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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-10242016-092017


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
TUCI, ILARIA
URN
etd-10242016-092017
Titolo
Educare alla storia dell'arte: i libri per l'infanzia dalla carta al digitale.
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE, DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA
Relatori
relatore Prof.ssa Gioli, Antonella
correlatore Prof. Tosi, Alessandro
Parole chiave
  • Educazione
  • arte
  • nfanzia
Data inizio appello
07/11/2016
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
07/11/2086
Riassunto
“Libro d'arte per l'infanzia” è una terminologia convenzionale che fin da subito rivela le difficoltà della sua definizione. Appartiene a un settore specializzato e indipendente della letteratura per l'infanzia, nel quale si trovano collegati tra loro elementi di storia dell'infanzia, storia dell'editoria e, naturalmente, storia dell'arte. In quanto “libro d'arte”, una delle sue prime definizioni si deve allo storico Francis Haskell, che per distinguerlo dalle stampe d'arte lo descrive in questi termini:

«I libri d'arte, nel senso in cui userò il termine, sono certamente dei libri illustrati, ma è del tutto evidente che i libri illustrati non sono necessariamente libri d'arte; perfino i libri illustrati che riproducono significative opere d'arte non sono sempre libri d'arte come io li intendo. […] Il libro d'arte, come io l'intendo, è una combinazione di testo e illustrazione. Ma le definizioni di questo tipo diventano ben presto tanto tediose quanto inutili, e ora oserò affermare audacemente che il libro d'arte fu concepito dalla metà alla fine del secolo XVII e nacque all'inizio del XVIII con la creazione di un volume di grande rilievo di cui parlerò diffusamente»1.

Il libro d'arte per l'infanzia proviene dunque da questa tradizione in quanto il rapporto testo e immagine è una delle caratteristiche su cui si fonda, ma si sviluppa in Italia soltanto a partire dagli anni Trenta del Novecento, distinguendosi dai libri illustrati con i quali condivide solamente il tipo di pubblico al quale si rivolge.
Quindi, il libro d'arte per l'infanzia è un libro per bambini. Ma di che tipo? Come si definisce? Che cosa lo contraddistingue? Esso svolge una precisa funzione educativa, combinando testo e immagini con lo scopo di introdurre il pubblico infantile alla storia dell'arte in tutte le sue diverse sfaccettature.
Abbiamo quindi una serie di aspetti caratterizzanti da analizzare, di cui è opportuno valutare la costanza o evoluzione nel tempo suddiviso in tre principali intervalli storici (Tabella 1). Innanzittutto è necessario soffermarsi sulla tipologia di pubblicazione adottata dai vari editori a seconda dei diversi periodi storici di riferimento; in seguito sul tipo di autore, se scrittore professionista, critico o storico dell'arte o insegnante. Si dovrà tenere conto poi della rilevanza del testo, se si tratta di un racconto biografico oppure di fantasia; di un'esposizione storica o di una descrizione interattiva o didascalica. Infine considerare gli aspetti materiali, cioè l'importanza della presenza delle immagini rispetto al testo il cui rapporto determina il livello di comprensione e le finalità educative. A questo proposito, sia nei testi a stampa che negli appbook di recente produzione, gli apparati iconografici possono essere composti da riproduzioni fotografiche delle opere d'arte o da illustrazioni create ad hoc, oppure dalla combinazione di entrambe. Nei libri in cartaceo la stampa di immagini avviene tramite tecniche analogiche (clichés fotomeccanici, stampa offset), mentre nei libri digitali le immagini vengono riprodotte tramite formati vettoriali modificabili con grafica 3D.
Prima di entrare nello specifico dell'analisi oggetto di questa ricerca, è necessario chiarire perché si è scelto di usare in questo lavoro un'accezione universalistica come “infanzia”, e non le parole specifiche “bambini” o “ragazzi”. Infanzia infatti determina convenzionalmente il tipo di lettore al quale ci si rivolge compreso in un'età tra i 6 e i 12 anni:

«L'universalità della condizione dell'infanzia è stata messa in discussione da circa mezzo secolo, da quando cioè l'analisi storica ha iniziato a dimostrare che l'infanzia non ha lo stesso significato e la stessa rilevanza in tutte le forme di società e che quindi è un fenomeno anche culturale, e non solo biologico e psicologico»2.

“Infanzia” è quindi una macro-categoria che comprende la fenomenologia della crescita umana nelle sue variazioni e evoluzioni storiche. Sono note infatti le difficoltà riscontrate dagli storici dell'infanzia nello stabilire dei termini di riferimento sempre uguali, per cui il “vivere infantile” o “l'età bambina” hanno ricevuto un'attenzione sempre diversa dall'antichità fino ad oggi3, subendo una svolta importante nel corso degli studi novecenteschi. Il primo a fissare i termini di separazione tra infanzia e età adulta sulla base di categorie che cambiano in base al contesto storico e geografico, è lo storico francese Philippe Ariès, che agli inizi degli anni Sessanta formulò la tesi per cui il significato e l'importanza dell'infanzia così come sono conosciuti oggi nascono nella società europea moderna a partire dal XVII secolo:

«L'interpretazione di Ariès ha aperto un ampio dibattito. Lo storico francese è stato contestato perché avrebbe riconosciuto come 'infanzia' soltanto una condizione specifica nella storia europea recente. Si è notato per contrasto, che possono esservi infanzie diverse, che valgono in altri periodi storici e in altre forme di società. […] La tesi generale di questo tipo di studi è che l'infanzia non è un fenomeno naturale che si dispiega da sé, bensì una costruzione sociale situata storicamente e geograficamente, una cultura che si produce in una società specifica»4.

