logo SBA

ETD

Digital archive of theses discussed at the University of Pisa

 

Thesis etd-11062009-114808


Thesis type
Tesi di laurea specialistica
Author
BABBONI, FRANCESCO
URN
etd-11062009-114808
Thesis title
La valutazione del premio per il rischio azionario: aspetti teorici e risultati di un'indagine empirica
Department
ECONOMIA
Course of study
FINANZA AZIENDALE E MERCATI FINANZIARI
Supervisors
relatore Prof.ssa Carlesi, Ada
Keywords
  • CAMP
  • equity risk premium
  • premio per il rischio
Graduation session start date
23/11/2009
Availability
Full
Summary
L’applicazione del principio di avidità in un mondo caratterizzato da incertezza, quale di fatto è quello su cui vengono scambiati i prodotti finanziari, implica la necessità che alla considerazione del possibile rendimento futuro di qualsivoglia portafoglio finanziario debba essere associata la considerazione del rischio finanziario concernente la variabilità del futuro valore del medesimo.
All’interno delle diverse tipologie di rischio che concorrono alla formazione del rischio finanziario di un portafoglio, quelle sulle quali si è maggiormente incentrato l’interesse degli studiosi e degli operatori, anche in adempimento a precise normative legislative relative alle attività di vigilanza degli intermediari finanziari, sono costituite dal rischio di mercato e dal rischio di credito. Mentre il rischio di mercato si associa al rischio di prezzo di un dato portafoglio, incentrando così l’analisi sulle possibili fluttuazioni delle variabili di mercato rilevanti, il rischio di credito (credit risk) considera l’eventualità che il valore di un portafoglio sia influenzato dalla situazione finanziaria dei soggetti in esso coinvolti.
La quarta fonte di rischio è il rischio internazionale (international risk). Un’impresa si trova a dover fronteggiare questo tipo di rischio quando la valuta nella quale sono misurati gli utili ed è espresso il prezzo del titolo azionario è diversa dalla valuta dei flussi di cassa del progetto, come accade nel caso di progetti intrapresi al di fuori del mercato nazionale. La principale innovazione introdotta da Markowitz nella misurazione del rischio di un portafoglio consiste nella considerazione della distribuzione congiunta dei rendimenti di tutti i titoli in esso presenti. Il modello media varianza, sebbene sia tuttora largamente utilizzato nella pratica, presenta limiti intrinseci dovuti alla considerazione esclusiva dei primi due momenti della distribuzione dei rendimenti. In primo luogo, deve tenere in debito conto la dispersione dei rendimenti effettivi attorno al rendimento atteso, misurata dalla varianza (o dallo scarto quadratico medio) della distribuzione; maggiore è la differenza fra rendimenti effettivi e rendimento atteso, maggiore è la varianza.
2.2.2. Rendimento e rischio: la frontiera efficiente
Supponiamo che un investitore abbia delle stime dei rendimenti attesi, degli scarti quadratici medi dei singoli titoli e delle correlazioni tra i titoli. Nella scelta della migliore combinazione di titoli da detenere, un investitore cercherà ovviamente un portafoglio con un rendimento atteso elevato e un basso scarto quadratico medio dei rendimenti. Pertanto è opportuno considerare: la relazione tra il rendimento atteso dei singoli titoli e il rendimento atteso di un portafoglio composto da questi titoli; la relazione tra gli scarti quadratici medi dei singoli titoli, le correlazioni tra questi titoli e lo scarto quadratico medio di un portafoglio composto dagli stessi.
Consideriamo un portafoglio composto da due titoli. Il titolo A ha un rendimento atteso di µA e una varianza dei rendimenti di σ2A, mentre il titolo B ha un rendimento atteso di µB e una varianza dei rendimenti di σ2B . Il rendimento atteso e la varianza di un portafoglio di due titoli può essere scritta come funzione di questi input e del peso che questi hanno sul valore del portafoglio.


Dove e rappresentano la quota del titolo A e del titolo B nell’intero portafoglio. L’eliminazione di parte del rischio è possibile perché di solito i rendimenti dei singoli titoli non sono perfettamente correlati tra loro; pertanto parte del rischio viene “eliminata grazie alla diversificazione”.
Concettualmente, il rischio di un singolo titolo dipende da come il rischio di un portafoglio cambia quando quel titolo viene aggiunto. Come avremo modo di evidenziare in seguito, il Capital Asset Pricing Model (CAPM) mostra che il rischio di un singolo titolo è rappresentato dal suo coefficiente beta che, in termini statistici, indica la tendenza di un titolo azionario a variare nella stessa direzione del mercato (per esempio, l’indice composito S&P): il beta misura la reattività del rendimento di un singolo titolo rispetto al rendimento del portafoglio di mercato.
In generale, il numero dei termini di covarianza può essere scritto come una funzione del numero dei titoli.

dove n è il numero dei titoli presenti nel portafoglio.
Per motivi di semplicità, assumiamo che i titoli abbiano in media una deviazione standard dei rendimenti di , che la covarianza dei rendimenti tra coppie di titoli sia in media e che i tutti i titoli siano presenti nel portafoglio nella stessa proporzione:

