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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-09272005-083352


Tipo di tesi
Tesi di laurea vecchio ordinamento
Autore
Coluccini, Luca
Indirizzo email
luca_coluccini@hotmail.com
URN
etd-09272005-083352
Titolo
Phytoremediation: una tecnica verde per pulire i suoli inquinati da metalli pesanti
Dipartimento
AGRARIA
Corso di studi
SCIENZE AGRARIE
Relatori
relatore Navari, Flavia
Parole chiave
  • phytoremediation
  • metalli pesanti
  • inquinamento
Data inizio appello
17/10/2005
Consultabilità
Completa
Riassunto
1. INTRODUZIONE

Metalli
I metalli sono presenti nei suoli, nell’atmosfera, nelle acque, e negli organismi viventi.
Il grado di tossicità, inoltre, varia a seconda del metallo e dell’organismo.
Molto spesso parlando di metalli tossici ci si riferisce ai metalli pesanti.
Conseguentemente i metalli tossici sono presenti nei terreni naturali come risultato della decomposizione del substrato pedogenetico.
Spesso il metallo presente in concentrazioni maggiori risulta lo Zn, seguito da Cu, Pb, Cr e Ni. Per combustione dei carburanti e dei lubrificanti si diffondono prevalentemente Pb e Cd, mentre Cd e Zn si liberano soprattutto dal consumo dei pneumatici.





1.1.5 Metalli nel terreno
Tenendo conto della importante diversità delle forme chimiche dei metalli presenti nel compost, è soprattutto nel terreno che si svolgono i processi fondamentali per l’assunzione di questi elementi da parte delle piante coltivate.
La presenza di metalli in eccesso nel terreno causa rischi per l’uomo e per l’ambiente. Alcune malattie umane sono dovute al Cd (Nogawa et al., 1987; Kobayashi, 1978; Cai et al., 1990), al Se (Yang et al., 1983) e al Pb presenti nel terreno (Chaney et al., 1999). In più, la contaminazione del suolo con Zn, Ni, e Cu causata dai rifiuti delle miniere e fonderie è ritenuta fitotossica per le piante sensibili (Chaney et al., 1999). Le estrazioni di terreno in sequenza sono impiegate per isolare e quantificare i metalli associati con differenti frazioni (Tessier et al., 1979).

La biodisponibilità dipende dalla solubilità del metallo in soluzione nel terreno. Solo i metalli associati con le frazioni 1) e 2) (sopra) sono subito disponibili per l’assorbimento della pianta. Alcuni metalli, come Zn e Cd, si presentano primariamente subito in forma biodisponibile, scambiabile.
In generale, l’assunzione delle particelle di terreno riduce l’attività del terreno dei metalli nel sistema.

Nei terreni acidi, l’assorbimento del metallo dai siti di collegamento del terreno in soluzione è stimolata dalla competizione H+ per i siti colleganti.
Il pH del terreno influenza non solo la biodisponibilità del metallo, ma anche il reale processo dell’assorbimento del metallo nelle radici. Questo effetto sembra essere specifico dei metalli.





Principali equilibri dei metalli nel terreno:


Le applicazioni di compost comportano evidenti effetti sulle condizioni chimiche e fisiche del terreno, che possono alterare il comportamento dei metalli pesanti e quindi la loro disponibilità per i vegetali. E’ evidente che tali effetti possono modificare gli equilibri esistenti tra le diverse forme chimiche dei metalli pesanti nel terreno, inducendo quindi importanti variazioni della loro assimilazione. L’arricchimento del suolo in metalli pesanti è dovuto principalmente alla deposizione secca e umida dell’atmosfera e, per i suoli ad uso agricolo, alla fertilizzazione chimica a causa della ricchezza in metalli del materiale di partenza e all’uso di fanghi di depurazione come fertilizzanti.
Dalla rivoluzione industriale ad oggi, la concentrazione di metalli quali Co, Cr, Ni, Mo, Rb, V e Zr non è aumentata significativamente, mentre quella di altri elementi quali Pb, Zn, Cu, Cd è aumentata fino al 10% negli orizzonti superficiali del suolo.
Allo scopo di prevenire l’accumulo di metalli pesanti nei suoli coltivati, l’Unione Europea (UE) nel 1986 ha stabilito i contenuti massimi in ppm di metalli pesanti per i suoli destinati ad uso agricolo soggetti a spargimento di fanghi, in base alla Direttiva Comunitaria CEC 1986.
Tabella 1












