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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-01082011-225220


Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica LC6
Autore
ZULLO, CLAUDIA
URN
etd-01082011-225220
Titolo
Ruolo del bevacizumab nel trattamento del carcinoma colorettale e analisi dei risultati preliminari di safety dello studio randomizzato TRIBE (FOLFIRI + bevacizumab verso FOLFOXIRI + bevacizumab).
Dipartimento
MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Falcone, Alfredo
Parole chiave
  • bevacizumab
  • chemioterapia
  • tumore colorettale
Data inizio appello
25/01/2011
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
25/01/2051
Riassunto

RIASSUNTO

Il carcinoma del colon-retto rappresenta una delle più comuni neoplasie maligne e costituisce la seconda causa di morte per cancro nei paesi industrializzati; nel mondo si registrano circa un milione di nuovi casi e circa mezzo milione di morti l’anno. In Italia nel 2000 si sono verificati circa 30000 nuovi casi e oltre 15000 morti.
La diffusione metastatica della neoplasia costituisce la principale causa di morte nei pazienti affetti da carcinoma del colon-retto. Infatti, sebbene sia possibile eseguire una resezione radicale del tumore primitivo nella maggior parte dei pazienti, un quarto di essi si presenta alla diagnosi con malattia metastatica e un altro 25% svilupperà metastasi nel decorso della malattia; così circa la metà dei pazienti decede per la disseminazione della malattia.
Le opzioni terapeutiche attualmente disponibili per il trattamento del carcinoma del colon-retto metastatico sono: la resezione chirurgica delle metastasi, la chemioterapia e la terapia con farmaci a bersaglio molecolare.
La chirurgia delle metastasi rappresenta ad oggi l’unico presidio terapeutico in grado di ottenere una sopravvivenza a 5 anni nel 30% dei pazienti. Purtroppo solo un 10-20% dei casi di carcinoma del colon-retto metastatico può beneficiare di tale trattamento. Pertanto la terapia medica è ad oggi l’unica opzione terapeutica utilizzabile nella maggior parte dei pazienti. In particolare, ad oggi si possono utilizzare 3 classi di chemioterapici quali 5-fluorouracile/leucovorin (5-FU/LV), irinotecano (CPT-11) e oxaliplatino (L-OHP) e 2 farmaci a bersaglio molecolare (anticorpi monoclonali anti VEGF e anti EGFR).
Relativamente alla chemioterapia, la modalità con cui è utilizzata più routinariamente è la combinazione di due agenti; in particolare si utilizzano doppiette a base di 5-FU infusionale più irinotecano (regime FOLFIRI) o più oxaliplatino (regime FOLFOX).
Una analisi combinata di vari studi randomizzati ha dimostrato che il miglior controllo di malattia si ottiene in quei pazienti che vengono “esposti” a tutti e tre i chemioterapici. Va però notato che il 20-40% dei pazienti principalmente a causa del deterioramento della funzione epatica o del performance status non riceve una chemioterapia di seconda linea. Quindi in una strategia sequenziale non tutti i pazienti sono esposti a tutti e tre gli agenti attivi. Un metodo per esporre il 100% dei pazienti trattati a tutti e tre gli agenti citotossici attivi consiste nell’adottare un regime polichemioterapico di prima linea più intensivo, contenente tutti e tre gli agenti. Inoltre una analisi condotta da Folpercht e coll. dimostra che un regime chemioterapico più attivo incrementa la possibilità di ottenere resezioni radicali delle metastasi successivamente alla chemioterapia.
Sulla base di tali considerazioni, il Gruppo Oncologico del Nord Ovest (G.O.N.O.) ha sviluppato il regime FOLFOXIRI (5-FU infusionale/LV, CPT-11, L-OHP) ed ha dimostrato in uno studio randomizzato di fase III che tale regime è dotato di un profilo di tossicità maneggevole ed è significativamente superiore rispetto ad una doppietta standard come FOLFIRI in termini di attività e di efficacia: infatti, FOLFOXIRI ha incrementato significativamente il tasso di risposta, gli interventi chirurgici R0 sulle metastasi (15% vs 6%, in tutti i 244 pazienti dello studio; 36% vs 12%, nei pazienti con metastasi confinate al fegato), la sopravvivenza mediana libera da progressione (9,9 mesi vs 6,9 mesi), e la sopravvivenza globale mediana.
