Thesis etd-01082021-221622 |
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Thesis type
Tesi di laurea magistrale
Author
MARIANI, FEDERICA
URN
etd-01082021-221622
Thesis title
«Tutto di noi gran tempo ebbe la morte». Lettura tematica e stilistica della poesia di Alfonso Gatto.
Department
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Course of study
ITALIANISTICA
Supervisors
relatore Prof. Masi, Giorgio
correlatore Prof. Ciccuto, Marcello
correlatore Prof. Ciccuto, Marcello
Keywords
- Alfonso Gatto
- critica letteraria
- morte
- poesia
Graduation session start date
29/01/2021
Availability
Full
Summary
La presente tesi consta di sei capitoli ed è il frutto di un’accurata ricerca in merito alla presenza costante del tema della morte nella produzione poetica di Alfonso Gatto. L’intero lavoro non riguarda soltanto l’individuazione della dimensione funebre nelle liriche selezionate dalle raccolte che si è scelto di prendere in considerazione all’interno del vasto "corpus" gattiano, ossia "Isola", "Morto ai paesi" e "La storia delle vittime", ma consiste anche nel cercare di scavare a fondo nel percorso biografico dell’autore per comprendere le ragioni che lo hanno spinto a comporre versi in cui il silenzio dei morti è ricorrente. La morte, quindi, rappresenta nel registro del suo canto un tema chiave e viene spesso evocata, nonostante la sua poesia nasca in realtà come poesia per la vita, perché il poeta è perfettamente cosciente dell’inesorabile e crudele destino che accomuna tutti gli esseri viventi.
Il primo capitolo fornisce una visione d’insieme dei numerosi volumi della lirica gattiana, partendo dall’esordio poetico a Napoli nel 1932 con "Isola", fino ad arrivare alla pubblicazione postuma nel 1977 di "Desinenze", edita nel rispetto delle carte che lo stesso Gatto aveva preparato per l’edizione poco prima di morire. La medesima indagine cronologica sul materiale poetico viene ripetuta nel secondo capitolo, dove però, a partire dal celebre assunto gattiano “Tutto di noi gran tempo ebbe la morte”, si cerca di mettere in evidenza in ogni silloge la presenza di un autobiografismo insistito nel tema della morte, innescato in "primis" dall’evento doloroso che più di tutti ha inciso di sé il vissuto del poeta, ossia la perdita prematura del fratellino Gerardo. Non solo questa esperienza traumatica, ma anche i successivi lutti per le morti di parenti e amici patiti nel corso degli anni hanno contribuito alla maturazione di un determinato "modus operandi": Gatto, infatti, ha iniziato ad attingere i suoi stimoli poetici direttamente dalla memoria, in modo tale che attraverso i ricordi di determinati episodi potesse esprimere tutto il dolore causato dal distacco forzato e in modo che potesse commemorare i suoi cari defunti, dando loro l’ultimo commiato carico di emotività, tanto da meritarsi la definizione di “poeta degli addii”. Il profondo shock provocato dal conflitto mondiale, però, lo ha condotto inevitabilmente ad abbandonare questa immagine consolatoria della morte e a farla diventare l’orribile morte violenta delle vittime della guerra, in perfetta corrispondenza con la nuova direzione che ha deciso di prendere come uomo e come artista, ossia quella di dedicarsi ad una poesia civile e resistenziale. Una volta giunto all’epilogo della sua vita, infine, la morte sempre più vicina ha assunto il valore di un vero e proprio presagio.