Dall’esame della tabella 1 è evidente che la concentrazione massima ammissibile per alcuni metalli, ad esempio Cd e Hg, è molto bassa rispetto a quella di altri metalli pesanti.
L’esistenza di intervalli di concentrazione è dovuta al fatto che la tossicità e la mobilità potenziale dei metalli pesanti dipende dalle proprietà chimico-fisiche dei suoli (tessitura, pH e uso del suolo). L’accumulo dei metalli pesanti nella pedosfera è dovuto alla reattività delle particelle organiche e minerali presenti nel suolo. In generale, la mobilità e la disponibilità dei metalli pesanti nel suolo si riduce all’aumentare del pH per precipitazione, adsorbimento e per l’aumento della stabilità dei complessi organici (Banuelos e Ajwa, 1999). Comunque, la vulnerabilità di un suolo all’accumulo di metalli pesanti è funzione delle caratteristiche pedochimiche sopra citate, il cui peso relativo varia in relazione al tipo di suolo considerato e alla tipologia dell’inquinamento.

Alti livelli di metalli nel terreno possono essere fitotossici. La lenta crescita delle piante e la copertura del terreno causata dalla tossicità dei metalli può condurre al movimento del metallo nell’acqua di scarico e al successivo deposito nei vicini corpi d’acqua. Oltre all’entità dell’accumulo di metalli pesanti, gli esperimenti a lungo termine hanno dimostrato che l’accumulo dei metalli pesanti del suolo provoca una diminuzione della fertilità chimica e biologica del suolo dovuta alla riduzione della biomassa microbica e della diversità biologica della microflora, dell’attività enzimatica e della fissazione dell’azoto. L’esposizione dei metalli pesanti provenienti da suoli contaminati è legata al movimento delle particelle in seguito all’azione del vento e dell’acqua.
La sostanza organica presente nel suolo ha una funzione essenziale nella solubilizzazione e nel ciclo di un elemento nel suolo. È stato visto che l’incremento della concentrazione salina aumenta la mobilità del metallo lungo il profilo del suolo, a conferma che lo scambio cationico e la complessazione con leganti inorganici può avere effetti sulla solubilità del metallo (Boyle e Fuller, 1987; Amrhein et al., 1992).
Anche la microflora batterica e fungina agisce sui metalli tossici sia indirettamente liberando sostanze organiche solubili che legano il metallo, sia direttamente mediante processi metabolici che possono contribuire a diminuire la mobilità dei metalli.
La pianta rimuove il metallo dalla soluzione circolante, per cui la sua concentrazione nella soluzione circolante diminuisce. Se quel metallo è presente nei siti di scambio del suolo, una parte di quello adsorbito viene liberato. Gli effetti della tossicità dei metalli si possono manifestare sia sulla pianta stessa, con riduzione del vigore, inibizione della crescita ed eventualmente morte, sia nel suolo con diminuzione del numero, della diversità e dell’attività dei microrganismi.