Il fatto che la varianza possa essere stimata per portafogli composti da un ampio numero di titoli suggerisce un approccio di ottimizzazione nella costruzione del portafoglio, nel quale gli investitori contrappongono rendimento atteso e varianza. Se un investitore può specificare l’ammontare massimo di rischio che è disposto a sopportare (in termini di varianza), il problema dell’ottimizzazione del portafoglio diventa la massimizzazione dei rendimenti attesi dato questo livello di rischio. Graficamente, questi portafogli possono essere rappresentati sulla base delle dimensioni del rendimento atteso e della deviazione standard come nella figura sottostante.
Per passare dall’approccio tradizionale di Markowitz a quello del Capital Asset Pricing Model, dobbiamo considerare l’aggiunta di un titolo privo di rischio all’interno del mix dei titoli rischiosi. Il titolo privo di rischio, per definizione, ha un rendimento atteso che risulta sempre uguale al rendimento attuale. Mentre il rendimento dei titoli rischiosi varia, l’assenza di varianza nei rendimenti dei titoli privi di rischio li rende non correlati con i rendimenti dei titoli rischiosi. Per esaminare ciò che accade alla varianza di un portafoglio che combina un titolo privo di rischio con un portafoglio rischioso, assumiamo che la varianza del portafoglio rischioso sia e che sia la quota dell’intero portafoglio investita in questi titoli rischiosi. Il rendimento atteso cresce data la pendenza positiva della retta passante per il livello del tasso privo di rischio. Detta retta prende il nome di Linea del mercato dei capitali o Capital Market Line (CML). Piuttosto, combinerà i titoli di M con l’attività priva di rischio nel caso in cui abbia un’alta avversione al rischio. In un mondo in cui gli investitori tengono una combinazione di due soli titoli (titolo privo di rischio e portafoglio rischioso) il rischio di ogni titolo individuale verrà misurato in base al portafoglio di mercato. In particolare, il rischio di ogni asset diverrà il rischio aggiunto al portafoglio di mercato. Per giungere all’appropriata misurazione di questo rischio aggiunto assumiamo che sia la varianza del portafoglio di mercato prima dell’aggiunta del nuovo titolo, e la varianza del titolo individuale che verrà aggiunto a questo portafoglio sia . Il peso del titolo sul valore di mercato del portafoglio è e la covarianza dei rendimenti tra il titolo individuale e il portafoglio di mercato è .
Conseguentemente, il primo termine dell’equazione dovrebbe essere prossimo a zero, e il secondo termine dovrebbe tendere a , lasciando così il terzo termine ( , la covarianza) come misura del rischio aggiunto dal titolo i. Dividendo questo termine per la varianza dei rendimenti del portafoglio di mercato si determina il beta del titolo:
Beta del titolo =

2.2.3. Un esempio di diversificazione
Supponiamo di fare le seguenti tre ipotesi :
1. tutti i titoli hanno la stessa varianza, che indichiamo con .
Il rischio di portafoglio ( ), è il rischio corso anche dopo aver raggiunto la completa diversificazione. Il rischio di portafoglio è spesso chiamato anche rischio sistematico o rischio di mercato. Nel modello base si stabilisce una relazione tra il rendimento di un titolo e la sua rischiosità, misurata tramite un unico fattore di rischio, detto beta. Il beta misura quanto il valore del titolo si muova in sintonia col mercato. Matematicamente, il beta è proporzionale alla covarianza tra rendimento del titolo e andamento del mercato; tale relazione è comunemente sintetizzata tramite la Security Market Line (SML) , illustrata nel grafico sottostante.

Figura 3.1. La Security Market Line: relazione tra rischio (beta) e
rendimento atteso nel CAPM
La SML, solitamente chiamata linea di “mercato degli investimenti”, presenta come intercetta il tasso privo di rischio e come pendenza la differenza tra il rendimento del mercato e quello privo di rischio: la retta è positivamente inclinata se il rendimento atteso del mercato è maggiore del tasso privo di rischio (
È facile dimostrare che la linea della Figura 5 è retta. Questo aggiustamento dei prezzi farebbe aumentare i rendimenti attesi dei due titoli e continuerebbe finché i due titoli non si trovassero sulla linea di mercato degli investimenti.
La linea del mercato rappresenta la frontiera dei portafogli efficienti formati sia da attività rischiose che dall’attività priva di rischio; ogni punto sulla retta rappresenta un intero portafoglio. Il portafoglio composto da ogni attività trattata sul mercato viene chiamato portafoglio di mercato (market portfolio).
Seguendo tale impostazione ogni investitore sceglierà lo stesso identico portafoglio, cioè il portafoglio di mercato, quindi la diversa propensione al rischio di ciascun investitore nelle scelte di investimento emerge nella decisione di allocazione, vale a dire nella decisione di quanto investire nel titolo privo di rischio e quanto nel portafoglio di mercato. Investitori più avversi al rischio sceglieranno di investire gran parte o la totalità del proprio patrimonio nel titolo privo di rischio, mentre investitori meno avversi al rischio investiranno principalmente o esclusivamente nel portafoglio di mercato. Anzi, potranno investire nel portafoglio di mercato non solo tutto il loro patrimonio, ma anche fondi presi a prestito al tasso privo di rischio.
La prima è che esista un titolo privo di rischio, ovvero un titolo il cui rendimento atteso sia certo. La seconda è che gli investitori, per ottenere la combinazione ottimale fra titolo privo di rischio e portafoglio di mercato (data la propria propensione al rischio), possano dare e prendere in prestito fondi al tasso privo di rischio. Come già ricordato in precedenza il rischio di ciascuna attività per un investitore corrisponde al rischio aggiunto da quell’attività al suo portafoglio. Nel contesto del CAPM, dove tutti gli investitori scelgono di detenere il portafoglio di mercato, il rischio di una singola attività per un investitore corrisponde al rischio che quest’attività aggiunge al portafoglio di mercato. Statisticamente, questo rischio addizionale è misurato dalla covarianza dell’attività con il portafoglio di mercato. Maggiore è la correlazione fra l’andamento di un’attività e l’andamento del portafoglio di mercato, maggiore è il rischio aggiunto da tale attività ( i movimenti non correlati all’andamento del portafoglio di mercato vengono invece eliminati quando si aggiunge un’attività al portafoglio). Possiamo tuttavia standardizzare la misura del rischio dividendo la covarianza di ciascuna attività con il portafoglio di mercato per la varianza del portafoglio di mercato. Otteniamo in questo modo il cosiddetto beta di un’attività:

