Tesi etd-01072013-170830 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
VACCARI, TOMMASO
Indirizzo email
tommaso.vaccari10@gmail.com
URN
etd-01072013-170830
Titolo
Resistenza nonviolenta e trasformazione del conflitto: il villaggio di At-Tuwani (Cisgiordania)
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
SCIENZE PER LA PACE: COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E TRASFORMAZIONE DEI CONFLITTI
Relatori
relatore Dott. Altieri, Rocco
Parole chiave
- Cisgiordania
- Colline
- Conflitto
- Hebron
- Israele
- Nonviolenza
- Operazione Colomba
- Palestina
- Resistenza
- Trasformazione
- Tuwani
Data inizio appello
24/01/2013
Consultabilità
Completa
Riassunto
Le motivazioni che mi hanno spinto a redigere questo elaborato sono diverse. Una su tutte il senso di responsabilità verso una frase di H., pastore palestinese e leader della resistenza nonviolenta nelle colline a sud di Hebron, che ho sentito particolarmente ispirante: “il vostro ruolo qui è molto importante, ma è più importante in Italia”.
Molte sono state le spinte che ho ricevuto in questo senso durante la mia esperienza in Palestina/Israele della primavera scorsa, quando, tramite Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, mi sono recato in qualità di volontario di breve periodo nella parte meridionale della Cisgiordania, nelle colline a sud di Hebron. Su queste colline ho trascorso tre mesi vivendo ad At-Tuwani, il villaggio più grande dell'area, situato nella zona denominata come Masafer Yatta.
Questa esperienza, valida anche come tirocinio formativo del corso di laurea magistrale in Scienze per la Pace: cooperazione internazionale e trasformazione dei conflitti, mi è stata utile, soprattutto, per conoscere la verità su quanto accade nei territori palestinesi occupati.
Dopo aver conosciuto la triste situazione di precarietà che vivono le famiglie palestinesi della comunità delle South Hebron Hills e dopo aver visto con i miei occhi la prassi nonviolenta che hanno deciso di adottare come metodo di resistenza attiva all'occupazione militare e civile israeliana, in questo elaborato ho provato a trovare il risvolto pratico e “tornare alla teoria” di quanto studiato in Teoria dei conflitti.
Le asimmetrie dei conflitti, le teorie e le strategie di resistenza e le differenze di approccio ai conflitti, dopo esser stato immerso totalmente all'interno di una comunità palestinese periferica, sono state ancor più nitide e trasparenti.
Oltre ad aver ascoltato numerose testimonianze di volontari internazionali ed essermi informato mediante la lettura di articoli di giornale, saggistica e siti internet, ho conosciuto la situazione israelo-palestinese attraverso i racconti di tre ragazzi provenienti da altrettante famiglie palestinesi: Bashar, Khaled e Hassan.
Quattro anni fa, tra il settembre 2008 e il febbraio 2009 ho studiato per sei mesi – tramite il programma Erasmus svolto all'interno del mio precedente ciclo di laurea triennale – presso l'università di Brno, in Repubblica Ceca. In quel luogo ho avuto la possibilità di conoscere giovani provenienti da tutto il mondo e stringere una forte amicizia con i tre ragazzi, due giordani e un siriano. Nel dicembre del 2008, durante i tristi giorni della violenta campagna militare israeliana su Gaza denominata “Piombo Fuso”, mi sono trovato così a comprendere ciò che accadeva al di là del Mediterraneo, attraverso coloro che avevano, in un certo modo, subito le stesse sofferenze.
Fu per me molto forte condividere quella situazione attraverso i racconti dei figli dei profughi palestinesi. Attraverso il quotidiano aggiornamento delle notizie, gli approfondimenti, le discussioni, le manifestazioni di piazza, la visione di documentari e filmati, audio, sessioni in arabo ed inglese di Al Jazeera e soprattutto mediante numerosi racconti personali di storie raccontategli a sua volta dai genitori e parenti, profughi del '48 e del '67, mi resi conto, in quei mesi, delle forti ingiustizie che avevano luogo in quello spicchio di terra, che prima, per me, non aveva un cosi forte significato.
Avendo conosciuto la questione di “Palestina/Israele” tramite questi giovani e le storie delle loro famiglie, ho trovato le giuste motivazioni per svolgere, tre anni e mezzo più tardi, un esperienza con Operazione Colomba nei territori palestinesi.