L’apparato radicale è il primo organo della pianta a subire i danni, trovandosi direttamente a contatto con i metalli e di solito ne accumula una quantità superiore rispetto alla parte aerea (Ciscato et al., 1997; Milone, 1995; Milone et al., 2003; Sgherri et al., I metalli, alterando la struttura e le attività enzimatiche della membrana plasmatica delle cellule radicali, provocano un aumento della permeabilità e una diminuzione della selettività nei confronti degli stessi ioni metallici (Cumming e Tomsett, 1992).
1981; Quartacci et al., 2003).
In seguito alla traslocazione i metalli raggiungono la parte epigea dove influiscono sulla regolazione del sistema fotosintetico danneggiando la struttura e la funzionalità delle membrane tilacoidali e diminuendo il contenuto di clorofilla (Milone et al., 1995; Ciscato et al., 1997). Nella pianta si verifica clorosi e crescita ridotta della parte epigea e delle radici, con conseguenti problemi nell’assorbimento dell’acqua (Milone, 1995; Milone et al., 2003; Sgherri et al., 2001).
1.1.7 Meccanismi di tolleranza
Le piante possono distinguersi in metallo-tolleranti, metallo-sensibili e metallo-ipersensibili in funzione della loro risposta alla presenza di concentrazioni elevate di metalli (Baker, 1987).
La tolleranza ad elevati livelli di metalli all’interno dei tessuti diventa un’importante proprietà per quelle piante che saranno utilizzate per la “phytoremediation”. Non saranno però utilizzabili tutte quelle piante che impiegano, come meccanismi di tolleranza, l’immobilizzazione del metallo a livello della parete delle cellule radicali o la diminuzione dell’assorbimento radicale (Ernst, 1992).
L’efficienza di un programma di fitoestrazione dipende dalla scelta della pianta più idonea, cioè dotata della migliore capacità di crescere e accumulare il metallo nelle specifiche condizioni climatiche e pedologiche del sito da bonificare, piante cioè in grado di mettere in atto efficienti meccanismi di detossificazione (Chaney, 1983; Salt et al., 1995; Baker et al., 2000).
L’elevata quantità di metalli presente nei tessuti delle piante iperaccumulatrici ha fatto supporre l’esistenza di meccanismi di difesa che evitano alla pianta gli effetti dannosi causati dai metalli (Baker e Brooks, 1989; Lasat, 2002). 2001; Milone et al., 2003). La parete cellulare delle radici è la prima struttura della pianta ad entrare in contatto con i metalli e può ostacolarne l’assorbimento attraverso meccanismi di esclusione. Ad esempio il Cd può essere immobilizzato nella parete cellulare (Nishizono et al., La membrana plasmatica può impedire o limitare l’entrata dei metalli e può ridurre la concentrazione degli ioni metallici aumentandone l’efflusso. Studi recenti hanno rivelato l’esistenza, nelle piante, di trasportatori di metalli coinvolti nei meccanismi di tolleranza. Essi includono le CPx-ATPasi, i Nramps, la famiglia dei facilitatori della diffusione dei cationi (CDF) (Williams et al., In base alla distribuzione dei residui di cisteina le metallotioneine sono suddivise in tre classi ognuna affine ad un determinato metallo (Rauser, 1990, 1999).
Inoltre sembra che esse svolgano anche un ruolo nei meccanismi di riparazione della membrana plasmatica (Salt et al., 1998).
Sono anch’esse polipeptidi ricchi di cisteina, a basso peso molecolare, che formano complessi con i metalli nel citosol e sono importanti nella compartimentalizzazione dei metalli nel vacuolo (Ortiz et al., 1995).