Dato che la covarianza del portafoglio di mercato con se stesso non è altro che la varianza del portafoglio di mercato, il beta del portafoglio di mercato (e quindi il beta di una ipotetica attività media) è 1. Quindi le attività più (meno) rischiose della media saranno quelle con un beta superiore (inferiore) ad 1. Il titolo privo di rischio avrà ovviamente un beta pari a zero.
Il fatto che ciascun investitore possieda una combinazione del titolo privo di rischio e del portafoglio di mercato ha un’importante implicazione: il rendimento atteso di un’attività è strettamente correlato al suo beta. In particolare, il rendimento atteso di un’attività sarà una funzione dal tasso di rendimento del titolo privo di rischio e del beta dell’attività.
Il nucleo del CAPM è una relazione attesa tra il rendimento di un qualsiasi titolo ( ) e il rendimento del portafoglio di mercato, che può essere espressa come:

dove sono il rendimento lordo del titolo in questione e del portafoglio di mercato e è il rendimento lordo privo di rischio.
Secondo questa formula il rendimento atteso di un’attività rischiosa è dato dal rendimento di un titolo privo di rischio maggiorato di un premio per il rischio, che sarà più o meno elevato a seconda del rischio aggiunto dall’attività al portafoglio di mercato.
È chiaro quindi che per usare il CAPM sono necessari i seguenti tre input:
Tasso di rendimento del titolo privo di rischio. Per titolo privo di rischio si intende il titolo il cui rendimento atteso nel periodo di riferimento sia noto all’investitore con certezza. Di conseguenza, il tasso di rendimento di un titolo privo di rischio da utilizzare nel CAPM varierà a seconda che il periodo di riferimento sia 1, 5 o 10 anni.
• Premio per il rischio. Il premio per il rischio indica la remunerazione richiesta dai risparmiatori per investire nel portafoglio di mercato (che comprende tutte le attività rischiose) piuttosto che nel titolo privo di rischio. Il beta è l’unico input specifico del titolo analizzato (ad es. un’azione).
Per esempio, abbiamo ipotizzato che investire nei Buoni del Tesoro sia completamente senza rischio. (Nel CAPM, tali portafogli sono i Buoni del Tesoro e il portafoglio di mercato.) Nei CAPM modificati i rendimenti attesi dipendono ancora dal rischio sistematico, ma la definizione di rischio sistematico dipende dalla natura del portafoglio di riferimento.
Il CAPM ipotizza che un investitore richieda un rendimento atteso più elevato per un rischio maggiore, e non ammette che un investitore accetti un rendimento minore, o un rischio maggiore, ceteris paribus. L'ipotesi cruciale nella derivazione proposta sopra è che le preferenze degli investitori siano formulate esclusivamente in termini di media e varianza dei rendimenti dei titoli; l'ipotesi di normalità dei rendimenti (lognormalità dei prezzi) è una condizione sufficiente, ma non necessaria, affinché ciò sia verificato. Il CAPM ipotizza che il profilo rischio-rendimento atteso di un portafoglio possa essere ottimizzato, determinando un portafoglio ottimo, che presenti il minimo livello di rischio possibile per il proprio rendimento atteso. Nel secondo passo, si utilizzano le stime come osservazioni dei regressori nei modelli di regressione lineare, nella dimensione cross-section:

Il CAPM risulterà non rifiutato se, sulla base della regressione sopra, il coefficiente a sarà pari al tasso d'interesse privo di rischio , e se il coefficiente b sarà pari al premio per il rischio del portafoglio di mercato.
Usando dati dagli anni trenta agli anni sessanta, alcuni ricercatori dimostrarono che il rendimento medio di un portafoglio di azioni è una funzione crescente del beta del portafoglio , una scoperta coerente con il CAPM. In sostanza, qualunque test del CAPM sarebbe per Roll riconducibile all'ipotesi che il portafoglio di mercato, il cui rendimento è indicato da sopra, appartenga alla porzione efficiente della frontiera dei portafogli.
Un test del CAPM si tradurrebbe di fatto in un test sull'appartenenza alla frontiera efficiente della particolare proxy del portafoglio di mercato utilizzata. La popolarità del CAPM è essenzialmente legata alla sua semplicità, nonché alla capacità di ricondurre il valore di un titolo a un singolo fattore di rischio, rappresentato dal rischio legato al portafoglio di mercato.
Dunque, un investitore può creare un portafoglio abbastanza simile al portafoglio di mercato del CAPM combinando vari fondi indicizzati, ciascuno in proporzione al valore di mercato del mercato cui l’indice fa riferimento.
Così, in questo periodo di 60 anni, i rendimenti sono davvero aumentati all’aumentare del beta.
Come risulta dalla Figura 3.2, il portafoglio di mercato negli stessi 60 anni ha fornito un rendimento medio di 14 punti percentuali sopra il tasso risk-free e , è ovvio, ha avuto un beta pari a 1. Il CAPM sostiene che il premio per il rischio dovrebbe aumentare in proporzione al beta, in modo che i rendimenti di ciascun portafoglio si collochino sulla linea del mercato azionario inclinata positivamente delle Figure 3.4 e 3.5.

Figura 3.4. Premio per il rischio e beta dei dieci investimenti nel periodo 1931-1965



Figura 3.5. Premio per il rischio e beta dei dieci investimenti nel periodo 1966-1991
Poiché il mercato ha fornito un premio per il rischio del 14%, il portafoglio dell’investitore 1, con un beta di 0,49, dovrebbe avere fornito un premio per il rischio leggermente inferiore al 7% e il portafoglio dell’investitore 10, con un beta di 1,52, dovrebbe avere fornito un premio leggermente superiore al 21%. Sia l’APT che il CAPM implicano una relazione crescente tra rendimento atteso e rischio. Inoltre l’APT considera il rischio in maniera più generale rispetto alla semplice covarianza standardizzata o al beta di un titolo con il portafoglio di mercato. Come il CAPM, anche l’Arbitrage Pricing Model scompone il rischio in rischio specifico d’impresa e rischio-mercato. In primo luogo, il rendimento normale o atteso del titolo, cioè la parte del rendimento che gli azionisti sul mercato prevedono o si aspettano. La seconda parte è il rendimento incerto o rischioso del titolo. Nella misura in cui gli azionisti avevano previsto l’annuncio del governo, tale previsione dovrebbe essere incorporata nella parte attesa del rendimento calcolato all’inizio del mese, cioè in . D’altro canto, se l’annuncio del governo è una sorpresa, nella misura in cui influenza il rendimento del titolo azionario farà parte di U, la parte non anticipata del rendimento.
La parte non anticipata del rendimento, quella che deriva dalle sorprese, costituisce il vero rischio di ogni investimento. In termini statistici,