I capitoli più corposi sono il terzo, il quarto e il quinto, tutti impostati allo stesso modo: dopo una breve introduzione di carattere generale sugli aspetti di fondo della silloge presa in esame, si passa ad analizzare una serie di liriche ritenute qualificate allo scopo di mettere in risalto la predilezione del poeta nei confronti della dimensione ultraterrena. La scelta di concentrarsi inizialmente sulla scrittura del primo Gatto con le due raccolte che hanno segnato il suo ingresso nel panorama lirico del Novecento (quella del ’32 e quella del ’37) e di compiere poi un salto cronologico fino al volume di liriche resistenziali del ’66, si deve alla volontà di mostrare al lettore le due facce egualmente significative che hanno caratterizzato il poeta nel corso del tempo, intersecandosi spesso tra loro, e la conseguente evoluzione che ha subito nel suo immaginario il tema della morte. Mentre "Isola" presenta quest’ultima ancora come una sorta di controcanto alla vita, "Morto ai paesi", come appare evidente già a partire dal titolo, è la silloge che risulta maggiormente compromessa con l’aldilà: essa, infatti, si contraddistingue per i numerosi "tombeaux" dedicati ad onorare la memoria degli affetti perduti.
Per "La storia delle vittime", invece, il discorso è più lungo perché questa raccolta di poesie è suddivisa in quattro sezioni, ognuna delle quali con proprie peculiarità. Nella prima, intitolata "Amore della vita", la crudezza della nuova materia proveniente dalla terribile esperienza bellica fa il suo debutto nei versi, ma non riesce ancora a distogliere totalmente Gatto dal rinunciare a soluzioni di più gradevole poeticità. Nella seconda sezione, "Il capo sulla neve", protagonista indiscussa diventa la poesia di testimonianza di millenni di vittime, che cerca però di andare oltre lo stereotipo di una narrazione puramente cronachistica degli eventi, fondendosi con le ragioni dell’essere. In essa l’utilizzo di una terminologia strettamente connessa al tema funebre è flagrante: il poeta, infatti, inserisce già nel titolo un termine emblematico di tale sfera luttuosa, ossia “neve”, che in ogni sua opera è associato all’idea della tomba. La terza sezione, "Giornale di due inverni", continua ad evocare le medesime esperienze descritte nella precedente e, quindi, vale anch’essa come testimonianza delle tragiche situazioni vissute e sofferte. Nei componimenti della sezione conclusiva, "La storia delle vittime", dalla quale viene tratto il titolo dell’intero volume, prende forma un atteggiamento più moralistico e umanitario, in virtù di un ripensamento pessimistico degli accadimenti della storia e del destino degli uomini, reso più lieve grazie alla fiducia rivolta alla Resistenza che non si esaurisce, ma continua a durare nel tempo.
Infine, nell’ultimo capitolo, per garantire una visione completa della poetica di Alfonso Gatto, si formulano osservazioni conclusive sulla base di alcuni aspetti di grandissima importanza: i modelli che l’hanno arricchita ed ispirata, i termini in essa più ricorrenti e il loro significato connesso al contesto funebre, i principali usi retorico-stilistici in essa impiegati e un resoconto relativo alle impressioni che essa è riuscita a far scaturire.
Il primo capitolo fornisce una visione d’insieme dei numerosi volumi della lirica gattiana, partendo dall’esordio poetico a Napoli nel 1932 con "Isola", fino ad arrivare alla pubblicazione postuma nel 1977 di "Desinenze", edita nel rispetto delle carte che lo stesso Gatto aveva preparato per l’edizione poco prima di morire. La medesima indagine cronologica sul materiale poetico viene ripetuta nel secondo capitolo, dove però, a partire dal celebre assunto gattiano “Tutto di noi gran tempo ebbe la morte”, si cerca di mettere in evidenza in ogni silloge la presenza di un autobiografismo insistito nel tema della morte, innescato in "primis" dall’evento doloroso che più di tutti ha inciso di sé il vissuto del poeta, ossia la perdita prematura del fratellino Gerardo. Non solo questa esperienza traumatica, ma anche i successivi lutti per le morti di parenti e amici patiti nel corso degli anni hanno contribuito alla maturazione di un determinato "modus operandi": Gatto, infatti, ha iniziato ad attingere i suoi stimoli poetici direttamente dalla memoria, in modo tale che attraverso i ricordi di determinati episodi potesse esprimere tutto il dolore causato dal distacco forzato e in modo che potesse commemorare i suoi cari defunti, dando loro l’ultimo commiato carico di emotività, tanto da meritarsi la definizione di “poeta degli addii”. Il profondo shock provocato dal conflitto mondiale, però, lo ha condotto inevitabilmente ad abbandonare questa immagine consolatoria della morte e a farla diventare l’orribile morte violenta delle vittime della guerra, in perfetta corrispondenza con la nuova direzione che ha deciso di prendere come uomo e come artista, ossia quella di dedicarsi ad una poesia civile e resistenziale. Una volta giunto all’epilogo della sua vita, infine, la morte sempre più vicina ha assunto il valore di un vero e proprio presagio.