Alcune piante contengono composti simili ma non identici alle fitochelatine canoniche.
La capacità delle fitochelatine di rilasciare i metalli legati ad apoproteine metallo-dipendenti è stata verificata in vitro (Thumann et al., 1991).
Studi recenti sull’importanza ed il ruolo nella detossificazione dei metalli da parte delle fitochelatine sono stati condotti su sospensioni cellulari ed espianti tissutali da radice di Vigna angularis (Inouhe et al., 2000). Inoltre le PC partecipano al mantenimento dell’omeostasi cellulare del metallo (Zenk, 1996) e sono coinvolte nel limitare il trasporto dei metalli tossici dalle radici ai germogli (Galli et al., 1996). Esse sono responsabili della detossificazione di Cu, Zn e soprattutto del Cd (Salt, 1998; Cobbett, 2000). Il trasporto e la conseguente compartimentazione dei metalli costituiscono un meccanismo di tolleranza che consente di ridurre i livelli di metalli tossici nel citosol. Recenti studi hanno dimostrato che il vacuolo è il sito dove si accumulano molti metalli tossici, come Zn e Cd (Ernst et al., 1989; Lindquist e Craig, 1988; Pelham, 1988; Vierling, 1991; Lewis et al., 1999). 1998; Navari-Izzo et al., 1999; Quartacci et al., La tossicità associata a questi metalli può essere dovuta, almeno in parte, al danno ossidativo provocato nei tessuti. (Navari-Izzo et al., 1998; Navari-Izzo et al., 1999).
ossidando il NADPH (Quartacci et al., 2001a; Roy et al., 1994).
E’ stato osservato che l’aumento della produzione di radicali liberi potrebbe essere dovuta anche all’interferenza del metallo con il normale funzionamento della catena di trasporto elettronico dei mitocondri e dei cloroplasti (Weckx e Clijsters, 1997). In presenza di metalli un aumento nei livelli delle forme attivate dell’ossigeno e una diminuzione nei meccanismi di detossificazione può provocare la degradazione delle biomembrane (Navari-Izzo, 1993; Quartacci et al., 1995; Quartacci et al., 2000; Quartacci et al., 2001a), con alterazione dell’ATPasi di membrana e dei processi mediati dall’ossidasi e inibizione della fotosintesi (Baszynski et al., 1980; Lidon et al., 1993; Ciscato et al., 1997).
Per contrastare le forme attivate dell’ossigeno le cellule delle piante attuano diversi tipi di difese (Allen, 1995; Alscher et al., 1997; Navari-Izzo et al., 1997; Navari-Izzo et al.,

1.1.8 Piante che tollerano un’alta concentrazione di metallo nel terreno
Studi ecologici hanno rivelato l’esistenza di specifiche comunità di piante, flore endemiche, che hanno attecchito in terreni contaminati da elevati livelli di Zn, Cu e Ni. Differenti ecotipi della stessa specie possono trovarsi in zone non contaminate da metalli. Per le piante endemiche con i terreni contaminati da metallo, la tolleranza al metallo è una proprietà indispensabile. Le piante hanno evoluto alcuni meccanismi effettivi per tollerare alte concentrazioni di metalli nel terreno. In alcune specie, la tolleranza è stata raggiunta impedendo l’assorbimento dei metalli tossici nelle cellule delle radici. Queste piante, chiamate escluditrici hanno un piccolo potenziale per l’estrazione di metallo.
Un secondo gruppo di piante, accumulatrici, non permette l’assorbimento dei metalli da parte della radice. Inoltre, un terzo gruppo di piante, le indicatrici, mostrano poco controllo sull’assorbimento del metallo e i processi di trasporto. In queste piante, l’incremento dell’accumulo del metallo riflette la concentrazione di metallo nel terreno rizosferico.


1.1.9 Meccanismi di assorbimento del metallo nelle radici e traslocazione nei germogli
A causa della loro carica, gli ioni del metallo non possono muoversi liberamente attraverso le membrane cellulari, che hanno struttura lipofila. Il legame alla parete cellulare non è il solo meccanismo della pianta responsabile dell’immobilizzazione del metallo nelle radici e della conseguente inibizione del trasporto di ioni nei germogli.
Inoltre, alcune piante, possiedono meccanismi specializzati per impedire l’assorbimento del metallo nelle radici.
L’assorbimento del metallo nelle cellule delle radici, il punto di entrata ai tessuti vitali, è il passo di primaria importanza per il processo di fitoestrazione. Per far avvenire la fitoestrazione, i metalli devono anche essere trasportati dalle radici ai germogli. Il movimento della linfa contenente metallo dalle radici ai germogli, chiamato traslocazione, è controllato principalmente da 2 processi:
la pressione della radice;
la traspirazione della foglia.
Seguendo la traslocazione nelle foglie, i metalli possono essere riassorbiti dalla linfa nelle cellule della foglia.

