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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-10202016-113640


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
SOTGIU, ELISA
URN
etd-10202016-113640
Titolo
L'avanguardia impossibile. Il Gruppo 63 nel campo culturale degli anni Sessanta
Dipartimento
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Corso di studi
LINGUA E LETTERATURA ITALIANA
Relatori
relatore Prof. Donnarumma, Raffaele
correlatore Prof. Casadei, Alberto
Parole chiave
  • Umberto Eco
  • world literature
  • teoria dell'avanguardia
  • Sessantotto
  • Renato Barilli
  • neoavanguardia
  • Novissimi
  • postmoderno
  • Nanni Balestrini
  • Elio Pagliarani
  • letteratura e scienza
  • Edoardo Sanguineti
  • Angelo Guglielmi
Data inizio appello
07/11/2016
Consultabilità
Completa
Riassunto
La tesi analizza le contraddittorie condizioni di esistenza del Gruppo 63 negli anni Sessanta e la sua dissoluzione alle soglie del decennio successivo. L’assunto di partenza è che i tratti caratteristici della precedente avanguardia italiana, il Futurismo, fossero la conseguenza della posizione semiperiferica dell’Italia all’interno di un sistema-mondo in forte competizione: l’impossibilità di concorrere concretamente per l’egemonia sul piano politico ed economico avrebbe determinato un forte investimento sul campo culturale che, con un rovesciamento bourdiesiano della gerarchia di valori, avrebbe consentito ai futuristi di situarsi in posizione dominante. All’indomani del boom economico, però, l’Italia entra a far parte del ristretto core degli stati capitalistici avanzati, per di più in una condizione di forzoso mantenimento dell’equilibrio internazionale all’interno del blocco occidentale. In questo contesto l’agonismo e l’eteronomismo che avevano caratterizzato la prima avanguardia sono considerati una faccenda ormai superata, e il termine ‘avanguardia’ assume un significato peggiorativo. I nuovi entranti nel campo letterario, però, proprio a causa delle leggi che regolano un campo che ha già raggiunto la piena autonomia, sono costretti ad adottare l’etichetta di ‘avanguardia’ per distinguersi dallo ‘sperimentalismo’ del gruppo di «Officina» e raggiungere così la posizione a maggior capitale specifico nel sottocampo della produzione ristretta. Il problema di come essere avanguardia nel tempo presente diventa perciò un tema ricorrente nella produzione letteraria e teorica del Gruppo 63; al timore di essere intrappolati in un futile circolo vizioso di rottura e normalizzazione si accompagnano una più ampia sfiducia nel progresso e un senso diffuso di incombente fine della storia. Il Gruppo risponde quindi alla necessità di ridefinire il ruolo dell’avanguardia muovendo la posta in gioco del campo letterario verso una maggiore tensione gnoseologica e tentando di acquisire maggiore prestigio tramite la scientifizzazione del proprio lavoro e della propria etica professionale. Per fare questo i neoavanguardisti assumono una posizione peculiare all’interno del dibattito sulle ‘due culture’ dell’inizio degli anni Sessanta, appoggiandosi a una linea di pensiero fenomenologica che metteva in discussione la separazione radicale fra letteratura e scienza: da una parte, quindi, mettono l’accento sulla dimensione tecnica, operativa, del fare artistico, dall’altra si appoggiano alla meccanica quantistica e al principio di indeterminazione per affermare l’infondatezza della divisione fra soggetto e oggetto e quindi fra razionale e irrazionale, presupposti teorici del positivismo borghese e della teoria della modernizzazione capitalistica.
Il neoavanguardista, che analizza i fondamenti dell’esperienza e della razionalità, che conosce e ricostruisce la logica del disordine su cui si fonda il mondo, che mette alla prova il linguaggio dei nuovi mezzi di comunicazione nel proprio laboratorio, si candida quindi a specialista dell’opposizione, figura professionale dedita alla critica all’ideologia borghese. Questo fragile equilibrio viene però messo in crisi quando, nel Sessantotto, la contestazione antisistemica è assunta direttamente sul piano politico e il ruolo residuo che l’avanguardia aveva assunto non può più costituire una posta in gioco specifica che distingua il campo culturale dal più ampio campo del potere. Diventa quindi chiara l’assoluta inconsistenza della vocazione eteronoma, cioè direttamente politica, della neoavanguardia: l’attacco all’istituto dell’arte e alla sua autonomia non è questa volta un movimento interno, che porterebbe come nel caso del Futurismo ad interpretare il conflitto in atto come primariamente culturale, ma la poco gradita conseguenza di avvenimenti esterni a un campo risolutamente autonomo.
Di qui il nesso della neoavanguardia con la successiva epoca culturale postmoderna: se da una parte il fallimento del tentativo sessantottino di ripristinare la portata politica della contestazione artistica distrugge la posta in gioco dell’avanguardia e rimane, nei decenni successivi, l’emblema della sua inattuabilità, dall’altra è lo stesso Gruppo 63 che decreta la fine della storia come avanzamento e superamento e che crea le premesse teoriche per il successivo relativismo debolista. Il primo germe del postmoderno è quindi gettato nel momento in cui l’avanguardia prende coscienza della propria impossibilità nel tempo presente.
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