L'esperienza all'estero – anche se per soli tre mesi – è stata fondamentale per la scrittura di questo elaborato poiché ha stravolto il mio modo di vedere e leggere quella ingarbugliata situazione.
I pastori palestinesi che abitano le colline a sud di Hebron non hanno il linguaggio tipicamente geopolitico che spesso si sente nei salotti televisivi o nelle discussioni europee mentre si argomenta riguardo la questione israelo-palestinese. La lingua della gente è quella della dignità e della resistenza, chiede a gran voce la tutela dei più elementari diritti di cui vengono privati ogni giorno e mostra in maniera pratica la possibilità che nei salotti televisivi non viene mai presa in considerazione: la rivoluzione nonviolenta e la trasformazione del conflitto.
É questa la ragione, dopo aver esser stato volontario di Operazione Colomba, che mi ha suscitato l'intenzione di redigere questa tesi di laurea. Sentendo forte la necessità di aiutare quella resistenza nonviolenta anche in Italia, ho provato a concedergli lo spazio meritato all'interno di una discussione accademica e ho tentato di farla rientrare a pieno diritto all'interno delle categorie teoriche studiate nella Teoria dei conflitti.
Per cercare di non focalizzare l'attenzione solo su una dimensione del conflitto, ho deciso di avvalermi di molteplici strumenti. Ho utilizzato i diari dei volontari, report e articoli scritti sui vari siti delle associazioni che lavorano “sul campo”, classici manuali e saggi, documentari, film e interviste video e audio. Oltre alla mia esperienza e al mio diario, ho avuto il prezioso aiuto di alcuni volontari di Operazione Colomba che, attraverso una breve intervista composta da tre domande, hanno riflettuto e poi descritto quelle che sono, secondo il loro parere, le caratteristiche del Corpo Civile di Pace con cui sono partiti per un esperienza all'estero e la metodologia di intervento.
Nel redigere questo elaborato, ho provato, come richiede una tesi di laurea magistrale, ad essere oggettivo nel descrivere in maniera analitica tutte le dimensioni, anche quelle che ho vissuto in prima persona. Da italiano e quindi da “parte terza” nel conflitto israelo-palestinese, ho cercato di essere imparziale, pur sapendo le difficoltà in cui incorre qualsiasi autore che redige un determinato documento, accademico o giornalistico che sia.
Il mio desiderio è stato quello di cercare l'imparzialità e l'oggettività del narratore, seguendo il modello tracciato dalla nuova storiografia israeliana di T. Segev, B. Morris e I. Pappe. La storia – come sostiene un opuscolo pubblicato da un'associazione di Siena – va ricercata “nelle mani di chi coltiva la speranza, negli sguardi di chi è ebbro di vita, nella fatica di chi ara la terra e accudisce l'olivo”1.
L'imparzialità nell'analisi della situazione israelo-palestinese, dal punto di vista grammaticale, è resistita sino alla fine del quarto capitolo, poiché, nella quinta ed ultima sezione, intervistando volontari con cui ho vissuto ad At-Tuwani o che comunque ho conosciuto di persona, raccontando e analizzando anche la mia esperienza personale con la Colomba, non son riuscito a trattenere il mio spirito di forte partecipazione.
Se non son riuscito ad essere completamente oggettivo nella descrizione della storia e delle vicende di israeliani e palestinesi significa che sono stato colto da errore e me ne assumerò le responsabilità.
Essendo quello su cui ho argomentato un conflitto – come molti altri – ricco di mitologia, le narrazioni presentate al grande pubblico sono quasi sempre solo due e sempre polarizzate una dall'altra. La realtà dei fatti è che entrambe le storie omettono molti passaggi ed eventi diventando così faziose. Il mio tentativo è stato quindi quello di cercare di andare oltre a questa dicotomia e raccontare la storia il piu veritiera e obiettiva possibile.
“Lo storico francese Fernand Braudel ha ideato una teoria che paragona il processo storico a un fiume. Ciò che si trova in superficie scorre a grande velocità mentre ciò che si trova sott'acqua si sposta lentamente. Gli avvenimenti scorrono veloci ma nello stesso tempo si nota anche una grande stabilità delle vecchie strutture e dei vecchi modi di pensare. Questi ultimi cambiano molto più lentamente.”2
Con questo concetto ben stampato nella mente, anch'io ho cercato di comprendere avvenimenti “di superficie” e i cambiamenti delle “vecchie strutture”.