4.2. Le fonti del rischio-mercato
Il fatto che le componenti non sistematiche dei rendimenti di due società non siano correlate tra loro non implica che anche le componenti sistematiche siano incorrelate. Nonostante il CAPM e l’APM facciano entrambi una distinzione fra rischio specifico d’impresa e rischio-mercato, essi si differenziano poi nell’approccio alla misurazione del rischio-mercato. Il coefficiente beta, β, indica la reazione del rendimento di un titolo azionario a un tipo di rischio sistematico. Nel CAPM il beta misurava la variazione del rendimento di un titolo a uno specifico fattore di rischio, il rendimento del portafoglio di mercato. Viene utilizzato questo termine perché l’indice impiegato come fattore è un indice dei rendimenti dell’intero mercato (azionario). Il modello di mercato può essere quindi espresso come
M) + ε
dove rappresenta il rendimento del portafoglio di mercato e β è detto coefficiente beta.
Considerando Xi la proporzione del titolo i nel portafoglio, sappiamo che la loro somma deve essere pari a 1 e che il rendimento del portafoglio è la media ponderata dei rendimenti delle singole attività nel portafoglio

Nel paragrafo precedente abbiamo visto che il rendimento di ciascuna attività è a sua volta determinato sia dal fattore F che dal rischio non sistematico rappresentato da . La prima riga è la media ponderata dei rendimenti attesi dei singoli titoli. Il rendimento di un portafoglio può essere rappresentato come la somma di due medie ponderate: la media ponderata dei rendimenti attesi delle attività nel portafoglio e al media ponderata dei beta associati a ciascun fattore. La componente dei rendimenti specifica della singola impresa (ε) scompare a livello di portafoglio per effetto della diversificazione. Se assumiamo infatti che il portafoglio sia composto da molti titoli tutti presenti nella medesima proporzione , possiamo notare che al crescere del numero dei titoli compresi nel portafoglio la componente del rischio idiosincratico si annulla:

Per ogni singola azione ci sono due fonti di rischio. Il premio atteso per il rischio di un’azione dipende dai fattori macroeconomici di rischio e non è influenzato dal rischio specifico.
Il portafoglio A ha un beta (rispetto a questo unico fattore) di 2,0 e un rendimento atteso del 20%; il portafoglio B ha un beta di 1,0 e un rendimento atteso del 12%; il portafoglio C ha un beta di 1,5 e un rendimento atteso del 14%. Si noti che investendo la metà del proprio patrimonio nel portafoglio A e la metà nel portafoglio B, si potrebbe ottenere un portafoglio con un beta (sempre rispetto all’unico fattore) pari a 1,5 e un rendimento atteso del 16%. Di conseguenza nessun investitore vorrà investire nel portafoglio C finché non scenderanno i prezzi delle attività in tale portafoglio, portandone così il rendimento atteso al 16%. In alternativa, un investitore può comprare la combinazione dei portafogli A e B, con un rendimento atteso del 16%, e vendere il portafoglio C, con un rendimento atteso del 15%, ottenendo così un profitto pulito dell’1% senza investire nulla e senza assumere alcun rischio. Per impedire tale “arbitraggio”, il rendimento atteso di ciascun portafoglio deve essere una funzione lineare del beta. Ogni azione deve offrire un rendimento atteso coerente con il suo contributo al rischio del portafoglio. Secondo l’APM questo contributo dipende dalla sensibilità dei rendimenti dell’azione alle variazioni inattese dei fattori macroeconomici.


