Tesi etd-01062022-211340 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
MUTI, FRANCESCA
URN
etd-01062022-211340
Titolo
Il labirinto di Friedrich Dürrenmatt: dalle impressioni giovanili alla creazione del contro-mondo nell'opera Labyrinth. Stoffe I-III. Analisi e traduzione di parti scelte.
Dipartimento
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Corso di studi
LINGUISTICA E TRADUZIONE
Relatori
relatore Grazzini, Serena
Parole chiave
- analisi
- analysis
- Dürrenmatt
- Friedrich
- labirinto
- labyrinth
- traduzione
- translation.
Data inizio appello
31/01/2022
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
31/01/2092
Riassunto
Labyrinth. Stoffe I-III. Der Winterkrieg in Tibet. Mondfinsternis. Der Rebell (1990) è un’opera composita scritta dall’autore svizzero Friedrich Dürrenmatt. Come suggerisce il titolo, il testo comprende tre racconti di finzione ciascuno preceduto da brani autobiografici riguardanti l’infanzia e la giovinezza dell’autore, nonché testi saggistici incentrati sul mito del labirinto – indissolubilmente collegati ai suddetti racconti. La mancanza di una traduzione italiana integrale dell’opera, in particolare l’assenza di una traduzione dei brani autobiografici e saggistici, ha motivato questo progetto che mira a dimostrare quanto questi siano importanti e inscindibili per la comprensione dei racconti di finzione e del pensiero dell’autore.
È stato necessario innanzitutto ricostruire la genesi del testo originale, per la cui stesura definitiva l’autore ha impiegato gli ultimi decenni della sua vita, producendo innumerevoli pagine di bozze e rimaneggiamenti conservati nell’archivio privato dell’autore. Attraverso la narrazione autobiografica l’autore compie un’analisi introspettiva e va alla ricerca delle esperienze che lo hanno portato a diventare uno scrittore: egli afferma che le basi di questa scelta sono da ricercare negli anni della sua infanzia e della sua giovinezza. Il riaffiorare dei ricordi muove i fili della fantasia e permette la creazione di nuovi materiali da scrivere. Nella narrazione biografica e saggistica lo scrittore rievoca gli elementi della sua vita che hanno ispirato i racconti e le riflessioni che hanno caratterizzato le ambientazioni e i personaggi.
In questa analisi ci si è concentrati in particolar modo sulla narrazione biografica e saggistica, che precede il primo racconto di finzione Der Winterkrieg in Tibet, di cui viene proposta una traduzione. Ad influenzare la stesura di questo racconto sono in particolar modo gli avvenimenti e le impressioni del villaggio natale di Friedrich Dürrenmatt, il mito del labirinto e il successivo trasferimento nella città di Berna. Queste esperienze sono legate tra loro: Dürrenmatt conosce il mito del labirinto sin da bambino grazie ai racconti del padre; con il passaggio dal villaggio alla città lui si costruisce idealmente un contro-mondo labirintico: al villaggio era abituato a vivere gli spazi aperti, a strisciare nei sentieri attraverso i campi di grano, in città invece si ritrova rinchiuso tra le mura e i portici. Inoltre, il periodo del trasferimento coincide con l’avvento dell’adolescenza, un periodo di grande confusione e ribellione contro il mutamento. Così l’autore recupera le impressioni lasciate dal mito del labirinto per costruirsi metaforicamente il proprio labirinto, un contro-mondo attraverso il quale affrontare il mondo reale, ostile e imperscrutabile.
Dürrenmatt si identifica nella figura del minotauro, libero e contemporaneamente prigioniero inconsapevole di un mondo fittizio, a cui viene negata la possibilità di una via d’uscita. Alla metafora del labirinto e alla figura del minotauro sono strettamente legati anche i ricordi della Seconda Guerra Mondiale. Dürrenmatt presta servizio militare al confine tra la Svizzera e la Germania, dove capisce di trovarsi in una situazione privilegiata: la neutralità della svizzera lo protegge dal massacro ma allo stesso tempo lo fa sentire prigioniero; la condizione di “graziato dalla guerra” gli risulta paradossale e ridicola, vomitevole e ingloriosa.
Tutto questo getta basi per il racconto della guerra invernale, ambientato a seguito della terza guerra mondiale. Il protagonista è un soldato dell’armata svizzera che al termine della guerra, lascia il suo Paese completamente raso al suolo e sceglie di diventare mercenario per una misteriosa Amministrazione, che sta continuando la battaglia in un labirinto di cunicoli nelle viscere dei monti tibetani. Il mercenario incarna la figura mitologica del minotauro, perché nel corso dei combattimenti perde gambe e braccia e si trasforma gradualmente in un essere informe: siede su una sedia a rotelle e al posto degli arti superiori si impianta un mitra e una protesi multifunzione; in questo modo continua a percorrere il labirinto sotterraneo a caccia del nemico: senza capire chi sia davvero il nemico.