Nel primo capitolo ho analizzato gli eventi storici in maniera alternativa, cercando di raccontare i fatti tramite le parole dei protagonisti e provando a ricostruire gli eventi attraverso una pluralità di informazioni. Non mi sono documentato solo dai classici manuali di saggistica, ma ho deciso di avvalermi anche di video-documentari, filmati, report di associazioni, articoli di giornale e siti internet. Inoltre non ho solo incrociato le fonti bibliografiche ma ho cercato di informarmi sottolineando le discrepanze tra le diverse letture che ho svolto. Avendo riflettuto molto sulle parti riportate in questo capitolo e non volendo rinunciare a segnalare alcun autore, forse, il risultato ne è stata una variante un po' troppo estesa.
Mi sono prolungato sugli eventi dal 1880 in poi, perché ho considerato necessario soffermarmi su alcuni nodi storici per comprendere meglio la complessità della quotidianità palestinese e israeliana. Ho cercato di rappresentare alcuni aspetti e dimensioni della storia di tutta l'area dando un peso particolare alla questione della terra e delle risorse, evidenziando, quando ne ho avuto la possibilità, la situazione delle popolazioni periferiche, della situazione scolastica, e di coloro che svolgono un lavoro legato a pastorizia, allevamento e agricoltura.
Ho tentato di analizzare maggiormente queste dimensioni per comprendere alla radice le cause dei problemi attuali che vivono i pastori palestinesi che abitano le colline a sud di Hebron.
La situazione di quest'area periferica l'ho analizzata nel secondo capitolo, proponendo un percorso storico dal 1948 in poi, dal 1967 con l'occupazione militare, l'insediamento delle colonie e degli avamposti ebraici, fino ad arrivare alla divisioni in aree degli accordi di Oslo, sino alle ultime dinamiche ed eventi accaduti ai giorni nostri. Ho utilizzato esempi provenienti dalla quotidianità della politica di occupazione militare e civile israeliana e come agisce privando i palestinesi che vivono la zona dei più elementari diritti. La situazione paradossale che si crea in quell'area, che secondo gli accordi di Oslo è area C quindi a completa amministrazione militare e civile israeliana è ancora più forte se si pensa alla situazione dei bambini delle South Hebron Hills che, dal 2005 ad oggi, dopo una decisione della Commissione per i diritti dell'infanzia della Knesset, il parlamento israeliano, devono aspettare tutte le mattine e tutti i pomeriggi, una scorta armata dell'IDF che li protegga dagli attacchi dei coloni per poter fare in sicurezza il tragitto da casa a scuola, e viceversa.
I capitoli tre e quattro rappresentano il nocciolo della questione, poiché rappresentano quanto mi ero proposto di analizzare e argomentare, espressione del titolo dell'elaborato.
Nel terzo ho descritto la situazione di vita complessa e difficile e come viene ribaltata dalla scelta nonviolenta che ha adottato la comunità palestinese che abita le colline a sud di Hebron e del Comitato di Resistenza Popolare, nato nel 2000. Una resistenza, quella di questi palestinesi, che non ha nulla a che vedere con le immagini che i maggiori media nazionali ed internazionali propugnano alla televisione. Una paziente e quotidiana resistenza, che è attiva e decisa nel combattere le ingiustizie e che proviene, in prima istanza, dall'essenza pacifica dei pastori stessi. Alla minaccia di arresto da parte dei soldati o agli attacchi e alle provocazioni dei coloni ai danni di un palestinese su un dato territorio loro rispondono tornando su quell'area organizzando marce e manifestazioni pacifice. Alle demolizioni di strutture o danni ai caseggiati, i nonviolenti palestinesi rispondono ricostruendo quanto distrutto e denunciando le ingiustizie subite presso gli enti preposti. Ai danni degli oliveti e dei campi di grano che sono dislocati su tutte le colline intorno ai villaggi, i palestinesi replicano facendo rinascere la vita, piantando nuovi ulivi e seminando grano per l'anno successivo.
