Thesis etd-09262013-090110 |
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Thesis type
Tesi di laurea vecchio ordinamento
Author
BATTAGLIA, ELISABETTA
URN
etd-09262013-090110
Thesis title
Le teorie rogersiane nell' insegnamento delle lingue straniere moderne
Department
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Course of study
LINGUE E LETTERATURE STRANIERE
Supervisors
relatore Prof.ssa Coppola, Daria Carmina
Keywords
- approcci umanistico affettivi
- Carl Rogers
- terapia centrata sul cliente
Graduation session start date
04/11/2013
Availability
Full
Summary
Ogni azione dell’insegnare per essere efficace deve essere un’azione di cuore, fatta con il cuore: è questa l’idea che anima il presente lavoro, nato dal desiderio di rielaborare e organizzare una serie di riflessioni maturate, nel corso degli anni, dall’ insegnamento nella scuola primaria. Come maestra ho avuto modo di osservare e indagare aspetti della relazione educativa che spesso sfuggono a una declinazione teorica, e che rappresentano invece il punto di forza (o di debolezza) di ogni insegnamento. Il riferimento è, in primo luogo, al ruolo giocato dalla componente affettiva non solo all’interno del rapporto tra insegnante e alunno, ma anche nell’approccio che ogni docente ha alla sua professione.
L’itinerario di riflessione si è sviluppato e ampliato nel corso del tempo, alimentato da una duplice esigenza: da un lato, quella di ripercorrere le tappe del mio, fin qua, breve viaggio come maestra tra le classi di scuola primaria, viaggio che mi ha portato a comprendere quanto sia forte, da parte dei bambini, il bisogno di trovare accoglimento, di essere guidati e spronati a vivere la propria dimensione emotiva senza timore di essere giudicati, condannati, colpevolizzati; dall’altro, di dare spazio al disagio che vivono gli insegnanti, sempre più demotivati e stanchi, incapaci ormai di provare godimento nella pratica quotidiana. L’insegnante non è solo mero applicatore di teorie apprese, tecnico del sapere, esecutore. L’insegnante è fatto di corpo, cuore, mente. E per sottrarre gli alunni a quella routine polverosa e noiosa che cristallizza i pensieri e inaridisce i sensi, deve mostrarsi come soggetto desiderante, vale a dire come soggetto capace di intraprendere un viaggio che preveda anche percorsi originali sollecitati dalla curiosità e dalla passione per la conoscenza. È una ricerca fatta di entrate e uscite, di successi e fallimenti, gioie e sofferenza, di continua sperimentazione.
Per essere buoni maestri bisogna prima di tutto desiderare di esserlo. Sono necessarie conoscenze, competenze e saperi professionali, ma, soprattutto, occorre essere disposti a mettersi in gioco con sentimento. Diventare insegnanti, soprattutto nella scuola primaria, implica l’assunzione di una responsabilità che si traduce nella formula “Mi curo di...”, una cura che non ha a che fare solo con la formazione e con il processo di apprendimento, ma, soprattutto, attiene alla crescita della persona umana. E non ci si può prendere cura di un bambino senza investire sentimento nella relazione educativa.
Come pensare, quindi, che la scuola possa ancora mantenere saldo il suo ruolo di polo educativo nell’epoca delle passioni tristi, se i docenti mancano degli strumenti e della volontà di leggere tra le righe degli atteggiamenti espliciti e, soprattutto, di quelli impliciti, dei bambini, per entrare in contatto con loro, per stabilire una relazione educativa autentica? Per cercare di intercettare i bisogni degli alunni nel tentativo, non facile, di trasformare le passioni tristi in passioni gioiose? Non basta conoscere, non basta neppure possedere un ampio repertorio di strategie didattiche. Non più, non oggi che le famiglie appaiono sempre più disorientate e bisognose di sostegno, occorre immaginare piuttosto (e quindi realizzare) una didattica che punti a recuperare il sentimento in quanto atto e modo del sentire, come coscienza del proprio essere, per sottrarre i bambini al processo di omologazione, per aiutarli a riconoscersi come persone irripetibili nella loro unicità.
Ogni relazione contribuisce alla costruzione del sé dall’istante in cui si viene al mondo fino alla nostra morte, noi sentiamo di essere al mondo e di farne parte. Nello spazio dell’incontro con l’altro si realizza la nostra conoscenza e la presa di coscienza del proprio essere.
Essere costantemente a contatto con i bambini ha accresciuto in me la convinzione che ogni processo di insegnamento/apprendimento, per essere efficace, deve darsi all’interno di una relazione educativa autentica, che non si esaurisce nello scambio informativo tra docente e alunno, ma trova la sua piena realizzazione nel momento in cui diventa condivisione di idee, di propositi, di sentimento, appunto, quando cadono le barriere della vergogna e della diffidenza, quando il parlare si fa franco e sincero.
Ogni insegnante è sempre anche aspirante tale, proprio perché l’insegnamento non si riduce a una serie di competenze immutabili acquisite in modo definitivo, ma comporta l’assunzione di una responsabilità che si traduce nell’impegno a una formazione continua che non teme il confronto con il nuovo, richiede, inoltre, il coraggio di proporsi ai propri alunni per quello che si è, senza filtri ad aumentare le distanze.
Un tipo di insegnamento che si propone di unire alla competenza professionale il cuore necessita che il docente sappia farsi interprete delle dinamiche affettive che riguardano il gruppo classe e il singolo alunno, in modo da progettare interventi didattici che tengano in considerazione il ruolo che l’emozione e il sentimento hanno nella relazione educativa e quindi in che modo essi influenzano l’apprendimento.