5.1. Il tasso di interesse privo di rischio
La maggior parte dei modelli di rischio e rendimento in finanza partono da un investimento definito “privo di rischio” e considerano il rendimento atteso da quell’investimento come tasso privo di rischio . I rendimenti attesi da investimenti rischiosi vengono poi calcolati aggiungendo al tasso privo di rischio un premio per il rischio atteso.
Abbiamo definito “investimento privo di rischio” un’attività della quale l’investitore conosce con certezza il rendimento atteso. Il rendimento atteso su di un portafoglio pienamente diversificato deve essere misurato in relazione al tasso di rendimento atteso su un titolo privo di rischio . Quando ci riferiamo ai rendimenti (yields) di un titolo di stato come titolo risk-free rate, ci riferiamo al fatto che esso sia privo del rischio di fallimento, riconosciamo però che esso incorpori il maturity risk: la sola parte del rendimento che risulta priva di rischio è dunque la componente degli interessi.
Come risultato, l’evidenza empirica di lungo termine è che i rendimenti dei bond a lunga scadenza in media eccedono i rendimenti dei T.Bill. L’horizon premium compensa gli investitori per questo rischio di mercato.
Nel primo caso, dovrebbe utilizzare come tasso privo di rischio il tasso di un Treasury Bond statunitense, nel secondo invece un tasso privo di rischio in pesos.
Per calcolare un rendimento atteso in termini reali, è necessario partire da un tasso di rischio espresso in termini reali. La soluzione più comune in questi casi (sottrarre al tasso di interesse nominale un tasso di inflazione attesa) fornisce nel migliore dei casi soltanto una stima approssimativa del tasso privo di rischio in termini reali.
Nell’approccio basato sul premio per il rischio realizzato, la stima dell’ERP è il premio per il rischio (rendimento azionario realizzato in eccesso rispetto al tasso privo di rischio) che gli investitori hanno, in media, realizzato su periodi di investimento passati.
Se i rendimenti periodali dei titoli azionari (ad esempio rendimenti mensili) non sono correlati (i rendimenti di questo mese non sono stati adeguatamente predetti dai rendimenti dell’ultimo mese) e se i rendimenti attesi sono stabili nel tempo, allora la media aritmetica dei rendimenti storici fornisce un’adeguata stima dei rendimenti futuri attesi. Conseguentemente, la media aritmetica dei premi per il rischio realizzati fornisce una stima appropriata dei premi per il rischio futuri attesi (ERP).
Differenze nell’approccio per la stima dell’ERP scaturiscono dalla misurazione dei rendimenti attesi sui titoli rischiosi (equity securities).
Nell’applicare l’approccio basato sul premio per il rischio realizzato, l’analista seleziona il numero di anni dei rendimenti storici da includere nella media. L’SBBI Yearbook contiene il riassunto dei rendimenti delle azioni e dei titoli di Stato degli USA derivanti da questi dati . (Nel primo periodo, il mercato era composto quasi interamente da titoli bancari, mentre nella metà del diciannovesimo secolo, il mercato era dominato dai titoli delle ferrovie. ) Per questi periodi sono stati assemblati anche i rendimenti dei titoli governativi. La tabella 5.1 fornisce il premio per il rischio medio annuo realizzato da titoli azionari tratti da varie fonti con riferimento a differenti periodi fino al 2006.
Si misura il premio per il rischio realizzato confrontando i rendimenti del mercato azionario realizzati durante il periodo con il rendimento dei titoli governativi di lungo termine (o lo yield to maturity per gli anni precedenti il 1926).
Dall’osservazione del tabella quello che può risultare sorprendente è che il valore più grande della media aritmetica dei rendimenti annui è quello degli 81 anni dal 1926 al 2006.
Per il calcolo dell’ERP viene impiegato il rendimento dei titoli governativi a lungo termine perché in ogni periodo rappresenta il rendimento atteso dei titoli al tempo dell’investimento.









Tabella 5.1 Premi per il rischio storici: Rendimenti del mercato azionario – T.Bond

5.3. Il premio per il rischio (risk premium)
Il premio per il rischio è un elemento essenziale nel contesto dei modelli di rischio e rendimento. Nel presente paragrafo esamineremo le determinanti fondamentali del premio per il rischio e diversi approcci pratici alla sua stima.
Nel CAPM il premio per il rischio misura il rendimento addizionale richiesto in media dagli investitori per spostarsi da un investimento privo di rischio a investimenti rischiosi (il portafoglio di mercato). Ne consegue che il premio per il rischio dovrebbe essere una funzione di due variabili:
L’avversione degli investitori al rischio: maggiore l’avversione al rischio, maggiore il premio richiesto dagli investitori. Tale avversione al rischio è in parte congenita, ma dipende anche dalla situazione economica (in un’economia in crescita, gli investitori saranno più propensi ad assumere rischi) e dalla recente performance del mercato (il premio per il rischio tende a salire in seguito a un significativo calo del mercato).
Allo stesso modo, nell’APM e nei modelli multifattoriali, i premi per il rischio utilizzati per ciascuno dei fattori saranno pari alla media ponderata dei premi richiesti dai singoli investitori per ciascuno dei fattori.

5.3.1. Equity Premium Puzzle
In finanza, l'Equity Premium Puzzle o enigma del premio azionario si riferisce all'osservazione empirica che i rendimenti osservati sui mercati azionari nell'ultimo secolo sono stati superiori a quelli dei titoli di stato; in particolare, il premio per il rischio medio per i titoli azionari nell'ultimo secolo sarebbe pari a circa il 6%, laddove il rendimento medio dei titoli di stato a scadenza breve (considerato una buona approssimazione del rendimento privo di rischio) sarebbe intorno all'1%. La teoria economica suggerisce che gli investitori dovrebbero sfruttare l'evidente opportunità d'arbitraggio rappresentata dalla differenza tra premio per il rischio azionario e rendimento medio dei titoli di stato. Una maggiore domanda provocherebbe a sua volta un aumento dei prezzi medi dei titoli azionari; essendo il rendimento nient'altro che una misura dello scarto tra il prezzo attuale e quello futuro, un aumento del prezzo attuale, ceteris paribus, riduce il rendimento atteso, e con esso il premio per il rischio (dato dalla differenza tra rendimento atteso e tasso di rendimento privo di rischio). In equilibrio, si ridurrebbe dunque lo scarto tra il premio per il rischio dei titoli azionari e il tasso di rendimento privo di rischio, fino al punto in cui tale scarto riflette il premio per il rischio che un investitore rappresentativo richiede per investire nei titoli azionari, caratterizzati da una maggiore rischiosità.
Rovesciando questo ragionamento, lo scarto osservato tra i due rendimenti dovrebbe riflettere la valutazione del rischio da parte dell'investitore medio.
Gli studiosi che negano l’esistenza del premio per il rischio fondano il proprio convincimento nelle seguenti considerazioni:
L’evidenza empirica mostra che negli ultimi quaranta anni (1969-2009) non c’è stato un significativo premio per il rischio azionario sul mercato USA;
- Errori di selezione (selection bias) del mercato statunitense: il mercato azionario di maggior successo nel corso del XX° secolo.

5.4.2. Premi storici
Il metodo più comune per stimare il premio (o i premi) per il rischio nei modelli di rischio e rendimento è l’estrapolazione da dati storici. Nel CAPM il premio viene calcolato come differenza fra rendimenti medi azionari e rendimenti medi su titoli privi di rischio lungo un esteso periodo di tempo.
Nella maggior parte dei casi, questo tipo di approccio consta di tre tappe successive: 1) definire un arco temporale per la stima; 2) calcolare il rendimento medio di un indice azionario e il rendimento medio di un titolo privo di rischio nel periodo in questione; 3) calcolare la differenza fra tali rendimenti e utilizzarla come stima del premio per il rischio atteso per il futuro. La rischiosità media del portafoglio “rischioso” (l’indice azionario nel nostro caso) non sia cambiata in modo sistematico nel tempo.



