Il restante 28,6% è stato seguito per un follow-up medio di 7 mesi e risulta stabile. Tale periodo di follow-up risulta però troppo breve per definire tali pazienti come “guariti”.
Ne consegue che il riconoscimento precoce di uno o più dei sintomi correlati alla sindrome è l’unica chance per una chirurgia curativa.
Tutti i pazienti presentavano segni/sintomi non endocrini associati alla MEN 2B. Purtroppo, nel nostro studio, solo in 1 paziente si è giunti alla diagnosi grazie alla presenza di caratteristiche cliniche non endocrine, e comunque in nessun caso è stato eseguito un intervento chirurgico prima dei 4 anni.
I dati ottenuti dal nostro studio confermano quanto emerso dall’analisi della letteratura, riguardo tutte le caratteristiche prese in esame.
Alla luce dei risultati ottenuti dal nostro studio, possiamo affermare che in ragione del fatto che le forme de novo presentano sì una maggiore aggressività rispetto alle forme familiari ma che al momento non ci sono evidenze che mettano in relazione tale aggressività ad ulteriori caratteristiche intrinseche piuttosto che al tipo di mutazione del gene RET da cui sono causate, le indicazioni riportate dalle attuali linee guida si confermano le uniche strategie chirurgiche attualmente disponibili.
Le prospettive future sono quelle di anticipare sempre di più il timing dell’intervento, tramite la sensibilizzazione dei pediatri, il cui ruolo risulta cruciale nel riconoscimento delle caratteristiche non-endocrine, e la speranza di poter arrivare ad effettuare una chirurgia profilattica anziché curativa, una volta chiariti gli aspetti eziopatogenetici, ad oggi non del tutto noti, circa l’insorgenza delle mutazioni de novo.
La parte conclusiva del nostro studio, a tale proposito, si è posta l’obbiettivo di ricercare evidenze circa una possibile causa eziopatogenetica alla base dell’insorgenza delle mutazioni de novo di RET.
Sono state principalmente analizzati due aspetti, che si sono presentati nel 75% o più dei pazienti portatori di mutazione de novo, e che sono in linea con i dati disponibili in letteratura: l’età paterna avanzata al momento del concepimento (presente nel 100% dei pazienti) e la residenza in aree inquinate (nel 75% dei pazienti).
L’età media dei padri al momento del concepimento è risultata di 38 anni e 9 mesi.
Tali evidenze depongono a favore di una possibile patogenesi multifattoriale nell’insorgenza delle mutazioni de novo di RET, dove il ruolo dell’età paterna avanzata sembra essere centrale, conformemente a quanto disponibile in letteratura, affiancato da un possibile contributo fornito dall’esposizione ambientale cronica ad agenti chimici mutageni, dei quali sono già stati studiati gli effetti sulla spermatogenesi.
Data la rarità della sindrome i dati raccolti costituiscono già un risultato degno di nota, anche se per la scarsa numerosità non è stato possibile impostare uno studio analitico statisticamente significativo. La speranza è di poterlo fare in futuro con l’incremento del numero di pazienti.
Ricercare la causa delle mutazioni de novo risulta determinante per poter individuare una strategia terapeutica potenzialmente risolutiva, magari personalizzando il tipo di trattamento per questo tipo di pazienti.
Ci auguriamo che una maggior profusione di sforzi nell’ambito della ricerca possa permettere di arrivare a risultati significativi.
La sindrome è causata da una mutazione germinale attivante, a carico del protooncogene RET (REarranged during Transfection) che codifica per un recettore transmembrana ad attività tirosin-chinasica coinvolto in diversi processi cellulari. Tale mutazione viene trasmessa con meccanismo autosomico dominante.
Esiste una stretta correlazione tra genotipo e fenotipo per cui, sulla base della specifica mutazione codonica di RET, le manifestazioni cliniche e l’aggressività del MTC stesso variano. Nella quasi totalità dei casi di MEN 2B la mutazione avviene a carico del codone 918 dell’esone 16 e consiste nella sostituzione di una metionina con una treonina (M918T); questa risulta essere associata ad una maggiore aggressività e ad una insorgenza molto precoce del MTC.