I capitoli più corposi sono il terzo, il quarto e il quinto, tutti impostati allo stesso modo: dopo una breve introduzione di carattere generale sugli aspetti di fondo della silloge presa in esame, si passa ad analizzare una serie di liriche ritenute qualificate allo scopo di mettere in risalto la predilezione del poeta nei confronti della dimensione ultraterrena. La scelta di concentrarsi inizialmente sulla scrittura del primo Gatto con le due raccolte che hanno segnato il suo ingresso nel panorama lirico del Novecento (quella del ’32 e quella del ’37) e di compiere poi un salto cronologico fino al volume di liriche resistenziali del ’66, si deve alla volontà di mostrare al lettore le due facce egualmente significative che hanno caratterizzato il poeta nel corso del tempo, intersecandosi spesso tra loro, e la conseguente evoluzione che ha subito nel suo immaginario il tema della morte. Mentre "Isola" presenta quest’ultima ancora come una sorta di controcanto alla vita, "Morto ai paesi", come appare evidente già a partire dal titolo, è la silloge che risulta maggiormente compromessa con l’aldilà: essa, infatti, si contraddistingue per i numerosi "tombeaux" dedicati ad onorare la memoria degli affetti perduti.
Per "La storia delle vittime", invece, il discorso è più lungo perché questa raccolta di poesie è suddivisa in quattro sezioni, ognuna delle quali con proprie peculiarità. Nella prima, intitolata "Amore della vita", la crudezza della nuova materia proveniente dalla terribile esperienza bellica fa il suo debutto nei versi, ma non riesce ancora a distogliere totalmente Gatto dal rinunciare a soluzioni di più gradevole poeticità. Nella seconda sezione, "Il capo sulla neve", protagonista indiscussa diventa la poesia di testimonianza di millenni di vittime, che cerca però di andare oltre lo stereotipo di una narrazione puramente cronachistica degli eventi, fondendosi con le ragioni dell’essere. In essa l’utilizzo di una terminologia strettamente connessa al tema funebre è flagrante: il poeta, infatti, inserisce già nel titolo un termine emblematico di tale sfera luttuosa, ossia “neve”, che in ogni sua opera è associato all’idea della tomba. La terza sezione, "Giornale di due inverni", continua ad evocare le medesime esperienze descritte nella precedente e, quindi, vale anch’essa come testimonianza delle tragiche situazioni vissute e sofferte. Nei componimenti della sezione conclusiva, "La storia delle vittime", dalla quale viene tratto il titolo dell’intero volume, prende forma un atteggiamento più moralistico e umanitario, in virtù di un ripensamento pessimistico degli accadimenti della storia e del destino degli uomini, reso più lieve grazie alla fiducia rivolta alla Resistenza che non si esaurisce, ma continua a durare nel tempo.
Infine, nell’ultimo capitolo, per garantire una visione completa della poetica di Alfonso Gatto, si formulano osservazioni conclusive sulla base di alcuni aspetti di grandissima importanza: i modelli che l’hanno arricchita ed ispirata, i termini in essa più ricorrenti e il loro significato connesso al contesto funebre, i principali usi retorico-stilistici in essa impiegati e un resoconto relativo alle impressioni che essa è riuscita a far scaturire.
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