Il bevacizumab (BV) è un anticorpo monoclonale chimerico diretto contro il Vascular Endothelial Growth Factor (nello specifico VEGF-A). Il legame di VEGF con il recettore ne determina l’attivazione mediante fosforilazione e, di conseguenza, l’innesco di una serie di eventi a cascata che promuovono in senso positivo il processo di neoangiogenesi. Il bevacizumab è in grado, legandosi in modo specifico al VEGF-A, di impedirne il legame con il recettore e di inibire quindi, in definitiva, il processo neoangiogenetico. Molteplici studi hanno dimostrato che l’aggiunta di bevacizumab alle doppiette di chemioterapici convenzionali incrementa l’efficacia del trattamento, con peraltro una tossicità maneggevole.
A seguito di tali evidenze, l’U.O. di Oncologia Medica dell’Ospedale di Livorno ha promosso nell’ambito del G.O.N.O. uno studio di fase II volto a valutare la combinazione di bevacizumab con il regime FOLFOXIRI semplificato come trattamento di prima linea per pazienti con carcinoma del colon retto metastatico inizialmente non resecabile. Lo studio ha dimostrato che tale combinazione è sicura, non incrementa le tossicità attese e non causa eventi avversi imprevisti. Si è quindi considerato questo regime meritevole di un confronto in uno studio di fase III con un regime terapeutico standard come FOLFIRI in associazione a bevacizumab. Nel presente studio di fase III multicentrico sono stati arruolati, al momento della presente analisi preliminare di sicurezza, 268 pazienti con carcinoma colorettale metastatico giudicati non suscettibili di resezione chirurgica delle metastasi. L’obiettivo primario di questo studio è di valutare la sopravvivenza libera da progressione; quelli secondari sono il tasso di risposta globale, la durata della risposta, la resezione R0 delle metastasi, la sopravvivenza globale, il profilo di sicurezza e i potenziali markers predittivi di attività del bevacizumab. Per quanto riguarda l’obiettivo di questa analisi ad interim, è quello di valutare la sicurezza tra i primi 150 pazienti arruolati: 74 nel braccio FOLFIRI + bevacizumab e 76 pazienti nel braccio FOLFOXIRI + bevacizumab.
Analizzando i risultati fino ad ora ottenuti si può affermare che entrambi i regimi si sono dimostrati fattibili e con tossicità maneggevoli: infatti non si è verificata un’incidenza superiore a quelle attese delle principali tossicità e non ci sono state tossicità inattese.
Le principali tossicità di grado 3-4 che si sono osservate sono la diarrea e la neutropenia non febbrile, peraltro con percentuali significativamente diverse tra i due bracci di studio. Infatti la diarrea si presenta nel 20% dei pazienti sottoposti al regime FOLFOXIRI + bevacizumab contro l’8% dei pazienti sottoposti a FOLFIRI + bevacizumab. La neutropenia non febbrile si presenta nel 14% dei pazienti del primo gruppo contro il 47% dei pazienti del secondo gruppo. Le altre tossicità di grado 3-4 da sottolineare sono la stomatite, l’astenia, la neutropenia febbrile e la trombosi venosa. Queste si presentano tutte con un’ incidenza simile tra i due bracci di trattamento e con percentuali che non superano il 9% . È da notare come l’aggiunta di bevacizumab comporti il verificarsi di eventi avversi caratteristici e specifici dei farmaci ad azione antiangiogenetica, quali l’ipertensione arteriosa, la proteinuria ed i sanguinamenti, raramente osservati con i trattamenti chemioterapici tradizionali: l’incidenza e la gravità di tali tossicità però non sembrano (nel precedente studio di fase II e nella presente analisi preliminari dello studio di fase III) tali da inficiare la buona tollerabilità di regimi chemioterapici di combinazione più intensivi.












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