Tesi etd-01072020-095140 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
DE MICHELE, COSTANZO
URN
etd-01072020-095140
Titolo
Il principio di inerenza nel reddito d'impresa e nell'imposta sul valore aggiunto
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Bellé, Brunella
Parole chiave
- inerenza
- iva
- reddito d'impresa
Data inizio appello
04/02/2020
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
04/02/2090
Riassunto
L’inerenza si può definire come un giudizio di relazione tra due elementi tale che, in caso di vaglio positivo, l’uno sarà inerente all’altro.
Contestualizzando tale affermazione, l’inerenza verrà affrontata nei primi tre capitoli della presente trattazione, senza pretesa di esaustività, nella sua veste di principio volto a determinare l’imponibile nel reddito d’impresa.
Nel primo capitolo l’attenzione si concentrerà innanzitutto su quali sono i principi che, insieme con l’inerenza, portano alla determinazione del reddito d’impresa. L’esplicazione degli stessi pare, infatti, necessaria per una più puntuale collocazione sistematica del principio di inerenza. Quest’ultimo verrà poi analizzato singolarmente nella sua evoluzione storica, dalla legge n. 1830 del 1864, che istituiva l’imposta sulla ricchezza mobile, fino al d.p.r. 917/1986 (il testo unico delle imposte sui redditi, abbreviato in TUIR). Sarà esaminata, in conclusione, l’annosa questione relativa alla possibilità di individuare nel TUIR (e in particolare nell’articolo 109, comma 5) la fonte del principio di inerenza per la determinazione del reddito d’impresa: a tal proposito saranno analizzate le posizioni di dottrina, prassi e giurisprudenza.
Proseguendo nella trattazione, nel secondo capitolo l’attenzione si sposterà sull’inquadramento costituzionale del principio di inerenza e sul suo rapporto con il principio di capacità contributiva. Quest’ultimo è espresso dall’articolo 53 della Costituzione e, secondo la Consulta, la capacità contributiva consiste essenzialmente nella disponibilità di una ricchezza personale, attuale, effettiva e che ecceda il c.d. “minimo vitale” . Dopo aver assodato l’impossibilità di qualificare l’inerenza come un principio di rango costituzionale, sarà esaminato in che misura si possa configurare la stessa come una proiezione del principio costituzionale di capacità contributiva: un reddito d’impresa tassato al lordo dei costi sostenuti per produrlo implicherebbe, infatti, la tassazione di un’entità fittizia.
Dopo aver inquadrato storicamente e costituzionalmente il principio di inerenza, il terzo capitolo si occuperà dei profili problematici che il giudizio di relazione dell’inerenza comporta. Il reddito d’impresa, come chiaramente evincibile dal complemento di specificazione, è prodotto da un imprenditore, la cui libertà di iniziativa economica è direttamente tutelata dall’articolo 41 del Testo Costituzionale. Alla luce di tale libertà costituzionalmente garantita, verrà esaminata la prassi dell’Amministrazione Finanziaria di rettificare in aumento il reddito dichiarato qualora un costo sia giudicato non inerente a causa della non congruità dello stesso. Sintomo della non congruità è la supposta antieconomicità della posta, tema sul quale si esamineranno anche le posizioni di dottrina e della più recente giurisprudenza. L’analisi si sposterà poi sulla prova nel giudizio di inerenza, ossia su quale sia il contenuto della prova in tale peculiare giudizio e su chi gravi l’onere di provare l’inerenza di un costo. In conclusione di capitolo verranno affrontate delle fattispecie problematiche: l’inerenza degli atti gratuiti e dei costi da reato. La trattazione sarà arricchita, infine, da una comparazione con il modello statunitense.
Da ultimo, la trattazione si soffermerà su un oggetto diverso dal reddito d’impresa, ovvero l’imposta sul valore aggiunto. Dopo una breve disamina dell’evoluzione storica e della struttura di tale tributo, l’attenzione si sposterà sull’inerenza. Le peculiarità che l’inerenza nell’Iva comporta saranno affrontate prima in connessione con il principio di neutralità del tributo e poi dal punto di vista della detrazione fiscale, sebbene questi due profili non possano essere scissi in maniera netta. Ricordiamo infatti che il sistema delle detrazioni è, in ogni caso, volto a garantire la neutralità dell’IVA e la Corte di Giustizia ha sostenuto questo principio .
