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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-01012016-172052


Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
DANTI, LUCA
URN
etd-01012016-172052
Titolo
Le migliori gioventù. I periferici e la sessualità nella narrativa italiana del secondo dopoguerra
Settore scientifico disciplinare
L-FIL-LET/11
Corso di studi
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Relatori
tutor Prof. Zatti, Sergio
tutor Prof. Brugnolo, Stefano
Parole chiave
  • provincia
  • periferia
  • narrativa italiana del secondo dopoguerra
  • sesso/sessualità
Data inizio appello
18/01/2016
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il titolo riprende la celebre iunctura del romanzo "Il sogno di una cosa", scritto da Pasolini tra il 1948 e il 1949 e pubblicato nel 1962. La «migliore gioventù» pasoliniana è quella della riva destra del Tagliamento, la gioventù friulana che visse le speranze e le disillusioni post 1945. Il passaggio dal singolare al plurale serve a sottolineare il fatto che la narrativa del secondo dopoguerra ha raccontato le diverse gioventù provinciali e periferiche italiane; quelle gioventù che avrebbero vissuto il complesso fenomeno di «mutazione», sempre per citare Pasolini, socio-economica e culturale che sarebbe culminato nel boom.
A partire da "Agostino" di Moravia (1945) fino alla "Vita agra" (1962) di Bianciardi, il tema analizzato è di ordine culturale, riguarda la storia del costume; infatti, sono stati presi in considerazione quegli autori che hanno rappresentato gli anni della ʻgrande trasformazioneʼ focalizzandosi su come, in contesti ʻmarginaliʼ, le idee intorno al sesso e alla sessualità si sono modificate dietro la spinta della ricostruzione, della crescita del benessere, della ʻsprovincializzazioneʼ della morale sessuale.
La tesi, dedicata al rapporto tra centro e periferia in relazione al tema della sessualità, è strutturato come un ideale incontro amoroso.
Nei dieci capitoletti che costituiscono l’introduzione, cioè i "preliminari", vengono chiariti i presupposti teorici e storici del lavoro. Nei primi due ("Sulla ʻstupiditàʼ del corpo" e "I costi della civilizzazione"), richiamando le opere di Sigmund Freud, Norbert Elias, Michel Foucault e, in misura minore, Michail Bachtin, viene illustrato come il grado di civiltà sia direttamente proporzionale al ʻconsumo di saponeʼ (Freud) cioè a un disciplinamento del fisiologico (bisogni materiali, pulsioni sessuali e così via). Grazie ai lavori di Mario Praz e Francesco Orlando (nel capitoletto "Oggetti e sessualità non funzionali"), viene mostrato come la letteratura, a partire dal romanticismo, sia stata in controtendenza rispetto al processo di rimozione del corporeo e come, in un’opera fondamentale per la rappresentazione della sessualità in letteratura, "Lady Chatterley’s lover", sia stata proposta in maniera esplicita e clamorosa l’opposizione tra sesso-natura e civiltà industriale.
Il romanzo di Lawrence ha portato a problematizzare due questioni: la prima è il nesso tra dimensioni arretrate, più vicine alla natura, e l’idea di una sessualità diversa rispetto a quella della metropoli moderna; la seconda è legata, invece, alle strategie narrative per raccontare il sesso e la sessualità. Il capitoletto "Periferie" si colloca sulla scia del saggio di Orlando sul "Gattopardo" e del volume "L'idillio ansioso" di Stefano Brugnolo: pur salvando la specificità di ogni milieu storico-sociale e geografico rappresentato, la ʻperiferiaʼ è da intendere in quanto classe logica comprendente oltre alle periferie urbane, le province, i vari ʻsudʼ del mondo, in quanto essi sono sempre definiti nella dialettica con un centro, con una città, con un ʻnordʼ e vengono spesso e volentieri rappresentati alla vigilia della loro trasformazione e cioè della loro scomparsa.