Il Comitato, ente preposto per l'organizzazione della resistenza, ha anche il ruolo di organizzare marce per la pace, azioni nonviolente, training di formazione alla nonviolenza e ha avuto l'appoggio di numerosi gruppi di attivisti israeliani e internazionali che vivono e lavorano nell'area. Essendo quella nonviolenta una scelta di massa e popolare, i palestinesi che vivono ad At-Tuwani e nei villaggi vicini hanno avuto l'opportunità, oltre a ricevere in visita numerose delegazioni di israeliani, attivisti e non, di accogliere due gruppi di internazionali, i Christian Peacemaker Team e Operazione Colomba. Oltre alla solidarietà e al supporto, dal 2004 i due gruppi vivono nell'area, condividendo i pericoli e le ostilità quotidiane e accompagnando i pastori palestinesi che pascolano i loro greggi sulle colline.
In particolare, sul finire del capitolo ho focalizzato l'attenzione su come il Comitato Popolare delle South Hebron Hills si inserisce nelle questioni nazionali e sulla forza delle donne del villaggio e il loro prezioso ruolo nella resistenza nonviolenta e nelle dinamiche della vita del villaggio.
Nel quarto capitolo ho cercato di sintetizzare la resistenza nonviolenta all'interno delle categorie tipiche della Teoria dei conflitti: il conflitto asimmetrico e la risoluzione del conflitto mediante un cambiamento di paradigma. La trasformazione nonviolenta del conflitto, almeno per quanto concerne la situazione nelle South Hebron Hills, è partita dal circuito virtuoso scatenato dalla scelta nonviolenta della comunità palestinese. Le relazioni tra palestinesi e israeliani sono cominciate a differire e il cambiamento pacifico, descritto da Miall in Emergent Conflict and Peaceful Change, ha cominciato a mostrare sin da subito i risultati. Oltre a questioni teoriche legate al conflitto e alla sua trasformazione ho concentrato gli sforzi nel ripercorrere gli anni precedenti la nascita dello stato d'Israele e in particolare nell'accezione nonviolenta, culturale e religiosa di un tipo di sionismo, che con la nascita dello stato Ebraico non ha saputo vincere il braccio di ferro con il sionismo politico di Herzl e Ben Gurion. Infine ho portato altri esempi di prassi nonviolenta e possibili scenari futuri di pace per Palestina/Israele.
Nel paragrafo intitolato “Immaginare un altro Israele”, ho analizzato uno scambio di missive che è avvenuto sul finire degli anni '30 tra Gandhi e due intellettuali ebrei, seguaci del sionismo culturale, Martin Buber e Judah Magnes. In questo carteggio ho riscontrato differenze sostanziali tra i tre pensatori nonviolenti che ho poi sintetizzato sottolineando in particolare l'importante aspetto della relazione tra politica e religione nelle tre diverse accezioni.
Nel quinto ed ultimo capitolo ho mi sono soffermato su Operazione Colomba, le attività che svolge in Palestina/Israele e negli altri luoghi in cui è presente attualmente. Ho portato alla luce la storia del Corpo Nonviolento di Pace che nel 2012 ha festeggiato i primi vent'anni di vita e i tre pilastri fondamentali con cui è intervenuto in zone di conflitto: la scelta nonviolenta, la condivisione della vita con le vittime della guerra e la neutralità dell'intervento o equivicinanza tra le parti. Mi sento orgoglioso del paragrafo “Essere una Colomba” poiché credo fermamente nell'azione di questa organizzazione e nel suo modo di agire. Con l'aiuto di alcuni volontari che ho intervistato, ho riflettuto sul significato di essere una Colomba, all'estero e in Italia e sulla forza della nonviolenza attiva. Infine ho preso ad esempio il lavoro di Operazione Colomba per rilanciare il discorso – ultimamente accantonato – sui Corpi Civili di Pace.
La necessità di tale istituzione è, secondo la mia modesta opinione, un'urgenza e un bisogno impellente. Proveniendo dal corso di laurea di Scienze per la pace, ho avuto la possibilità di studiare in maniera interdisciplinare i parametri giuridici e la cornice burocratica all'interno della quale si dovrebbe vedere la nascita di tali Corpi Nonviolenti di Pace, il cui ruolo sarà decisivo per il raggiungimento di quell'obiettivo sancito nella costituzione repubblicana, che è la difesa della Patria con altri mezzi.