Ecco perché, considerando che questo lavoro si sviluppa attraverso un intervallo storico che include un periodo di importanti trasformazioni sociali, il primo aspetto a cui faremo riferimento è la definizione delle diverse età infantili come progressione dello sviluppo del bambino in relazione alle finalità educative richieste dalla società:

«Le classi di età scandiscono in modo formale la vita dei bambini: ad esempio, in Italia, dai sei ai dieci anni un bambino frequenta la scuola primaria. Si osservano inoltre punti di transizione che scandiscono i passaggi da una classe all'altra: a sei anni si entra nella scuola primaria e a undici si passa dalla scuola primaria alla scuola secondaria di primo grado. […] Il riferimento all'età rappresenta una regolamentazione dell'infanzia che è legata alla tradizione culturale di una società e che proviene dalla sua storia»5.

Il riferimento all'età di scolarizzazione e all'ordinamento della scuola dell'obbligo è necessario per determinare il grado di istruzione dei giovani lettori di libri d'arte per l'infanzia e si lega a un secondo aspetto che caratterizza l'infanzia nella sua universalità, quello che ne rappresenta il suo aspetto giuridico e quindi l'insieme di norme che ne tutelano i diritti impedendo lo sfruttamento minorile e riconoscendo il valore dei bisogni dei soggetti sociali deboli in formazione:

«I bambini crescono non soltanto fisicamente, ma anche psicologicamente verso il loro destino futuro: diventare adulti. Per questo motivo, la loro condizione è spesso comparata a quella degli adulti […]. La definizione di 'minore', riferita al bambino nella lingua italiana, chiarisce il significato di questa comparazione. La condizione minorile è una condizione provvisoria, legata all'età: indica una struttura normativa che vincola le azioni dei bambini e il punto di passaggio alla maggiore età»6.

Si inizia a parlare di “diritto minorile” in Italia, solo a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, quando per la prima volta si tenta di elaborare «un compiuto sistema giuridico che raggruppi in modo organico le disperse, e talvolta contraddittorie, norme che si occupano del soggetto in formazione collegandole tra loro7». Fino ad allora, l'ordinamento legislativo riguardava soltanto un tipo di intervento penale nei confronti del minore, legato alla realizzazione di una migliore tutela della collettività dal pericolo della devianza giovanile. Se pensiamo all'immaginario ottocentesco che ci restituisce la letteratura anglosassone, con in primis la serie di romanzi sociali di Charles Dickens ambientati in Inghilterra nel pieno della Rivoluzione Industriale8, oppure i romanzi d'avventura dell'americano Mark Twain9, ritroviamo come protagonisti dei bambini già ragazzi, spesso orfani e analfabeti, che a causa delle condizioni disagiate in cui si trovano a vivere si vedono negato il diritto all'infanzia, il diritto a una famiglia, a una casa, il diritto all'istruzione. Diritti negati alle classi sociali deboli nel corso dell'Ottocento e primi anni del Novecento, mentre venivano garantiti ai ceti agiati come la borghesia, così come spiega il giurista Alfredo Carlo Moro nel suo Manuale di diritto minorile:

«Alla base di questa grave disattenzione verso le esigenze del minore, da soddisfare anche attraverso il diritto, vi sono state sicuramente gravi carenze di attenzione alla personalità in formazione da parte del costume e della cultura corrente, ma anche, anzi principalmente, ragioni interne allo stesso ordinamento giuridico precostituzionale. […] Poi la tendenza – assai viva nelle codificazioni ottocentesche europee – a prendere in considerazione solo 'il soggetto unificato', e cioè il soggetto normale della società borghese, comportava di necessità l'impossibilità di prevedere interventi normativi particolaristici, e tutele differenziate, a seconda delle diverse esigenze»10.

Per quanto il diritto minorile sia un argomento trasversale ai fini di questa ricerca, risulta comunque essere lo strumento che legittima e garantisce al bambino il diritto a una formazione d'obbligo capace di stimolare l'apprendimento come modo di accesso all'autoregolazione:

«Una preselezione accurata di condizionamenti sociali sembra il modo migliore per raggiungere un obiettivo educativo, pertanto gli educatori selezionano contenuti e modi 'corretti' della comunicazione a cui esporre i bambini, e agiscono in modo da pianificare e vincolare le relazioni tra i bambini e il loro ambiente fisico e sociale»11.

L'educazione diventa quindi l'ultimo aspetto che caratterizza la collocazione del bambino nel tempo, garantendogli una solida formazione in vista del suo passaggio all'età adulta:

«L'esigenza di formazione lega il riferimento all'età dei bambini, quindi il passato, al loro futuro di adulti: data la rilevanza primaria del futuro, è necessario che i bambini vengano formati nel loro sviluppo in modo adeguato all'età, […] progettando una formazione adeguata per un futuro realizzato. […] Mettersi alla prova, fare da solo, capire i propri limiti e le proprie risorse non sono processi che il bambino può ricavare dalla sua esperienza quotidiana: richiedono un'educazione, una formazione dall'esterno»12.

Per questo motivo il libro d'arte per l'infanzia si presenta come un importante strumento educativo a disposizione dei bambini e dei ragazzi che vogliono essere avvicinati o avvicinarsi alla storia dell'arte, al fine di sviluppare capacità sensoriali e di ragionamento che potranno ricordare e di cui potranno servirsi per il resto della loro vita.
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