5.4.3. Premi azionari impliciti
Esiste un altro approccio alla stima dei premi per il rischio che non richiede dati storici né correzioni per tenere conto del rischio-Paese. Sottraendo da tale rendimento il tasso privo di rischio, si ottiene un premio implicito per il rischio azionario.


Inoltre affinché il premio per il rischio risultasse positivo , dovrebbe verificarsi che:


Al fine di illustrare questo metodo, supponiamo che il livello attuale dell’indice S&P 500 sia 900, che il tasso di dividendo atteso sull’indice sia del 2%, e che il tasso di crescita atteso degli utili e dei dividendi nel lungo termine sia del 7%; risolvendo per il rendimento atteso sul capitale netto otteniamo:

;

Dato un tasso privo di rischio del 6%, il premio implicito per il rischio azionario sarà pari al 3%.
• Risolvendo l’equazione per r, si ottiene una stima del rendimento atteso sul capitale netto pari a 8,39%. Sottraendo da tale stima il tasso dei Treasury Bond (4,02%) si ottiene un premio azionario implicito del 4,37%. Da tali input emerge un rendimento azionario atteso del 10,70% che, se confrontato con il tasso dei Treasury Bond a quella data (4%), implica un premio azionario implicito del 6,70%. Questo fatto ha interessanti implicazioni per la stima del premio per il rischio. Allo stesso modo, il premio del 2% che abbiamo osservato alla fine della bolla speculativa delle società Internet (dot-com boom) degli anni ’90 è tornato rapidamente ai livelli medi, durante la correzione del mercato del 2000-2003. Data questa tendenza, possiamo concludere con una migliore stima del premio per il rischio implicito, guardando non solo al premio corrente, ma anche alle linee di tendenza storiche.
Tre motivi, tuttavia, spiegano l’esistenza di stime del premio per il rischio così diverse.
Ad esempio, data una deviazione standard annuale dei prezzi azionari fra il 1928 e il 2003 pari al 20%, la Tabella 6.1 riporta l’entità dell’errore standard associato alla stima del premio per il rischio in funzione della lunghezza del periodo di stima.

Tabella 6.1 Errori standard nelle stime dei premi di rischio
La scelta del titolo privo di rischio La banca dati Ibbotson riporta i rendimenti si a dei Treasury Bill sia dei Treasury Bond, sicchè il premio per il rischio degli investimenti azionari può essere stimato rispetto a entrambi. Il tasso privo di rischio alla base della stima del premio deve essere coerente con il tasso privo di rischio utilizzato nel calcolo dei rendimenti attesi. Nella maggior parte dei casi, in finanza aziendale, il tasso privo di rischio rilevante è quello di lungo periodo. Le medie aritmetiche e geometriche Un ultimo elemento di controversia nella stima dei premi storici consiste nel modo in cui calcolare le medie dei rendimenti. La media aritmetica consiste nella semplice media dei rendimenti annuali, mentre la media geometrica si riferisce al rendimento composto. In effetti, se i rendimenti annui non sono correlati nel tempo, la media aritmetica rappresenta la stima più corretta del premio per il rischio atteso per l’anno prossimo. In primo luogo, studi empirici sembrano indicare che i rendimenti degli investimenti azionari sono negativamente correlati nel corso del tempo.

Tabella 6.2 Premi di rischio storici (%) del mercato statunitense, 1928-2008

Tirando le somme, le stime del premio per il rischio possono variare a seconda delle differenze in termini di periodo di stima, scelta del titolo di Stato come tasso privo di rischio (a breve o lungo termine), e utilizzo di medie aritmetiche oppure geometriche. Se ci atteniamo al proposito di selezionare un premio basato sulla media geometrica a lungo termine rispetto al tasso dei Treasury Bond a lungo termine, la stima migliore del premio per il rischio sulla base di dati storici è 4,82%.

6.1. Periodicità dei dati storici
Anche se accettiamo l’ipotesi che i rendimenti siano effettivamente indipendenti, la media aritmetica dei premi per il rischio realizzati basati su rendimenti di 1 anno potrebbe non essere la migliore stima dei rendimenti futuri. I tradizionali modelli dei rendimenti dei titoli (es. CAPM) sono generalmente modelli uniperiodali che stimano i rendimenti su orizzonti di tempo non specificati. Allora nell’utilizzare i rendimenti realizzati per stimare i rendimenti attesi, dobbiamo calcolare i rendimenti realizzati su periodi di due anni (media geometrica dei rendimenti annui di due anni consecutivi) e poi calcolare la media aritmetica delle medie geometriche dei due anni per ottenere una stima incondizionata dei rendimenti futuri. Gli autori mostrano che l’utilizzo della media geometrica dei rendimenti storici a un anno produce una stima dei rendimenti cumulati che approssima maggiormente la mediana dei rendimenti cumulati (il 50% degli investitori realizzerà un rendimento maggiore di quello mediano e il 50% un rendimento inferiore a quello mediano). Essi dimostrano che la differenza tra la mediana dei rendimenti cumulati ottenuta dall’impiego della media aritmetica rispetto alla media geometrica dei rendimenti storici a un anno aumenta poiché aumenta l’orizzonte d’investimento atteso.

6.2. Selezione del periodo di riferimento
Il premio per il rischio realizzato medio risulta essere sensibile al periodo che viene scelto per calcolare tale media. I modelli di rendimento possono cambiare nel tempo.
Concentrandosi sul recente passato si ignorano i drammatici eventi storici e il loro impatto sui rendimenti del mercato.
Gli anni dal 1942 fino al 1951 furono un periodo di stabilità artificiale dei tassi dei bond statunitensi. Includendo questo periodo nel calcolo dei rendimenti realizzati equivale a valutare i titoli delle linee aere di oggi facendo riferimento ai titoli delle linee aeree prima della deregulation.