Come indicato dalle linee guida ATA l’unica strategia terapeutica risolutiva per questa categoria di pazienti, definita ad alto rischio, è la tiroidectomia profilattica eseguita entro il primo anno di vita nel paziente risultato positivo al test genetico di screening. L’intervento da eseguire consiste in una tiroidectomia totale associata allo svuotamento del compartimento linfonodale centrale e, in caso di necessità, anche di quello latero-cervicale.
Il test genetico rappresenta, quindi, un presidio diagnostico importante perché consente, in caso di anamnesi familiare positiva, di individuare precocemente i soggetti portatori di mutazione e di attuare così una adeguata e tempestiva strategia chirurgica, a scopo profilattico.
Più del 90% delle mutazioni M918T di RET sono germinali de novo, quindi si presentano come casi isolati. In assenza di un membro della famiglia affetto, lo screening di RET per le mutazioni germinali non è utile. Inoltre, per la rarità dei portatori di tale mutazione nella popolazione generale, lo screening random non è conveniente. Per questo motivo, i pazienti con MEN 2B sono di solito identificati già affetti da MTC ad uno stadio più avanzato rispetto ai pazienti con MEN 2A, ad un momento in cui spesso il tumore non è più curabile. MTC quindi risulta essere la maggiore minaccia per la sopravvivenza a lungo termine dei pazienti con MEN 2B, determinandone la prognosi. Ci sono una serie di segni e sintomi non-endocrini che rappresentano dei tratti fenotipici caratteristici. Tra questi sono stati identificati sia problematiche neonatali che pediatriche relativamente comuni che, in combinazione, dovrebbero destare sospetto alla valutazione. Essenzialmente, tutti i pazienti con MEN 2B mostrano uno o più di questi sintomi dal momento che MTC è diagnosticato. Il riconoscimento precoce delle MEN 2B rimane comunque una sfida per i medici, perché molti dei tratti fenotipici caratteristici si sviluppano gradualmente nel tempo in modo età-dipendente.Il nostro studio pone l’attenzione sui pazienti de novo in quanto presentano una serie di problemi diagnostico-terapeutici che inevitabilmente si riflettono sull’efficacia delle strategie chirurgiche attualmente disponibili e sulla prognosi degli stessi pazienti.
Nella prima parte della tesi, costituita da un unico capitolo, ci siamo occupati di fornire al lettore tutti gli strumenti utili alla comprensione dello studio, fornendo informazioni sulla tiroide e sul surrene, principali organi coinvolti dalla sindrome, sul carcinoma midollare della tiroide sviluppandolo in tutti i suoi aspetti, e ponendo l’attenzione sugli aspetti clinici peculiari e sui meccanismi genetici- molecolari sottostanti la malattia e sul feocromocitoma. Infine, abbiamo descritto l’iter diagnostico e il trattamento chirurgico.
La seconda parte della tesi consiste nel nostro studio basato sull’osservazione di 7 pazienti, 6 femmine e 1 maschi, di età inferiore/uguale ai 25 anni, affetti da MEN 2B de novo, durante il periodo che va dal mese di Gennaio 1984 al mese di Dicembre 2018, diagnosticati e sottoposti ad intervento chirurgico di tiroidectomia presso il nostro presidio ospedaliero.
Tali soggetti sono stati valutati dal punto di vista clinico, istopatologico, laboratoristico, strumentale e molecolare.
Lo scopo dello studio è valutare l’adesione da parte dei clinici e delle famiglie alle recenti linee guida, l’analisi delle caratteristiche cliniche, anatomo-patologiche e molecolari, l’efficacia della tiroidectomia curativa, unica strategia terapeutica applicabile, l’outcome a lungo termine, l’analisi delle modalità e del timing della diagnosi, l’analisi delle differenze tra le forme de novo di MEN 2B e quelle in cui la mutazione è trasmessa per via ereditaria e, infine, la formulazione di una ipotesi circa la possibile causa eziopatogenetica.
I risultati dello studio hanno dimostrato come in tutti i pazienti con mutazione de novo, e che presentavano la mutazione M918T, la diagnosi è infatti avvenuta tardivamente, quando il MTC era già presente e in stadio avanzato, indipendentemente dal fattore che ha portato alla formulazione dell’ipotesi diagnostica, in quanto nessun paziente è stato sottoposto al test genetico di screening. Di conseguenza tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un intervento non a scopo profilattico ma bensì curativo. L’età media al momento dell’intervento è stata di 14,4 anni, ben più tardivamente rispetto a quanto indicherebbero le linee guida ATA.