Questo concetto era stato anticipato da Dürrenmatt nella narrazione autobiografica: nel tentativo di comprendere il mondo reale si era creato un contro-mondo fantastico utilizzando la parabola del labirinto, dunque utilizzando la scrittura. In questo modo però si rende conto che ogni tentativo di spiegare il mondo che ci circonda è in realtà una battaglia che si combatte contro se stessi, e lui riconosce di essere il nemico di se stesso. Il labirinto è dunque l’elemento centrale dell’opera, un simbolo polisemico e sempre attuale a cui per questo si lega sia il dramma esistenziale sia quello del ritorno a casa, un tema che viene espresso prima attraverso i ricordi del villaggio e poi attraverso il racconto del patetico ritorno a casa di Dürrenmatt dopo aver lasciato l’armata svizzera.
Il tema dell’Heimkehr e del labirinto vengono analizzati anche dal punto di vista linguistico. Lo scrittore, infatti, traduce la necessità del ritorno al villaggio, all’idillio del bambino, non solo attraverso la narrazione dei ricordi, ma anche attraverso l’uso degli elvetismi: accanto a soprannomi di persone realmente vissute nel villaggio ritroviamo molti termini che si riferiscono a elementi particolarmente significativi per una cultura personale dell’autore: in particolar modo toponimi, cibi e bevande. Nello studio viene riproposto il processo traduttivo degli elvetismi e le strategie utilizzate per rendere al meglio in italiano queste parole con forte carica emotiva.
Lo stile letterario di Dürrenmatt è estremamente complesso, in quest’opera infatti si possono riconoscere diversi stili narrativi: autobiografia, saggio e racconto di finzione; ciascuno raffigurato stilisticamente in modo molto diverso. Potremmo definire “labirintico” lo stile dell’autore, perché ricrea attraverso la lunghezza delle frasi, le ripetizioni di strutture sintattiche e parole, nonché di suoni i cunicoli tortuosi e ricorsivi di un labirinto. Vengono analizzate altre sfide traduttive dettate dallo stile complesso dello scrittore svizzero, in particolare l’uso di più registri, dal colloquiale allo scientifico; l’ironia presente sin dalla prima pagina del testo e i riferimenti intertestuali che arricchiscono frequentemente l’intera narrazione.
Lo studio, dunque, vuole dimostrare la necessità di una traduzione italiana che permetta al lettore target di comprendere i collegamenti esistenti tra i racconti di finzione e la ricca narrazione autobiografica, che non esiste in traduzione. Il lungo processo di stesura di quest’opera ha dimostrato, come l’autore stesso ha sottolineato più volte nel testo, che i materiali di finzione e la sua vita formano una unità perché rappresentano lo specchio in cui si riflette il suo pensiero e dunque anche la sua vita. Dunque, dopo circa trent’anni dalla pubblicazione dell’opera originale è arrivato il momento di rendere giustizia a questo testo offrendolo in traduzione integrale anche al pubblico italiano.
È stato necessario innanzitutto ricostruire la genesi del testo originale, per la cui stesura definitiva l’autore ha impiegato gli ultimi decenni della sua vita, producendo innumerevoli pagine di bozze e rimaneggiamenti conservati nell’archivio privato dell’autore. Attraverso la narrazione autobiografica l’autore compie un’analisi introspettiva e va alla ricerca delle esperienze che lo hanno portato a diventare uno scrittore: egli afferma che le basi di questa scelta sono da ricercare negli anni della sua infanzia e della sua giovinezza. Il riaffiorare dei ricordi muove i fili della fantasia e permette la creazione di nuovi materiali da scrivere. Nella narrazione biografica e saggistica lo scrittore rievoca gli elementi della sua vita che hanno ispirato i racconti e le riflessioni che hanno caratterizzato le ambientazioni e i personaggi.
In questa analisi ci si è concentrati in particolar modo sulla narrazione biografica e saggistica, che precede il primo racconto di finzione Der Winterkrieg in Tibet, di cui viene proposta una traduzione. Ad influenzare la stesura di questo racconto sono in particolar modo gli avvenimenti e le impressioni del villaggio natale di Friedrich Dürrenmatt, il mito del labirinto e il successivo trasferimento nella città di Berna. Queste esperienze sono legate tra loro: Dürrenmatt conosce il mito del labirinto sin da bambino grazie ai racconti del padre; con il passaggio dal villaggio alla città lui si costruisce idealmente un contro-mondo labirintico: al villaggio era abituato a vivere gli spazi aperti, a strisciare nei sentieri attraverso i campi di grano, in città invece si ritrova rinchiuso tra le mura e i portici. Inoltre, il periodo del trasferimento coincide con l’avvento dell’adolescenza, un periodo di grande confusione e ribellione contro il mutamento. Così l’autore recupera le impressioni lasciate dal mito del labirinto per costruirsi metaforicamente il proprio labirinto, un contro-mondo attraverso il quale affrontare il mondo reale, ostile e imperscrutabile.