1.1.10 Meccanismi delle piante per la disintossicazione dal metallo
Sebbene i micronutrienti come Zn, Mn, Ni e Cu siano essenziali per la crescita e lo sviluppo delle piante, un’alta concentrazione intracellulare di questi ioni può essere tossica. Le specie iperaccumulatrici di metallo, capaci di assorbire metalli in migliaia di ppm, possiedono meccanismi aggiuntivi di disintossicazione. Per esempio, nella T. goesingense, un’iperaccumulatrice di Ni, l’alta tolleranza era dovuta al legame di Ni dovuta con l’istidina che rendeva il metallo inattivo (Kramer et al., 1997).
E’ stato suggerito che la tolleranza allo Zn nei germogli della pianta iperaccumulatrice T. caerulescens sia dovuta alla sua relegazione nel vacuolo (Lasat et al., 1998). Le metallotioenine (MT), identificate in numerosi animali, nelle piante e nei batteri (Kagi, 1991), sono anch’esse delle proteine che hanno la capacità di legarsi col metallo (Tomsett et al.,1992).
1996);
- fitostabilizzazione: riduzione della biodisponibilità degli inquinanti presenti nel suolo e nelle acque superficiali con l’ausilio delle piante (Vangronsveld et al., 1995);
- fitovolatilizzazione: volatilizzazione in atmosfera degli inquinanti ad opera delle piante (Burken e Schnoor, 1997; Banuelos et al, 1997). Le radici delle piante cresciute in acqua aerata, assorbono, precipitano e concentrano gli inquinanti da acque e reflui contaminati (Raskin et al., 1997);
- radiophytoremediation: accumulo di radionuclidi da particolari piante quali Phragmites australis, Heliantus annus e specie del genere Populus (Vanek et al., 2001);
- fitoestrazione: rimozione degli inquinanti dal suolo attraverso la biomassa delle piante (Krumer et al., 1995).
1.2.1 Fitoestrazione di metalli da terreno contaminato: interazione pianta-terreno-metallo
Il concetto di usare le piante per ripulire gli ambienti contaminati non è nuovo. Alla fine del 19esimo secolo, Thlaspi caerulescens e Viola calaminaria furono le prime specie di piante documentate ad accumulare alti livelli di metalli nelle foglie (Baumann, 1885). Nel 1935, Byers affermò che le piante del genere Astragalus erano capaci di accumulare fino allo 0,6% di selenio nella bio-massa dei germogli asciutti. L’idea di usare le piante per estrarre metalli dal terreno contaminato fu reintrodotta e sviluppata da Utsumamyia (1980) e Chaney (1983), e la prima sfida sul campo sulla fitoestrazione di Zn e Cd fu condotta nel 1991 (Baker et al.).
Negli ultimi anni, una ricerca estensiva è stata condotta per studiare la biologia della fitoestrazione del metallo. Nonostante un notevole successo, la comprensione dei meccanismi della pianta che permettono l’estrazione del metallo è ancora emergente. In più, rilevanti aspetti applicativi, come l’effetto delle pratiche agronomiche sulla rimozione dei metalli, sono ancora sconosciuti.
E’ probabile che la maturazione della fitoestrazione in una tecnologia commerciale dipenderà alla fine dal chiarimento dei meccanismi della pianta e l’applicazione di adeguate pratiche agronomiche. L’accumulo dei metalli nella biomassa vegetale è poi chiaramente limitato dalla produttività della pianta e in generale le iperaccumulatrici hanno bassa biomassa e un lento ritmo di crescita. Altre limitazioni sono dovute alla stretta selettività delle iperaccumulatrici nei confronti dei metalli ed alle scarse conoscenze riguardo alle loro caratteristiche agronomiche, alla gestione dei patogeni, alla genetica ed alle possibilità di coltivazione nelle nostre condizioni climatiche (Navarri-Izzo e Quartacci, 2001).
Molti studi sono stati eseguiti sulla possibilità di utilizzare composti chelanti di origine sintetica allo scopo di incrementare l’efficienza della fitoestrazione (Blaylock et al., 1997) grazie alla mobilizzazione dei metalli indotta dai chelanti medesimi. E’ stata dimostrata, in effetti, una correlazione diretta tra l’assimilazione dei metalli da parte delle piante e l’impiego di diversi chelanti, che a loro volta posseggono affinità diverse per i metalli che debbono mobilizzare.




