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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-01022022-123716


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
ORSINI, MATTEO
URN
etd-01022022-123716
Titolo
L'autodifesa nel processo penale tra CEDU e c.p.p.
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Marzaduri, Enrico
Parole chiave
  • c.p.p.
  • Convenzione europea dei diritti dell’uomo
  • autodifesa
Data inizio appello
01/02/2022
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
01/02/2092
Riassunto
Lo scopo della presente tesi, come è facilmente intuibile dal titolo, è quello di indagare l'esistenza di possibili spazi concessi all'indagato e/o imputato, nell'ambito di un processo penale, per potersi difendere personalmente.
L'argomento in esame sarà trattato avendo particolare riguardo alla sua evoluzione storica: partendo dall'analisi di alcune norme previste dal codice di procedura penale del 1930, noto come codice Rocco dal nome dell'allora Ministro della Giustizia Alfredo Rocco, giungeremo ad esaminare il contenuto del diritto di (auto)difesa contemplato da alcuni fondamentali articoli del codice di procedura penale Vassalli, entrato in vigore nel 1988, il quale, sostituendo il precedente c.p.p., si impose come primo codice dell'Italia repubblicana.
Il problema dell'autodifesa verrà inoltre approfondito operando un costante confronto con la CEDU (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo), con particolare attenzione all'art. 6, paragrafo 3, lett. c) della stessa, il quale, espressamente attribuisce ad ogni accusato, il diritto di scegliere tra la possibilità di difendersi personalmente oppure avere l'assistenza di un difensore.
Di particolare interesse saranno, inoltre, alcune sentenze della Corte Europea, sia recenti, sia maggiormente risalenti nel tempo, le quali, se comparate con la giurisprudenza costituzionale del nostro paese, ci permettono di evidenziare come il nostro ordinamento sia, o meglio, sembri maggiormente garantista rispetto a quello delineato dalla Convenzione sopra citata.
Si tratta di argomenti estremamente delicati che meriterebbero una più ampia considerazione rispetto a quella che mi accingo ad offrire in queste poche righe.
Procedendo con ordine, durante la vigenza del codice del 1930, la possibilità di ricorrere all'autodifesa era limitata, in base all'art. 125 comma 1, a quei giudizi aventi ad oggetto contravvenzioni punibili con l'ammenda non superiore a lire tremila o con l'arresto non superiore ad un mese anche se comminati congiuntamente; nell'attuale codice di procedura penale, per contro, non vi è traccia alcuna di una siffatta previsione, in grado, cioè, di riconoscere in maniera esplicita l'autodifesa esclusiva.
Il codice Vassalli, infatti, all'art. 97, prevede categoricamente che l'imputato debba essere assistito da un difensore d'ufficio nel caso in cui non abbia proceduto alla nomina di un difensore di fiducia o ne sia rimasto privo.
Verso la fine degli anni '70 / inizio anni' 80, tra l'altro, la Corte Costituzionale, già era giunta ad affermare, quanto sancito dall' art. 97 c.p.p.; il riferimento è alle due note sentenze n. 125/1979 e n. 188/1980 concernenti la questione se l'assistenza del difensore dovesse essere assicurata all'imputato, anche se in evidente contrasto con la volontà di quest'ultimo.
Alla luce di ciò, e, soprattutto, alla luce del principio fondamentale previsto all'art. 24, comma 2 della Costituzione, il quale stabilisce che "la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento", non può non risultare chiaro come la presenza del difensore rappresenti, dunque, una condizione necessaria per la regolarità del rapporto giuridico processuale.
Tuttavia, l'attuale codice di procedura penale contiene alcune disposizioni, relative tanto alla fase delle indagini preliminari, quanto alla fase del giudizio, idonee ad alimentare nuovamente il problema in esame, ancorché in termini diversi da quelli in cui si era posto in precedenza.
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