Dürrenmatt si identifica nella figura del minotauro, libero e contemporaneamente prigioniero inconsapevole di un mondo fittizio, a cui viene negata la possibilità di una via d’uscita. Alla metafora del labirinto e alla figura del minotauro sono strettamente legati anche i ricordi della Seconda Guerra Mondiale. Dürrenmatt presta servizio militare al confine tra la Svizzera e la Germania, dove capisce di trovarsi in una situazione privilegiata: la neutralità della svizzera lo protegge dal massacro ma allo stesso tempo lo fa sentire prigioniero; la condizione di “graziato dalla guerra” gli risulta paradossale e ridicola, vomitevole e ingloriosa.
Tutto questo getta basi per il racconto della guerra invernale, ambientato a seguito della terza guerra mondiale. Il protagonista è un soldato dell’armata svizzera che al termine della guerra, lascia il suo Paese completamente raso al suolo e sceglie di diventare mercenario per una misteriosa Amministrazione, che sta continuando la battaglia in un labirinto di cunicoli nelle viscere dei monti tibetani. Il mercenario incarna la figura mitologica del minotauro, perché nel corso dei combattimenti perde gambe e braccia e si trasforma gradualmente in un essere informe: siede su una sedia a rotelle e al posto degli arti superiori si impianta un mitra e una protesi multifunzione; in questo modo continua a percorrere il labirinto sotterraneo a caccia del nemico: senza capire chi sia davvero il nemico.
Questo concetto era stato anticipato da Dürrenmatt nella narrazione autobiografica: nel tentativo di comprendere il mondo reale si era creato un contro-mondo fantastico utilizzando la parabola del labirinto, dunque utilizzando la scrittura. In questo modo però si rende conto che ogni tentativo di spiegare il mondo che ci circonda è in realtà una battaglia che si combatte contro se stessi, e lui riconosce di essere il nemico di se stesso. Il labirinto è dunque l’elemento centrale dell’opera, un simbolo polisemico e sempre attuale a cui per questo si lega sia il dramma esistenziale sia quello del ritorno a casa, un tema che viene espresso prima attraverso i ricordi del villaggio e poi attraverso il racconto del patetico ritorno a casa di Dürrenmatt dopo aver lasciato l’armata svizzera.
Il tema dell’Heimkehr e del labirinto vengono analizzati anche dal punto di vista linguistico. Lo scrittore, infatti, traduce la necessità del ritorno al villaggio, all’idillio del bambino, non solo attraverso la narrazione dei ricordi, ma anche attraverso l’uso degli elvetismi: accanto a soprannomi di persone realmente vissute nel villaggio ritroviamo molti termini che si riferiscono a elementi particolarmente significativi per una cultura personale dell’autore: in particolar modo toponimi, cibi e bevande. Nello studio viene riproposto il processo traduttivo degli elvetismi e le strategie utilizzate per rendere al meglio in italiano queste parole con forte carica emotiva.
Lo stile letterario di Dürrenmatt è estremamente complesso, in quest’opera infatti si possono riconoscere diversi stili narrativi: autobiografia, saggio e racconto di finzione; ciascuno raffigurato stilisticamente in modo molto diverso. Potremmo definire “labirintico” lo stile dell’autore, perché ricrea attraverso la lunghezza delle frasi, le ripetizioni di strutture sintattiche e parole, nonché di suoni i cunicoli tortuosi e ricorsivi di un labirinto. Vengono analizzate altre sfide traduttive dettate dallo stile complesso dello scrittore svizzero, in particolare l’uso di più registri, dal colloquiale allo scientifico; l’ironia presente sin dalla prima pagina del testo e i riferimenti intertestuali che arricchiscono frequentemente l’intera narrazione.
Lo studio, dunque, vuole dimostrare la necessità di una traduzione italiana che permetta al lettore target di comprendere i collegamenti esistenti tra i racconti di finzione e la ricca narrazione autobiografica, che non esiste in traduzione. Il lungo processo di stesura di quest’opera ha dimostrato, come l’autore stesso ha sottolineato più volte nel testo, che i materiali di finzione e la sua vita formano una unità perché rappresentano lo specchio in cui si riflette il suo pensiero e dunque anche la sua vita. Dunque, dopo circa trent’anni dalla pubblicazione dell’opera originale è arrivato il momento di rendere giustizia a questo testo offrendolo in traduzione integrale anche al pubblico italiano.
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