Infine, ho trovato necessario concludere il mio elaborato, senza assumermi la responsabilità di mettere il punto finale ad una storia, che è ancora in divenire. Ho scelto quindi di chiudere il mio elaborato e il mio percorso di studi, tramite delle conclusioni (o nonconclusioni) dal finale aperto, perchè in corso di scrittura.
Ho predisposto, in allegato all'elaborato, alcune mappe geografiche per poter comprendere meglio le complicate questioni dibattute in precedenza.
Molte sono state le spinte che ho ricevuto in questo senso durante la mia esperienza in Palestina/Israele della primavera scorsa, quando, tramite Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, mi sono recato in qualità di volontario di breve periodo nella parte meridionale della Cisgiordania, nelle colline a sud di Hebron. Su queste colline ho trascorso tre mesi vivendo ad At-Tuwani, il villaggio più grande dell'area, situato nella zona denominata come Masafer Yatta.
Questa esperienza, valida anche come tirocinio formativo del corso di laurea magistrale in Scienze per la Pace: cooperazione internazionale e trasformazione dei conflitti, mi è stata utile, soprattutto, per conoscere la verità su quanto accade nei territori palestinesi occupati.
Dopo aver conosciuto la triste situazione di precarietà che vivono le famiglie palestinesi della comunità delle South Hebron Hills e dopo aver visto con i miei occhi la prassi nonviolenta che hanno deciso di adottare come metodo di resistenza attiva all'occupazione militare e civile israeliana, in questo elaborato ho provato a trovare il risvolto pratico e “tornare alla teoria” di quanto studiato in Teoria dei conflitti.
Le asimmetrie dei conflitti, le teorie e le strategie di resistenza e le differenze di approccio ai conflitti, dopo esser stato immerso totalmente all'interno di una comunità palestinese periferica, sono state ancor più nitide e trasparenti.
Oltre ad aver ascoltato numerose testimonianze di volontari internazionali ed essermi informato mediante la lettura di articoli di giornale, saggistica e siti internet, ho conosciuto la situazione israelo-palestinese attraverso i racconti di tre ragazzi provenienti da altrettante famiglie palestinesi: Bashar, Khaled e Hassan.
Quattro anni fa, tra il settembre 2008 e il febbraio 2009 ho studiato per sei mesi – tramite il programma Erasmus svolto all'interno del mio precedente ciclo di laurea triennale – presso l'università di Brno, in Repubblica Ceca. In quel luogo ho avuto la possibilità di conoscere giovani provenienti da tutto il mondo e stringere una forte amicizia con i tre ragazzi, due giordani e un siriano. Nel dicembre del 2008, durante i tristi giorni della violenta campagna militare israeliana su Gaza denominata “Piombo Fuso”, mi sono trovato così a comprendere ciò che accadeva al di là del Mediterraneo, attraverso coloro che avevano, in un certo modo, subito le stesse sofferenze.
Fu per me molto forte condividere quella situazione attraverso i racconti dei figli dei profughi palestinesi. Attraverso il quotidiano aggiornamento delle notizie, gli approfondimenti, le discussioni, le manifestazioni di piazza, la visione di documentari e filmati, audio, sessioni in arabo ed inglese di Al Jazeera e soprattutto mediante numerosi racconti personali di storie raccontategli a sua volta dai genitori e parenti, profughi del '48 e del '67, mi resi conto, in quei mesi, delle forti ingiustizie che avevano luogo in quello spicchio di terra, che prima, per me, non aveva un cosi forte significato.
Avendo conosciuto la questione di “Palestina/Israele” tramite questi giovani e le storie delle loro famiglie, ho trovato le giuste motivazioni per svolgere, tre anni e mezzo più tardi, un esperienza con Operazione Colomba nei territori palestinesi.
L'esperienza all'estero – anche se per soli tre mesi – è stata fondamentale per la scrittura di questo elaborato poiché ha stravolto il mio modo di vedere e leggere quella ingarbugliata situazione.
