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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-11192018-085517


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
GIANGRECO, FRANCESCO
URN
etd-11192018-085517
Titolo
Diabete mellito tipo 2 e declino cognitivo: ruolo del genotipo dell'apolipoproteina E
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Del Prato, Stefano
correlatore Dott.ssa Dardano, Angela
Parole chiave
  • declino cognitivo
  • apolipoproteina E
  • diabete mellito tipo 2
Data inizio appello
11/12/2018
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
11/12/2088
Riassunto
Introduzione
Il diabete mellito tipo 2 (DMT2) è la forma di diabete più frequentemente riscontrata nella pratica clinica, rappresentando oltre il 90% dei casi. È definito come un disordine metabolico causato da un deficit parziale di secrezione insulinica, che in genere progredisce nel tempo e che si instaura spesso su una condizione, più o meno severa, di insulino-resistenza su base multifattoriale. La prevalenza a livello mondiale del diabete mellito è in continua crescita. Il diabete mellito è una malattia a decorso progressivo, associata a un elevato rischio di sviluppare complicanze, sia acute che croniche. Un’importante e crescente complicanza della malattia diabetica coinvolge il sistema cognitivo. Vi sono evidenze in letteratura che dimostrano come i pazienti diabetici abbiano un rischio di sviluppare quadri di declino cognitivo, fino alla demenza, molto più alto rispetto alla popolazione generale non diabetica e sembra che il declino cognitivo avvenga, nei diabetici, in modo accelerato in confronto a quello dei controlli. La patogenesi del declino cognitivo nel soggetto diabetico è multifattoriale e i meccanismi alla base del fenomeno non sono ancora chiari.
Scopo
Gli scopi della tesi sono stati quelli di (1) valutare la prevalenza di disturbi cognitivi in soggetti affetti da diabete mellito tipo 2, non affetti da demenza (2) identificare possibili fattori di rischio demografici, clinici e biochimici associati alle alterazioni cognitive (3) valutare, nei soggetti con diabete mellito tipo 2, il possibile ruolo dell’aplotipo E4 dell’ ApolipoproteinaE (ApoE) nel determinare un maggior rischio di disfunzione cognitiva.
Pazienti, Materiali e Metodi
Sono stati arruolati consecutivamente 143 soggetti (66 donne; mediana dell’età 69 anni; range 35-88 anni), affetti da DMT2, afferenti all’ambulatorio diabetologico della UO di Malattie Metaboliche e Diabetologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana (AOUP), nell’arco di 6 mesi. Sono stati esclusi soggetti con storia di ipoglicemia severa, disturbo dell’umore, concomitante terapia anti-depressiva, abuso di sostanze psicoattive, presenza di declino cognitivo già noto, di malattia neurodegenerative, di epilessia e di danno cerebrale da trauma recente (6 mesi). I soggetti reclutati sono stati sottoposti a un prelievo di sangue venoso, per la determinazione dei principali parametri ematochimici e metabolici, tra cui glicemia, HbA1c, creatinina, AST, ALT, profilo lipidico completo e per la genotipizzazione dell’aplotipo ApoE. La valutazione della funzione cognitiva è stata eseguita mediante Mini-Mental State Examination (MMSE), Montreal Cognitive Assessment (MoCA) e Trail Making Test (TMT). I dati relativi alla funzione cognitiva dei soggetti diabetici sono stati confrontati con quelli ottenuti da una popolazione di controllo, costituita da soggetti sani, non diabetici.
Risultati e conclusioni
I dati del nostro studio documentano un’elevata prevalenza di declino cognitivo nella popolazione diabetica rispetto a quella non diabetica. I fattori predittivi di maggior rischio sono risultati essere l’età, la scolarità e la durata di malattia. Nei soggetti diabetici, l’aplotipo E4 correla con una ridotta performance cognitiva, suggerendo un possibile effetto sul rischio di declino cognitivo. Il precoce rilevamento del declino cognitivo nei soggetti diabetici permette di identificare un gruppo di pazienti caratterizzato da una maggiore vulnerabilità e che potrebbe trarre benefici dal trattamento e dall’assistenza personalizzata, in base alle caratteristiche individuali. Questi risultati richiedono conferma con più ampi studi di associazione.
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