Tabella 6.4 Premi per il Rischio realizzati sui rendimenti dei T.Bond

Se il premio per il rischio medio è cambiato nel corso del tempo, allora la media del rischio realizzato utilizzare la più lunga serie dei dati disponibili diviene discutibile. A partire dalla metà degli anni ’50 fino al 1981, i rendimenti dei bond hanno registrato un trend crescente, dettando una generalizzata diminuzione del prezzo dei medesimi. I rendimenti realizzati dai bond erano generalmente più bassi dei rendimenti attesi al momento della loro emissione (l’investitore che avesse venduto prima della scadenza avrebbe registrato una perdita). Dal 1981 i rendimenti dei titoli di Stato hanno iniziato a diminuire, provocando una generalizzata crescita del loro prezzo. Nella tabella 6.5 presentiamo statistiche riassuntive per i rendimenti dei titoli azionari, dei Treasury Bill a 6 mesi e dei Treasury Bond a 10 anni dal 1928 al 2008:









Tabella 6.5 Statistiche riassuntive
Utilizzando questa tabella possiamo iniziare a stimare un premio per il rischio facendo la differenza tra il rendimento medio delle azioni e il rendimento medio dei titoli di Stato: il premio per il rischio è del 7,30% per le azioni rispetto ai T.Bills (11,09% - 3,79%) e 5,64% per le azioni rispetto ai T.Bonds (11,09% - 5,45%). I premi per il rischio storici per i mercati emergenti possono fornire interessanti spunti di riflessione, ma non possono essere impiegati nei modelli di rischio e rendimento.
Consideriamo per prima cosa l’assunzione fondamentale che il premio per il rischio per gli investitori non sia cambiato nel corso del tempo e che l’investimento rischioso medio (nel portafoglio di mercato) sia rimasto stabile nel periodo di tempo esaminato. Nel periodo compreso tra il 1926 e il 2000, gli investimenti in molti degli altri mercati dei capitali avrebbero prodotto premi molto più contenuti rispetto al mercato USA, e alcuni di essi si sarebbero tradotti, per gli investitori, in rendimenti più contenuti o negativi nel corso del periodo.

Tabella 6.7 Premi per Rischio storici di differenti mercati: 1900-2005

Dall’analisi della tabella risulta che i premi per il rischio, risultanti dalla media dei 17 mercati, sono più bassi dei premi per il rischio degli Stati Uniti. Per esempio, la media geometrica del premio per il rischio tra i vari mercati è solo del 4,04%, più bassa del 4,52% del mercato USA. La figura 5.1 riporta i premi per il rischio – ossia i rendimenti addizionali – ottenuti investendo in azioni piuttosto che titoli di Stato a breve e lungo termine nel periodo in questione per ciascuno dei diciassette mercati.
In Francia, invece, le cifre corrispondenti sarebbero state del 9,27% e del 6,03%.
Nella prima parte di questa sezione, rimarremo all’interno del mercato statunitense tentando di apportare delle modifiche al premio per il rischio facendo riferimento a specifiche caratteristiche dell’impresa (la capitalizzazione del mercato rappresenta l’esempio più comune). Nella seconda parte, estendiamo l’analisi osservando mercati emergenti come Asia, America Latina e Europa orientale, provando l’approccio basato sulla stima del premio per il rischio Paese che aumenta poi il premio per il rischio statunitense. Il primo si riferisce a se ci dovrebbe essere un premio per il rischio addizionale quando si valutano i titoli in questi mercati, dovuto al rischio Paese. Il secondo quesito si ricollega invece alla stima del premio per il rischio dei mercati emergenti. L’altro è considerare i rendimenti eccedenti come l’evidenza che i beta sono misure inadeguate del rischio e come compensazione del rischio tralasciato. Per giungere a questo premio gli analisti fanno riferimento ai dati storici sui rendimenti degli small cap stocks e del mercato, aggiustato per il beta risk, e attribuiscono il rendimento eccedente allo small cap effect.




Tabella 6.8 Excess Returns per classi del valore di mercato: titoli USA 1927-2007
Se si aggiunge al costo del capitale delle piccole imprese uno small cap premium del 4-5%, senza attribuire tale premio ad un rischio specifico, siamo esposti al pericolo di conteggiare doppiamente tale rischio.

6.5.2. Il Premio per il Rischio Paese
Per molti mercati emergenti, sono disponibili pochissimi dati storici, e quelli che esistono sono troppo volatili per giungere a una stima sensata del premio per il rischio.
In questi casi, il premio per il rischio può essere così calcolato:



Il premio per il rischio-Paese riflette il rischio addizionale associato a un mercato specifico.
Per determinare il premio base per un mercato azionario maturo è opportuno fare riferimento al mercato azionario statunitense che, oltre ad essere il mercato finanziario più efficiente, offre dati storici sufficienti a ottenere una stima ragionevole del premio per il rischio.
1. Gli analisti che utilizzano i differenziali per il rischio di insolvenza come misure del rischio-Paese di solito li sommano sia al costo del capitale netto sia a quello del debito di ciascuna impresa quotata nel Paese in questione. Per esempio, il costo del capitale netto di una impresa brasiliana, stimato in dollari statunitensi, sarà del 2,15% maggiore del costo del capitale netto di un’impresa statunitense simile.
Dato un premio per il rischio per i mercati azionari maturi (Stati Uniti) del 4,00% e un tasso privo di rischio del 3,80% (Treasury Bond statunitensi), il costo del capitale netto di una società brasiliana con un beta di 1,2 può essere stimato nel modo seguente:






Alcuni analisti sommano il differenziale per il rischio di insolvenza al premio per il rischio statunitense, moltiplicando la somma così ottenuta per il beta. Questo procedimento risulta in un maggiore (minore) costo del capitale netto per le imprese con beta maggiore (minore) di 1.
Volatilità del mercato azionario rispetto a mercati azionari maturi Alcuni analisti ritengono che i premi per il rischio azionario dei mercati debbano riflettere le differenze in termini di volatilità fra i diversi mercati. Una misura convenzionale del rischio azionario è la deviazione standard dei prezzi azionari: deviazioni standard più elevate indicano di solito un rischio maggiore.