I pastori palestinesi che abitano le colline a sud di Hebron non hanno il linguaggio tipicamente geopolitico che spesso si sente nei salotti televisivi o nelle discussioni europee mentre si argomenta riguardo la questione israelo-palestinese. La lingua della gente è quella della dignità e della resistenza, chiede a gran voce la tutela dei più elementari diritti di cui vengono privati ogni giorno e mostra in maniera pratica la possibilità che nei salotti televisivi non viene mai presa in considerazione: la rivoluzione nonviolenta e la trasformazione del conflitto.
É questa la ragione, dopo aver esser stato volontario di Operazione Colomba, che mi ha suscitato l'intenzione di redigere questa tesi di laurea. Sentendo forte la necessità di aiutare quella resistenza nonviolenta anche in Italia, ho provato a concedergli lo spazio meritato all'interno di una discussione accademica e ho tentato di farla rientrare a pieno diritto all'interno delle categorie teoriche studiate nella Teoria dei conflitti.
Per cercare di non focalizzare l'attenzione solo su una dimensione del conflitto, ho deciso di avvalermi di molteplici strumenti. Ho utilizzato i diari dei volontari, report e articoli scritti sui vari siti delle associazioni che lavorano “sul campo”, classici manuali e saggi, documentari, film e interviste video e audio. Oltre alla mia esperienza e al mio diario, ho avuto il prezioso aiuto di alcuni volontari di Operazione Colomba che, attraverso una breve intervista composta da tre domande, hanno riflettuto e poi descritto quelle che sono, secondo il loro parere, le caratteristiche del Corpo Civile di Pace con cui sono partiti per un esperienza all'estero e la metodologia di intervento.
Nel redigere questo elaborato, ho provato, come richiede una tesi di laurea magistrale, ad essere oggettivo nel descrivere in maniera analitica tutte le dimensioni, anche quelle che ho vissuto in prima persona. Da italiano e quindi da “parte terza” nel conflitto israelo-palestinese, ho cercato di essere imparziale, pur sapendo le difficoltà in cui incorre qualsiasi autore che redige un determinato documento, accademico o giornalistico che sia.
Il mio desiderio è stato quello di cercare l'imparzialità e l'oggettività del narratore, seguendo il modello tracciato dalla nuova storiografia israeliana di T. Segev, B. Morris e I. Pappe. La storia – come sostiene un opuscolo pubblicato da un'associazione di Siena – va ricercata “nelle mani di chi coltiva la speranza, negli sguardi di chi è ebbro di vita, nella fatica di chi ara la terra e accudisce l'olivo”1.
L'imparzialità nell'analisi della situazione israelo-palestinese, dal punto di vista grammaticale, è resistita sino alla fine del quarto capitolo, poiché, nella quinta ed ultima sezione, intervistando volontari con cui ho vissuto ad At-Tuwani o che comunque ho conosciuto di persona, raccontando e analizzando anche la mia esperienza personale con la Colomba, non son riuscito a trattenere il mio spirito di forte partecipazione.
Se non son riuscito ad essere completamente oggettivo nella descrizione della storia e delle vicende di israeliani e palestinesi significa che sono stato colto da errore e me ne assumerò le responsabilità.
Essendo quello su cui ho argomentato un conflitto – come molti altri – ricco di mitologia, le narrazioni presentate al grande pubblico sono quasi sempre solo due e sempre polarizzate una dall'altra. La realtà dei fatti è che entrambe le storie omettono molti passaggi ed eventi diventando così faziose. Il mio tentativo è stato quindi quello di cercare di andare oltre a questa dicotomia e raccontare la storia il piu veritiera e obiettiva possibile.
“Lo storico francese Fernand Braudel ha ideato una teoria che paragona il processo storico a un fiume. Ciò che si trova in superficie scorre a grande velocità mentre ciò che si trova sott'acqua si sposta lentamente. Gli avvenimenti scorrono veloci ma nello stesso tempo si nota anche una grande stabilità delle vecchie strutture e dei vecchi modi di pensare. Questi ultimi cambiano molto più lentamente.”2
Con questo concetto ben stampato nella mente, anch'io ho cercato di comprendere avvenimenti “di superficie” e i cambiamenti delle “vecchie strutture”.