È stata eseguita una tiroidectomia totale con svuotamento del comparto centrale in tutti i pazienti, associata a svuotamento del compartimento latero-cervicale nell’85,7% dei pazienti.
Dall’analisi istopatologica è emerso che tutti i pazienti presentavano un MTC in stadio IV, presentando una malattia metastatica a livello linfonodale e nel 14,3% anche secondarismi a livello polmonare già alla diagnosi. Il 100% dei pazienti presentava un MTC multifocale.
Essendo tardivo, il trattamento chirurgico non ha raggiunto lo scopo curativo: tutti i pazienti presentavano livelli sierici di calcitonina persistentemente elevati dopo l’intervento e di conseguenza sono andati incontro ad un outcome sfavorevole.
Il 71,4% (5 pazienti) è andato incontro a progressione di malattia e tra questi il 40% è deceduto, considerando un follow-up medio di 5,8 anni.
Il restante 28,6% è stato seguito per un follow-up medio di 7 mesi e risulta stabile. Tale periodo di follow-up risulta però troppo breve per definire tali pazienti come “guariti”.
Ne consegue che il riconoscimento precoce di uno o più dei sintomi correlati alla sindrome è l’unica chance per una chirurgia curativa.
Tutti i pazienti presentavano segni/sintomi non endocrini associati alla MEN 2B. Purtroppo, nel nostro studio, solo in 1 paziente si è giunti alla diagnosi grazie alla presenza di caratteristiche cliniche non endocrine, e comunque in nessun caso è stato eseguito un intervento chirurgico prima dei 4 anni.
I dati ottenuti dal nostro studio confermano quanto emerso dall’analisi della letteratura, riguardo tutte le caratteristiche prese in esame.
Alla luce dei risultati ottenuti dal nostro studio, possiamo affermare che in ragione del fatto che le forme de novo presentano sì una maggiore aggressività rispetto alle forme familiari ma che al momento non ci sono evidenze che mettano in relazione tale aggressività ad ulteriori caratteristiche intrinseche piuttosto che al tipo di mutazione del gene RET da cui sono causate, le indicazioni riportate dalle attuali linee guida si confermano le uniche strategie chirurgiche attualmente disponibili.
Le prospettive future sono quelle di anticipare sempre di più il timing dell’intervento, tramite la sensibilizzazione dei pediatri, il cui ruolo risulta cruciale nel riconoscimento delle caratteristiche non-endocrine, e la speranza di poter arrivare ad effettuare una chirurgia profilattica anziché curativa, una volta chiariti gli aspetti eziopatogenetici, ad oggi non del tutto noti, circa l’insorgenza delle mutazioni de novo.
La parte conclusiva del nostro studio, a tale proposito, si è posta l’obbiettivo di ricercare evidenze circa una possibile causa eziopatogenetica alla base dell’insorgenza delle mutazioni de novo di RET.
Sono state principalmente analizzati due aspetti, che si sono presentati nel 75% o più dei pazienti portatori di mutazione de novo, e che sono in linea con i dati disponibili in letteratura: l’età paterna avanzata al momento del concepimento (presente nel 100% dei pazienti) e la residenza in aree inquinate (nel 75% dei pazienti).
L’età media dei padri al momento del concepimento è risultata di 38 anni e 9 mesi.
Tali evidenze depongono a favore di una possibile patogenesi multifattoriale nell’insorgenza delle mutazioni de novo di RET, dove il ruolo dell’età paterna avanzata sembra essere centrale, conformemente a quanto disponibile in letteratura, affiancato da un possibile contributo fornito dall’esposizione ambientale cronica ad agenti chimici mutageni, dei quali sono già stati studiati gli effetti sulla spermatogenesi.
Data la rarità della sindrome i dati raccolti costituiscono già un risultato degno di nota, anche se per la scarsa numerosità non è stato possibile impostare uno studio analitico statisticamente significativo. La speranza è di poterlo fare in futuro con l’incremento del numero di pazienti.
Ricercare la causa delle mutazioni de novo risulta determinante per poter individuare una strategia terapeutica potenzialmente risolutiva, magari personalizzando il tipo di trattamento per questo tipo di pazienti.
Ci auguriamo che una maggior profusione di sforzi nell’ambito della ricerca possa permettere di arrivare a risultati significativi.
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