È impossibile trovare nella letteratura italiana degli anni cinquanta-sessanta un omologo di Lawrence: la rappresentazione della sessualità non è mai solare, dispiegata, ʻa tutta paginaʼ, quanto piuttosto è scorciata, ellittica, riassunta. Anche forse per amore di variatio e per non scadere nella ripetitività di una «tetra meccanica» (Gadda), gli autori italiani recuperano «il represso sessuale nella serie dei contenuti» (Orlando) attraverso dettagli, elementi anatomici e oggetti decontestualizzati, cioè avulsi dalla scena del rapporto sessuale, che hanno l’effetto stendhaliano di un «colpo di pistola in un concerto».
I capitoletti settimo e ottavo ("Turning point della storia italiana", "Prologo per la letteratura a venire") costituiscono l’introduzione storica: il primo è dedicato al racconto di come lentamente sono cambiati i costumi sessuali degli italiani (dalla repressione degli anni cinquanta alla commedia sexy degli anni settanta) attraverso le voci di Brancati e Pasolini; il secondo, invece, è un passo indietro di un paio di decenni che, però, serve a confermare come, sul piano della ricezione letteraria, la modernizzazione promossa dai centri, sia quella fascista, travolta poi dal conflitto mondiale, sia quella ʻamericaneggianteʼ del dopoguerra, sono state recepite come potenziali e ambigue minacce d’estinzione dalle periferie. Ciò emerge chiaramente confrontando le pagine dei racconti di Antonio Delfini con quelle dell’ultimo Brancati, come pure le pagine del "Quartiere" (1944) di Pratolini con quelle dell’autobiografia di Ermanno Olmi.
Gli ultimi due capitoletti ("Quattro tipologie narrative" e "Sul romanzo di formazione in Italia") servono a ordinare e ripartire i testi studiati nelle diverse sezioni della tesi. Il punto di partenza, visto l’anno altamente significativo della pubblicazione, è "Agostino" di Moravia: da questo modello sono state ricavate quattro tipologie di plot cui ricondurre gli altri testi del corpus. Agostino è, essenzialmente, la storia di un ʻcentraleʼ (ragazzo borghese, di buona famiglia, cittadino) che conosce il sesso in ʻperiferiaʼ (tipologia «b»); esistono, però, storie di iniziazioni sessuali di ʻcentraliʼ in un ʻcentroʼ (tipologia «a»), utili a questo lavoro solo come ʻpietra di paragoneʼ in quanto escludono l’orizzonte periferico; storie che raccontano la sessualità delle periferie dall’interno (tipologia «c»); e ancora storie che raccontano il viaggio complementare a quello compiuto da Agostino: e cioè dalla periferia verso il centro (tipologia «d»). Proprio per il fatto che i protagonisti delle narrazioni sono quasi sempre giovani e giovanissimi si è resa necessaria un’ultima breve messa a punto che riguarda il genere del romanzo di formazione in Italia a seguito delle sperimentazioni modernistiche (Franco Moretti) e dell’Avanguardia storica (Romano Luperini).
Fra i testi della tipologia «a» rientrano: "La disubbidienza" (1948) di Moravia, il racconto "Il mostro" (1949) di Laudomia Bonanni, "San Giorgio in casa Brocchi" (1953 anche se risalente al 1931) di Gadda ed "Ernesto"(1975 anche se risalente al 1953) di Saba; fra i testi della tipologia «b», intitolata agli «altri agostini», si trovano: "Le trincee" (1964 ma 1939) dai "Giochi di Norma" di Pier Antonio Quarantotti Gambini, "Il cielo è rosso" (1946) di Giuseppe Berto e il racconto lungo "La vecchia delle erbe" (1956 ma 1951) di Enrico La Stella.