Nel primo capitolo ho analizzato gli eventi storici in maniera alternativa, cercando di raccontare i fatti tramite le parole dei protagonisti e provando a ricostruire gli eventi attraverso una pluralità di informazioni. Non mi sono documentato solo dai classici manuali di saggistica, ma ho deciso di avvalermi anche di video-documentari, filmati, report di associazioni, articoli di giornale e siti internet. Inoltre non ho solo incrociato le fonti bibliografiche ma ho cercato di informarmi sottolineando le discrepanze tra le diverse letture che ho svolto. Avendo riflettuto molto sulle parti riportate in questo capitolo e non volendo rinunciare a segnalare alcun autore, forse, il risultato ne è stata una variante un po' troppo estesa.
Mi sono prolungato sugli eventi dal 1880 in poi, perché ho considerato necessario soffermarmi su alcuni nodi storici per comprendere meglio la complessità della quotidianità palestinese e israeliana. Ho cercato di rappresentare alcuni aspetti e dimensioni della storia di tutta l'area dando un peso particolare alla questione della terra e delle risorse, evidenziando, quando ne ho avuto la possibilità, la situazione delle popolazioni periferiche, della situazione scolastica, e di coloro che svolgono un lavoro legato a pastorizia, allevamento e agricoltura.
Ho tentato di analizzare maggiormente queste dimensioni per comprendere alla radice le cause dei problemi attuali che vivono i pastori palestinesi che abitano le colline a sud di Hebron.
La situazione di quest'area periferica l'ho analizzata nel secondo capitolo, proponendo un percorso storico dal 1948 in poi, dal 1967 con l'occupazione militare, l'insediamento delle colonie e degli avamposti ebraici, fino ad arrivare alla divisioni in aree degli accordi di Oslo, sino alle ultime dinamiche ed eventi accaduti ai giorni nostri. Ho utilizzato esempi provenienti dalla quotidianità della politica di occupazione militare e civile israeliana e come agisce privando i palestinesi che vivono la zona dei più elementari diritti. La situazione paradossale che si crea in quell'area, che secondo gli accordi di Oslo è area C quindi a completa amministrazione militare e civile israeliana è ancora più forte se si pensa alla situazione dei bambini delle South Hebron Hills che, dal 2005 ad oggi, dopo una decisione della Commissione per i diritti dell'infanzia della Knesset, il parlamento israeliano, devono aspettare tutte le mattine e tutti i pomeriggi, una scorta armata dell'IDF che li protegga dagli attacchi dei coloni per poter fare in sicurezza il tragitto da casa a scuola, e viceversa.
I capitoli tre e quattro rappresentano il nocciolo della questione, poiché rappresentano quanto mi ero proposto di analizzare e argomentare, espressione del titolo dell'elaborato.
Nel terzo ho descritto la situazione di vita complessa e difficile e come viene ribaltata dalla scelta nonviolenta che ha adottato la comunità palestinese che abita le colline a sud di Hebron e del Comitato di Resistenza Popolare, nato nel 2000. Una resistenza, quella di questi palestinesi, che non ha nulla a che vedere con le immagini che i maggiori media nazionali ed internazionali propugnano alla televisione. Una paziente e quotidiana resistenza, che è attiva e decisa nel combattere le ingiustizie e che proviene, in prima istanza, dall'essenza pacifica dei pastori stessi. Alla minaccia di arresto da parte dei soldati o agli attacchi e alle provocazioni dei coloni ai danni di un palestinese su un dato territorio loro rispondono tornando su quell'area organizzando marce e manifestazioni pacifice. Alle demolizioni di strutture o danni ai caseggiati, i nonviolenti palestinesi rispondono ricostruendo quanto distrutto e denunciando le ingiustizie subite presso gli enti preposti. Ai danni degli oliveti e dei campi di grano che sono dislocati su tutte le colline intorno ai villaggi, i palestinesi replicano facendo rinascere la vita, piantando nuovi ulivi e seminando grano per l'anno successivo.
Il Comitato, ente preposto per l'organizzazione della resistenza, ha anche il ruolo di organizzare marce per la pace, azioni nonviolente, training di formazione alla nonviolenza e ha avuto l'appoggio di numerosi gruppi di attivisti israeliani e internazionali che vivono e lavorano nell'area. Essendo quella nonviolenta una scelta di massa e popolare, i palestinesi che vivono ad At-Tuwani e nei villaggi vicini hanno avuto l'opportunità, oltre a ricevere in visita numerose delegazioni di israeliani, attivisti e non, di accogliere due gruppi di internazionali, i Christian Peacemaker Team e Operazione Colomba. Oltre alla solidarietà e al supporto, dal 2004 i due gruppi vivono nell'area, condividendo i pericoli e le ostilità quotidiane e accompagnando i pastori palestinesi che pascolano i loro greggi sulle colline.
