Thesis etd-11152011-190234 |
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Thesis type
Tesi di laurea specialistica
Author
INGENITO, CARMELA
URN
etd-11152011-190234
Thesis title
Mafia,Stato e la società civile
Department
SCIENZE POLITICHE
Course of study
SCIENZE POLITICHE
Supervisors
relatore Prof. Vannucci, Alberto
Keywords
- Nessuna parola chiave trovata
Graduation session start date
05/12/2011
Availability
Withheld
Release date
05/12/2051
Summary
“La mafia è un insieme di organizzazioni criminali che agiscono all’interno di un vasto e ramificato contesto relazionale, configurando un sistema di violenza e di illegalità finalizzato all’accumulazione del capitale e all’acquisizione e gestione di posizioni di potere, che si avvale di un codice culturale e gode di un certo consenso sociale”( ).
Il lavoro si articola in tre parti distinte.
Nella prima parte delinea un ritratto generale dell’organizzazione mafiosa e della sua capacità di condizionare il territorio su cui insediano le proprie attività. Territorio riconoscibile per la “cappa che lo sovrasta”( ) : chiuso nell’omertà e nella rassegnazione alle dinamiche di sopraffazione sociale, ingabbiato senza prospettive di sviluppo e sottoposto ad un continuo degrado. Degrado che non è solo materiale, prende anima e corpo facendo avvertire un senso di “asfissia”, travolge valori, atteggiamenti fino a sradicare le culture originarie.
E in questo modo la mafia non è sempre anti-Stato anzi, in quelle regioni, rischia quasi di diventare l’unico Stato veramente esistente( ), impone le sue leggi e il tutto diventa normalità, soprattutto per chi la vive da dentro. Ed è proprio questo senso di normalità e quotidianità che fa tanta paura.
Nella seconda parte si dedica spazio alla lotta alla mafia da parte dello Stato e come, con la legislazione speciale, la mafia possa essere attaccata alla base, nei sui patrimoni: la confisca dei beni come strumento per indebolire la struttura dell’imprenditoria mafiosa, come arma preziosa a disposizione dello Stato per ripristinare quella legalità di cui esso è garante.
Una svolta significativa nella lotta alla criminalità organizzata si ebbe con l'attuazione della legge Rognoni-La Torre con la quale, nel 1982, lo Stato previde la confisca dei beni ai mafiosi. Norma che, con la legge 109 del 1996, ha fatto un ulteriore passo avanti vincolando l'uso di questi beni a fini sociali. Una legge dal grande significato simbolico e sociale. Lo Stato, impossessandosi delle proprietà dei mafiosi, proprio nei territori dove prima dominavano, ribadisce la supremazia del diritto e della legge e restituisce alla collettività i beni e le ricchezze di cui la criminalità organizzata l'ha deprivata.
Li restituisce perché possano creare nuove opportunità di occupazione e di sviluppo economico e culturale( ).
E i beni vengono mantenuti nel patrimonio dello Stato “per finalità di giustizia, ordine pubblico e protezione civile”, altrimenti vengono trasferiti al Comune in cui gl’immobili sono siti: il Comune, a sua volta, può “amministrarli direttamente o assegnarli in concessione a titolo gratuito a comunità, enti e organizzazioni di volontariato, cooperative sociali e centri di recupero per tossicodipendenti”.
Nel secondo capitolo troviamo alcuni esempi di cooperative che riutilizzano a fine sociale patrimoni confiscati alle mafie. Attività che avvengono grazie al supporto dell’associazione Libera che, con una tenacia ed un coraggio invidiabili, non smette mai di darsi all’azione( ).
Nella terza parte, si affronta il lavoro dei “Movimenti sociali antimafia”, in particolare di Libera. L’analisi parte dagli anni Novanta, quando si registra l’inizio di un’inversione di tendenza da parte della società civile che , in alcuni contesti territoriali, comincia a mobilitarsi e organizzarsi per esercitare una concreta opposizione tout court al sistema mafioso radicato sul territorio.
Quando, presa coscienza del degrado e della marginalità di tipo economico e sociale ma soprattutto culturale, la società onesta si ribella, si fa avanti il ruolo che la scuola e la famiglia insieme giocano nella ri-costruzione dell’identità “saccheggiata” e dei percorsi di vita relativi a ciascun individuo, restituendo l’autonomia che consente a ciascuno di realizzare la propria dimensione della vita sociale( ).
E accanto a tutto questo, prende corpo il progetto dei movimenti antimafia impegnati nell’associazionismo organizzato e nel volontariato i cui unici interessi restano la salvezza e la promozione della persona e non il tornaconto personale o di gruppo. Movimenti che nascono dall’emozione suscitata dai delitti di mafia e promossi da donne che hanno voluto continuare in modo diverso la loro militanza nei partiti e da vedove di magistrati e di poliziotti uccisi dalla mafia che hanno voluto dare senso al loro lutto.
Perché c’è molta gente che lungi dall’avere voglia di mafia, sente il bisogno di un cambiamento, che ha voglia di ricordare invece di dimenticare, che dà prova di una fame d’informazione invece che di un rifiuto di capire.