Uno spazio maggiore è stato riservato ai testi della tipologia «c» che raccontano la periferia attraverso gli occhi di un periferico. Dopo un primo capitolo dedicato alla narrativa di Rolando Viani, tematicamente complementare ad "Agostino", in quanto racconta la Viareggio degli anni ʼ40 e ʼ50 dal punto di vista di un potenziale membro della banda del Saro, in due capitoletti più ʻteoriciʼ ("Ritratto della banda da giovanissima" e "Una corporeità condivisa") viene sottolineato come il gruppo sia una costante nell’evoluzione del singolo in periferia, cioè come non si dia ʻcrescitaʼ, quindi anche maturazione sessuale, se non in rapporto allo spazio sociale della ʻbandaʼ, insieme alla quale si condividono festosamente manifestazioni fisiologiche, in genere confinate nel privato, come leggiamo nelle pagine di "Cristo si è fermato a Eboli" (1945) e del "Sogno di una cosa".
Due veri e propri topoi della sessualità compartecipata dei periferici sono le masturbazioni collettive e le escursioni in gruppo al bordello. A partire da queste due singolari porte di accesso vengono lette, da una inusitata prospettiva, alcune opere del nostro Novecento: da una parte "Paolo il caldo" (1955) di Brancati e "Libera nos a malo" (1963) di Meneghello; dall'altra, "Il villino rosa" di Rolando Viani e "La vita agra" di Bianciardi. Quest'ultima opera rientra più correttamente nella tipologia «d», tuttavia il particolare io narrante, nel suo continuo guardare a Grosseto mentre si trova a Milano, ci dà un’idea chiarissima di cosa fossero i ʻfamiliariʼ casini di provincia rispetto agli ʻalienati-alienantiʼ casini della metropoli.
Il terzo capitolo della seconda parte è dedicato alla periferia romana raccontata da Pasolini, quindi ai ʻromanzi romaniʼ "Ragazzi di vita" e "Una vita violenta", nel tentativo di evidenziare come la diffusione del benessere consumistico, nel primo romanzo, il prendere coscienza e l’adesione al comunismo, nel secondo, segnino il distacco del singolo dal gruppo e, nel caso del romanzo d’esordio, l’inizio di un cammino di formazione ʻal singolareʼ tipicamente e tristemente (secondo Pasolini) piccoloborghese.
Eccezionali sono, poi, quei racconti della sessualità periferica che hanno come protagonista un ʻsoloʼ, cioè che non danno voce alla dimensione della ʻbandaʼ, ma si soffermano su un unico personaggio. Questa sotto-tipologia è degnamente rappresentata dal romanzo "Il sentiero dei nidi di ragno" (1947) di Italo Calvino (confrontato con il coevo racconto "Un bastimento carico di granchi"), ma soprattutto dall’"Isola di Arturo" (1957) di Elsa Morante.
Il secondo capitolo della terza parte, infine, si occupa dei romanzi della tipologia «d» fra i quali figurano il ʻciclo del Brianzaʼ (tratto dal "Ponte della Ghisolfa", 1958) di Giovanni Testori, "L’integrazione" (1960) di Luciano Bianciardi e "Un cuore arido" (1961) di Carlo Cassola.
La conclusione del lavoro ("Dopo l’amore") si apre introducendo due ultime tipologie narrative, non significativamente testimoniate dalle opere del periodo considerato. Si tratta dei ritorni di coloro che sono partiti, vale a dire di periferici che, dopo aver vissuto il centro, tornano cambiati in periferia (tipologia «e») e di centrali che, dopo aver vissuto la periferia, tornano cambiati al centro (tipologia «f»). Per quello che concerne la tipologia «e», che trova un suo imprescindibile paradigma medionovecentesco nella "Luna e i falò" (1950), sempre in merito al tema della sessualità, viene analizzato il racconto di Fellini "Il mio paese" (1967) da cui poi è stato tratto il celeberrimo "Amarcord" (1970).