In particolare, sul finire del capitolo ho focalizzato l'attenzione su come il Comitato Popolare delle South Hebron Hills si inserisce nelle questioni nazionali e sulla forza delle donne del villaggio e il loro prezioso ruolo nella resistenza nonviolenta e nelle dinamiche della vita del villaggio.
Nel quarto capitolo ho cercato di sintetizzare la resistenza nonviolenta all'interno delle categorie tipiche della Teoria dei conflitti: il conflitto asimmetrico e la risoluzione del conflitto mediante un cambiamento di paradigma. La trasformazione nonviolenta del conflitto, almeno per quanto concerne la situazione nelle South Hebron Hills, è partita dal circuito virtuoso scatenato dalla scelta nonviolenta della comunità palestinese. Le relazioni tra palestinesi e israeliani sono cominciate a differire e il cambiamento pacifico, descritto da Miall in Emergent Conflict and Peaceful Change, ha cominciato a mostrare sin da subito i risultati. Oltre a questioni teoriche legate al conflitto e alla sua trasformazione ho concentrato gli sforzi nel ripercorrere gli anni precedenti la nascita dello stato d'Israele e in particolare nell'accezione nonviolenta, culturale e religiosa di un tipo di sionismo, che con la nascita dello stato Ebraico non ha saputo vincere il braccio di ferro con il sionismo politico di Herzl e Ben Gurion. Infine ho portato altri esempi di prassi nonviolenta e possibili scenari futuri di pace per Palestina/Israele.
Nel paragrafo intitolato “Immaginare un altro Israele”, ho analizzato uno scambio di missive che è avvenuto sul finire degli anni '30 tra Gandhi e due intellettuali ebrei, seguaci del sionismo culturale, Martin Buber e Judah Magnes. In questo carteggio ho riscontrato differenze sostanziali tra i tre pensatori nonviolenti che ho poi sintetizzato sottolineando in particolare l'importante aspetto della relazione tra politica e religione nelle tre diverse accezioni.
Nel quinto ed ultimo capitolo ho mi sono soffermato su Operazione Colomba, le attività che svolge in Palestina/Israele e negli altri luoghi in cui è presente attualmente. Ho portato alla luce la storia del Corpo Nonviolento di Pace che nel 2012 ha festeggiato i primi vent'anni di vita e i tre pilastri fondamentali con cui è intervenuto in zone di conflitto: la scelta nonviolenta, la condivisione della vita con le vittime della guerra e la neutralità dell'intervento o equivicinanza tra le parti. Mi sento orgoglioso del paragrafo “Essere una Colomba” poiché credo fermamente nell'azione di questa organizzazione e nel suo modo di agire. Con l'aiuto di alcuni volontari che ho intervistato, ho riflettuto sul significato di essere una Colomba, all'estero e in Italia e sulla forza della nonviolenza attiva. Infine ho preso ad esempio il lavoro di Operazione Colomba per rilanciare il discorso – ultimamente accantonato – sui Corpi Civili di Pace.
La necessità di tale istituzione è, secondo la mia modesta opinione, un'urgenza e un bisogno impellente. Proveniendo dal corso di laurea di Scienze per la pace, ho avuto la possibilità di studiare in maniera interdisciplinare i parametri giuridici e la cornice burocratica all'interno della quale si dovrebbe vedere la nascita di tali Corpi Nonviolenti di Pace, il cui ruolo sarà decisivo per il raggiungimento di quell'obiettivo sancito nella costituzione repubblicana, che è la difesa della Patria con altri mezzi.
Infine, ho trovato necessario concludere il mio elaborato, senza assumermi la responsabilità di mettere il punto finale ad una storia, che è ancora in divenire. Ho scelto quindi di chiudere il mio elaborato e il mio percorso di studi, tramite delle conclusioni (o nonconclusioni) dal finale aperto, perchè in corso di scrittura.
Ho predisposto, in allegato all'elaborato, alcune mappe geografiche per poter comprendere meglio le complicate questioni dibattute in precedenza.
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