E, allora, tirando le somme, nell’ultima parte si vuole analizzare l’impatto che le cooperative sociali fanno registrare nell’ambito economico, sociale ma soprattutto nel risveglio delle coscienze degli “uomini”; a quanto di legale hanno costruito e di illegale distrutto. Affinché si possa dire ai figli: “Occhi aperti per costruire giustizia”( ).
Il lavoro si articola in tre parti distinte.
Nella prima parte delinea un ritratto generale dell’organizzazione mafiosa e della sua capacità di condizionare il territorio su cui insediano le proprie attività. Territorio riconoscibile per la “cappa che lo sovrasta”( ) : chiuso nell’omertà e nella rassegnazione alle dinamiche di sopraffazione sociale, ingabbiato senza prospettive di sviluppo e sottoposto ad un continuo degrado. Degrado che non è solo materiale, prende anima e corpo facendo avvertire un senso di “asfissia”, travolge valori, atteggiamenti fino a sradicare le culture originarie.
E in questo modo la mafia non è sempre anti-Stato anzi, in quelle regioni, rischia quasi di diventare l’unico Stato veramente esistente( ), impone le sue leggi e il tutto diventa normalità, soprattutto per chi la vive da dentro. Ed è proprio questo senso di normalità e quotidianità che fa tanta paura.
Nella seconda parte si dedica spazio alla lotta alla mafia da parte dello Stato e come, con la legislazione speciale, la mafia possa essere attaccata alla base, nei sui patrimoni: la confisca dei beni come strumento per indebolire la struttura dell’imprenditoria mafiosa, come arma preziosa a disposizione dello Stato per ripristinare quella legalità di cui esso è garante.
Una svolta significativa nella lotta alla criminalità organizzata si ebbe con l'attuazione della legge Rognoni-La Torre con la quale, nel 1982, lo Stato previde la confisca dei beni ai mafiosi. Norma che, con la legge 109 del 1996, ha fatto un ulteriore passo avanti vincolando l'uso di questi beni a fini sociali. Una legge dal grande significato simbolico e sociale. Lo Stato, impossessandosi delle proprietà dei mafiosi, proprio nei territori dove prima dominavano, ribadisce la supremazia del diritto e della legge e restituisce alla collettività i beni e le ricchezze di cui la criminalità organizzata l'ha deprivata.
Li restituisce perché possano creare nuove opportunità di occupazione e di sviluppo economico e culturale( ).
E i beni vengono mantenuti nel patrimonio dello Stato “per finalità di giustizia, ordine pubblico e protezione civile”, altrimenti vengono trasferiti al Comune in cui gl’immobili sono siti: il Comune, a sua volta, può “amministrarli direttamente o assegnarli in concessione a titolo gratuito a comunità, enti e organizzazioni di volontariato, cooperative sociali e centri di recupero per tossicodipendenti”.
Nel secondo capitolo troviamo alcuni esempi di cooperative che riutilizzano a fine sociale patrimoni confiscati alle mafie. Attività che avvengono grazie al supporto dell’associazione Libera che, con una tenacia ed un coraggio invidiabili, non smette mai di darsi all’azione( ).
Nella terza parte, si affronta il lavoro dei “Movimenti sociali antimafia”, in particolare di Libera. L’analisi parte dagli anni Novanta, quando si registra l’inizio di un’inversione di tendenza da parte della società civile che , in alcuni contesti territoriali, comincia a mobilitarsi e organizzarsi per esercitare una concreta opposizione tout court al sistema mafioso radicato sul territorio.
Quando, presa coscienza del degrado e della marginalità di tipo economico e sociale ma soprattutto culturale, la società onesta si ribella, si fa avanti il ruolo che la scuola e la famiglia insieme giocano nella ri-costruzione dell’identità “saccheggiata” e dei percorsi di vita relativi a ciascun individuo, restituendo l’autonomia che consente a ciascuno di realizzare la propria dimensione della vita sociale( ).
E accanto a tutto questo, prende corpo il progetto dei movimenti antimafia impegnati nell’associazionismo organizzato e nel volontariato i cui unici interessi restano la salvezza e la promozione della persona e non il tornaconto personale o di gruppo. Movimenti che nascono dall’emozione suscitata dai delitti di mafia e promossi da donne che hanno voluto continuare in modo diverso la loro militanza nei partiti e da vedove di magistrati e di poliziotti uccisi dalla mafia che hanno voluto dare senso al loro lutto.
Perché c’è molta gente che lungi dall’avere voglia di mafia, sente il bisogno di un cambiamento, che ha voglia di ricordare invece di dimenticare, che dà prova di una fame d’informazione invece che di un rifiuto di capire.
E, allora, tirando le somme, nell’ultima parte si vuole analizzare l’impatto che le cooperative sociali fanno registrare nell’ambito economico, sociale ma soprattutto nel risveglio delle coscienze degli “uomini”; a quanto di legale hanno costruito e di illegale distrutto. Affinché si possa dire ai figli: “Occhi aperti per costruire giustizia”( ).
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