Soprattutto alla luce di questi ultimi testi, emerge come l’omologante modernizzazione, esemplata sul consumismo transoceanico, abbia investito e travolto l’eterogeneità delle periferie con i suoi modelli socio-economici e culturali obsoleti, inefficaci, sorpassati. L’alternativa periferica, viene stilizzata, proiettata in un passato più o meno lontano dai letterati, quasi a voler dire provocatoriamente: ʻsi stava meglio quando si stava peggioʼ, ma perde la sua scommessa con la Storia. Il miglioramento sta sotto gli occhi di tutti, tuttavia non è a costo zero: qualcosa, pur diventato ʻnon funzionaleʼ, va perduto per sempre (Freud, "Il disagio della civiltà").
Gli autori insistono con forza crescente sull’alterità della sfera sessuale ʻperifericaʼ rispetto a quella ʻcentraleʼ: già nel "Don Giovanni in Sicilia" (1940), la torbida sensualità siciliana viene contrapposta all’algido e insensato attivismo milanese; nei romanzi romani di Pasolini, la sessualità animale dei ragazzi di vita viene contrapposta alla conformistica sessualità borghese; nel ciclo del Brianza, la riscoperta di un’antica dignità (quasi ʻpratolinianaʼ) dei sentimenti viene contrapposta all’edonismo amorale metropolitano; nell’"Integrazione", l’esuberante e incontenibile sessualità di Luciano e Anna viene contrapposta ai rapporti ʻrazionalizzatiʼ che consumano le coppie integrate negli immani meccanismi della produzione; in "Libera nos a malo", i festosi «atimpùri» delle Compagnie vengono contrapposti al triste e solitario autoerotismo di città.
Anche solo guardando a questi pochi esempi, la sessualità periferica si presenta come un oggetto poliedrico, così sfaccettato, talvolta contraddittorio, che generalizzare diventa impossibile; tuttavia, fatte salve le ambivalenze ‒ eclatanti in Viani e Brancati ‒, è possibile evidenziare come, nel corso del dopoguerra, man a mano che la ʻgrande trasformazioneʼ del boom definisce i propri contorni e comincia a incidere in maniera forte sull’Italia delle province, il senso di alterità della morale sessuale periferica si accentua, si radicalizza. Nella letteratura italiana, nel corso degli anni ʼ50, progressivamente si rafforza la tendenza a spostare l’accento dalle ʻcolpeʼ dei periferici, dal loro essere immaturi, velleitari, irresponsabili e corresponsabili dell’arretratezza della periferia, alle ʻdotiʼ alternative dei periferici rispetto alla modernità omologante dei centri. Questo slittamento è apprezzabile, ad esempio, nel passaggio dal "Lavoro culturale" (1957) all’"Integrazione", oppure in quello dai "Vitelloni" ad "Amarcord".
Nelle ultime pagine viene illustrato, attraverso un paio di casi emblematici ‒ il film "Berlinguer ti voglio bene" (1977) di Bertolucci e "Altri libertini" (1980) di Tondelli ‒, come la dialettica tra centri e periferie, in relazione al tema del sesso, continui anche al di là dello spartiacque del boom economico, seppure nelle forme del pastiche postmoderno.
Il superamento e il rilancio continuo sono connaturati al progresso così come è venuto configurandosi dopo la rivoluzione industriale; tuttavia più rari sono quei traumi, quei trapassi epocali che creano cesure vistose tra un ʻprimaʼ e un ʻdopoʼ. Ha osservato Sergio Zatti che gli anni ʼ50 e poi il boom hanno rappresentato per gli scrittori italiani, quello che la rivoluzione del 1789 ha rappresentato per gli scrittori nati sotto l’Ancien Regime. È forse casuale, o forse no, che due scritti autobiografici come i monumentali "Mémoires d’Outre-tombe" e il ben più modesto "L’apocalisse è un lieto fine" di Olmi evochino due punti di vista ʻpostumiʼ, come a suggerire che la posizione da cui si osserva è ormai irrimediabilmente lontana rispetto a ciò che viene osservato.
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