Ogni insegnante che voglia programmare un’azione didattica efficace che punta a una costruzione condivisa e consapevole della conoscenza, deve prevedere l’utilizzo di strategie che possano favorire il processo di apprendimento dell’alunno e soprattutto motivarlo. Insegnare con il cuore è una disposizione che nel momento in cui si entra in classe diventa modalità didattica trasversale a tutte le discipline di studio che affianca le altre modalità “razionali”.
Il presente lavoro cercherà di dimostrare come tutto ciò sia possibile grazie all' applicazione delle teorie di Carl Rogers e agli approcci umanistico affettivi che, dove applicate, rendono l'apprendimento, soprattutto di una lingua straniera, non solo più efficace ma anche in una forma più serena sia per i discenti che per gliinsegnanti
L’itinerario di riflessione si è sviluppato e ampliato nel corso del tempo, alimentato da una duplice esigenza: da un lato, quella di ripercorrere le tappe del mio, fin qua, breve viaggio come maestra tra le classi di scuola primaria, viaggio che mi ha portato a comprendere quanto sia forte, da parte dei bambini, il bisogno di trovare accoglimento, di essere guidati e spronati a vivere la propria dimensione emotiva senza timore di essere giudicati, condannati, colpevolizzati; dall’altro, di dare spazio al disagio che vivono gli insegnanti, sempre più demotivati e stanchi, incapaci ormai di provare godimento nella pratica quotidiana. L’insegnante non è solo mero applicatore di teorie apprese, tecnico del sapere, esecutore. L’insegnante è fatto di corpo, cuore, mente. E per sottrarre gli alunni a quella routine polverosa e noiosa che cristallizza i pensieri e inaridisce i sensi, deve mostrarsi come soggetto desiderante, vale a dire come soggetto capace di intraprendere un viaggio che preveda anche percorsi originali sollecitati dalla curiosità e dalla passione per la conoscenza. È una ricerca fatta di entrate e uscite, di successi e fallimenti, gioie e sofferenza, di continua sperimentazione.
Per essere buoni maestri bisogna prima di tutto desiderare di esserlo. Sono necessarie conoscenze, competenze e saperi professionali, ma, soprattutto, occorre essere disposti a mettersi in gioco con sentimento. Diventare insegnanti, soprattutto nella scuola primaria, implica l’assunzione di una responsabilità che si traduce nella formula “Mi curo di...”, una cura che non ha a che fare solo con la formazione e con il processo di apprendimento, ma, soprattutto, attiene alla crescita della persona umana. E non ci si può prendere cura di un bambino senza investire sentimento nella relazione educativa.
Come pensare, quindi, che la scuola possa ancora mantenere saldo il suo ruolo di polo educativo nell’epoca delle passioni tristi, se i docenti mancano degli strumenti e della volontà di leggere tra le righe degli atteggiamenti espliciti e, soprattutto, di quelli impliciti, dei bambini, per entrare in contatto con loro, per stabilire una relazione educativa autentica? Per cercare di intercettare i bisogni degli alunni nel tentativo, non facile, di trasformare le passioni tristi in passioni gioiose? Non basta conoscere, non basta neppure possedere un ampio repertorio di strategie didattiche. Non più, non oggi che le famiglie appaiono sempre più disorientate e bisognose di sostegno, occorre immaginare piuttosto (e quindi realizzare) una didattica che punti a recuperare il sentimento in quanto atto e modo del sentire, come coscienza del proprio essere, per sottrarre i bambini al processo di omologazione, per aiutarli a riconoscersi come persone irripetibili nella loro unicità.
Ogni relazione contribuisce alla costruzione del sé dall’istante in cui si viene al mondo fino alla nostra morte, noi sentiamo di essere al mondo e di farne parte. Nello spazio dell’incontro con l’altro si realizza la nostra conoscenza e la presa di coscienza del proprio essere.
Essere costantemente a contatto con i bambini ha accresciuto in me la convinzione che ogni processo di insegnamento/apprendimento, per essere efficace, deve darsi all’interno di una relazione educativa autentica, che non si esaurisce nello scambio informativo tra docente e alunno, ma trova la sua piena realizzazione nel momento in cui diventa condivisione di idee, di propositi, di sentimento, appunto, quando cadono le barriere della vergogna e della diffidenza, quando il parlare si fa franco e sincero.
Ogni insegnante è sempre anche aspirante tale, proprio perché l’insegnamento non si riduce a una serie di competenze immutabili acquisite in modo definitivo, ma comporta l’assunzione di una responsabilità che si traduce nell’impegno a una formazione continua che non teme il confronto con il nuovo, richiede, inoltre, il coraggio di proporsi ai propri alunni per quello che si è, senza filtri ad aumentare le distanze.
Un tipo di insegnamento che si propone di unire alla competenza professionale il cuore necessita che il docente sappia farsi interprete delle dinamiche affettive che riguardano il gruppo classe e il singolo alunno, in modo da progettare interventi didattici che tengano in considerazione il ruolo che l’emozione e il sentimento hanno nella relazione educativa e quindi in che modo essi influenzano l’apprendimento.
Ogni insegnante che voglia programmare un’azione didattica efficace che punta a una costruzione condivisa e consapevole della conoscenza, deve prevedere l’utilizzo di strategie che possano favorire il processo di apprendimento dell’alunno e soprattutto motivarlo. Insegnare con il cuore è una disposizione che nel momento in cui si entra in classe diventa modalità didattica trasversale a tutte le discipline di studio che affianca le altre modalità “razionali”.
Il presente lavoro cercherà di dimostrare come tutto ciò sia possibile grazie all' applicazione delle teorie di Carl Rogers e agli approcci umanistico affettivi che, dove applicate, rendono l'apprendimento, soprattutto di una lingua straniera, non solo più efficace ma anche in una forma più serena sia per i discenti che per gliinsegnanti
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