Contestualizzando tale affermazione, l’inerenza verrà affrontata nei primi tre capitoli della presente trattazione, senza pretesa di esaustività, nella sua veste di principio volto a determinare l’imponibile nel reddito d’impresa.
Nel primo capitolo l’attenzione si concentrerà innanzitutto su quali sono i principi che, insieme con l’inerenza, portano alla determinazione del reddito d’impresa. L’esplicazione degli stessi pare, infatti, necessaria per una più puntuale collocazione sistematica del principio di inerenza. Quest’ultimo verrà poi analizzato singolarmente nella sua evoluzione storica, dalla legge n. 1830 del 1864, che istituiva l’imposta sulla ricchezza mobile, fino al d.p.r. 917/1986 (il testo unico delle imposte sui redditi, abbreviato in TUIR). Sarà esaminata, in conclusione, l’annosa questione relativa alla possibilità di individuare nel TUIR (e in particolare nell’articolo 109, comma 5) la fonte del principio di inerenza per la determinazione del reddito d’impresa: a tal proposito saranno analizzate le posizioni di dottrina, prassi e giurisprudenza.
Proseguendo nella trattazione, nel secondo capitolo l’attenzione si sposterà sull’inquadramento costituzionale del principio di inerenza e sul suo rapporto con il principio di capacità contributiva. Quest’ultimo è espresso dall’articolo 53 della Costituzione e, secondo la Consulta, la capacità contributiva consiste essenzialmente nella disponibilità di una ricchezza personale, attuale, effettiva e che ecceda il c.d. “minimo vitale” . Dopo aver assodato l’impossibilità di qualificare l’inerenza come un principio di rango costituzionale, sarà esaminato in che misura si possa configurare la stessa come una proiezione del principio costituzionale di capacità contributiva: un reddito d’impresa tassato al lordo dei costi sostenuti per produrlo implicherebbe, infatti, la tassazione di un’entità fittizia.
Dopo aver inquadrato storicamente e costituzionalmente il principio di inerenza, il terzo capitolo si occuperà dei profili problematici che il giudizio di relazione dell’inerenza comporta. Il reddito d’impresa, come chiaramente evincibile dal complemento di specificazione, è prodotto da un imprenditore, la cui libertà di iniziativa economica è direttamente tutelata dall’articolo 41 del Testo Costituzionale. Alla luce di tale libertà costituzionalmente garantita, verrà esaminata la prassi dell’Amministrazione Finanziaria di rettificare in aumento il reddito dichiarato qualora un costo sia giudicato non inerente a causa della non congruità dello stesso. Sintomo della non congruità è la supposta antieconomicità della posta, tema sul quale si esamineranno anche le posizioni di dottrina e della più recente giurisprudenza. L’analisi si sposterà poi sulla prova nel giudizio di inerenza, ossia su quale sia il contenuto della prova in tale peculiare giudizio e su chi gravi l’onere di provare l’inerenza di un costo. In conclusione di capitolo verranno affrontate delle fattispecie problematiche: l’inerenza degli atti gratuiti e dei costi da reato. La trattazione sarà arricchita, infine, da una comparazione con il modello statunitense.
Da ultimo, la trattazione si soffermerà su un oggetto diverso dal reddito d’impresa, ovvero l’imposta sul valore aggiunto. Dopo una breve disamina dell’evoluzione storica e della struttura di tale tributo, l’attenzione si sposterà sull’inerenza. Le peculiarità che l’inerenza nell’Iva comporta saranno affrontate prima in connessione con il principio di neutralità del tributo e poi dal punto di vista della detrazione fiscale, sebbene questi due profili non possano essere scissi in maniera netta. Ricordiamo infatti che il sistema delle detrazioni è, in ogni caso, volto a garantire la neutralità dell’IVA e la Corte di Giustizia ha sostenuto questo principio .
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