Questa deviazione standard relativa, moltiplicata per il premio utilizzato per le azioni statunitensi, fornisce una possibile stima del premio per il rischio totale di un mercato. Se assumiamo una relazione lineare tra il premio per il rischio e la deviazione standard del mercato azionario, oltre alla possibilità di calcolare il premio per il rischio del mercato statunitense (utilizzando ad esempio dati storici), allora il premio per il rischio del Paese X è:



Assumiamo, per il momento, di utilizzare per gli Stati Uniti un premio per il rischio del 4%. La tabella 6.9 elenca i dati della volatilità del Paese per alcuni mercati emergenti ed i risultanti premi per il rischio totale e Paese per questi mercati, basato sull’assunzione che il premio per il rischio degli Stati Uniti sia del 4%.







Tabella 6.9 Volatilità del mercato azionario e Premi per il rischio
Per esempio, il premio per il rischio della Cina è 5,52%, utilizzando questo approccio, ben al di sopra del premio per il rischio di Nigeria, Namibia e Egitto, ognuno dei quali dovrebbe essere un mercato rischioso quanto la Cina. Differenziali per il rischio di insolvenza + volatilità del mercato rispetto ai titoli di Stato I differenziali per il rischio di insolvenza del Paese associati ai rispettivi rating, pur rappresentando una prima tappa importante, misurano soltanto il premio per il rischio di insolvenza. Per capire di quanto, si può calcolare la volatilità del mercato azionario di un Paese rispetto alla volatilità dei titoli di Stato utilizzati per la stima del premio per il rischio azionario del Paese.



A titolo illustrativo, prendiamo il caso del Brasile. Il premio addizionale per il rischio azionario del Paese che ne risulta per il Brasile è il seguente:


Va notato che il premio per il rischio del Paese aumenterà al crescere del differenziale per il rischio di insolvenza del Paese e della volatilità del mercato azionario. Inoltre, va ricordato che esso va sommato al premio per il rischio azionario di un mercato maturo.
I primi due approcci per la stima dei premi per il rischio del Paese tendono a risultare in una stima più bassa rispetto al terzo. Nel caso del Brasile, per esempio, i premi per il rischio del Paese vanno dal 2,76% (secondo approccio), al 6,01% (primo approccio), fino a un picco del 4,43% (terzo approccio). Va ricordato che l’unico rischio rilevante ai fini della stima del costo del capitale netto è il rischio di mercato, ossia il rischio non diversificabile. Se, al contrario, i mercati azionari dei Paesi si muovono nella stessa direzione, il rischio-Paese avrà una componente di rischio di mercato no diversificabile e per la quale è necessario un premio.
7. PARAMETRI DI RISCHIO
Gli ultimi dati di cui abbiamo bisogno per mettere in pratica i nostri modelli di rischio e rendimento sono i parametri di rischio per una specifica attività. Nel CAPM il beta di un’attività deve essere stimato rispetto al portafoglio di mercato. Nel contesto del CAPM, il beta viene poi ottenuto esaminando la relazione fra questi rendimenti e i corrispondenti rendimenti di un indice del mercato azionario. Infine, nell’APM è l’analisi fattoriale dei rendimenti azionari a fornire i vari beta.

7.1.1. Procedura per la stima dei parametri del CAPM
Il beta di un’attività può essere stimato come coefficiente di una regressione dei rendimenti di una singola azione (Rj) sui rendimenti del mercato azionario (Rm).
L’intercetta della regressione fornisce una semplice misura della performance effettivamente ottenuta nell’arco temporale analizzato, rispetto alla performance attesa alla luce del CAPM.
Dal punto di vista finanziario va interpretato come proporzione del rischio complessivo di un’azione (varianza) attribuibile al rischio di mercato; ne segue che la differenza (1-R2) indica invece la proporzione del rischio complessivo di un’azione attribuibile al rischio specifico d’impresa.
Un ultimo dato statistico di interesse è l’errore standard della stima del beta. La prima riguarda la durata del periodo di stima.
7.1.2. Procedura di stima dei parametri di rischio nell’APM e nel modello multifattoriale
Come il CAPM, anche l’APM considera solo il rischio non diversificabile; tuttavia, nella misurazione del rischio, a differenza del CAPM, l’APM tiene conto di una molteplicità di fattori economici. Sebbene il processo di stima dei parametri di rischio sia diverso, molti problemi legati alle determinanti del rischio nel CAPM si presentano anche per l’APM.
La derivazione del beta dai fondamentali rappresenta un approccio alternativo alla stima del beta, in cui si dà minore rilievo alla stima basata su dati storici e maggiore rilievo all’intuizione economica.
Intensità della leva finanziaria (financial leverage) Il beta delle attività dell’impresa è la media ponderata del beta del capitale netto (rischio a carico degli azionisti) e del beta del debito (rischio a carico degli obbligazionisti).
A parità di condizioni, a un aumento della leva finanziaria (cioè del rapporto d’indebitamento ) seguirà un aumento del rischio a carico degli azionisti (e quindi del beta del capitale netto). Il beta dell’insieme di due attività è la media ponderata del beta di ciascuna attività, con i pesi proporzionali al loro valore di mercato.
1. Calcolare il beta unlevered dell’impresa come media ponderata dei beta unlevered delle varie attività, usando come pesi la percentuale del valore di mercato dell’impresa rappresentata da ciascuna attività.

File