1.2.3.1 Ammendanti nella fitoestrazione assistita
Studi recenti suggeriscono che l'aggiunta di chelanti al terreno (fitoestra¬zione assistita) possa rappresentare un'efficace strategia per aumentare l'as¬sorbimento dei metalli da parte delle piante a causa della loro solubilizza¬zione nella soluzione circolante. Per mezzo della complessazione i metalli sono estratti o desorbiti dai diversi componenti del terreno ovvero dalle loro superfici. Esperimenti compara¬tivi hanno mostrato che nei suoli la complessazione dei metalli con vari che¬lanti organici presenta il seguente ordine: EDTA (acido etilendiamminote¬tracetico) ed altri chelanti sintetici > acido nitrilotriacetico (NTA) > acido citrico > acido ossalico, seppure con una diversa selettività nei confronti dei vari metalli. Lo studio delle condizioni di crescita delle piante prima dell'addizione dei chelanti ha evidenziato che l'accumulo di Pb in mais trapiantato nel suolo contaminato dieci giorni dopo la germinazione è risultato essere circa 7 volte maggiore rispetto a quello riscontrato in piante germinate direttamente nel ter¬reno inquinato (Wu et al., 1999). Spesso l'ammendamento con chelanti sintetici determina l'arresto della cre¬scita ovvero la morte della pianta a seguito del forte aumento della frazione solubile del metallo nella soluzione circolante del terreno. Kayser et al. (2000) hanno evidenziato che, mediamente, le piante cresciute in campo rimuovono soltanto il 20% del metallo assorbito dalle stesse spe¬cie cresciute in vaso nello stesso terreno. Un modo per indurre la solubilità del Pb è diminuire il pH del terreno (Mc Bride, 1994). In seguito all’acidificazione del terreno, comunque, il Pb stabilizzato può lisciviare rapidamente sotto la zona della radice. Alcuni studi hanno inoltre mostrato che una volta assimilato, il complesso EDTA-Pb viene traslocato dalle radici alla parte epi¬gea attraverso il succo xilematico (Vassil et al., 1998). Blaylock et al.
Blaylock e al. Si è dimostrato che l’abilità da parte dei chelanti di facilitare la fitoestrazione è collegata alla sua affinità coi metalli. Luo et al.
In assenza di NTA, l'argilla ha causato una ridu¬zione di circa 7 volte della quantità di Cu dissolto nella soluzione, competendo con le radici per il metallo e determinando un minore assorbimento da parte del¬le piante in confronto alla soluzione senza argilla. Gli autori hanno imputato illimitato accumulo (2-3 volte in confronto alle pian¬te non trattate) alla bassa concentrazione dei metalli nel terreno ed alla limitata solubilizzazione degli stessi. Una bassa estrazione di metalli dopo ammenda¬mento con NTA è riportata anche da Kulli et al. L’inquinamento del suolo da metalli pesanti provenienti da fonti antropogeniche non è mai limitato ad un solo elemento. (2003), Shen et al. (2002) e Perronnet et al. (2003).

Acidi organici
Le informazioni che riguardano l'assimilazione dei metalli sus¬seguente all' applicazione di acidi organici naturali su suoli contaminati sono scarse. Blay et al. (1997) hanno spiegato la maggiore mobilizzazione degli elementi metallici dopo l'aggiunta di acidi organici attraverso diversi meccanismi quali la complessazione dei metalli sulla superficie dei collodi e la seguente dissociazione dei complessi stessi, l'acidificazione del terreno e lo scambio cationico.
Le frazioni di Cd estraibile dall’acqua del terreno, NH4NO3 e EDTA aumentarono costantemente sia con l’aggiunta del metallo al suolo sia con la concentrazione dei chelanti. Comunque, a causa della tossicità di Cd, al grado più alto di applicazione di metalli entrambi i trattamenti con NTA diminuirono la concentrazione di Cd nelle parti sopra il terreno. Nigam et al. (2001) hanno trovato che l'accumulo di Cd era raddoppiato nel¬la parte epigea di mais dopo che al terreno erano stati applicati gli acidi citri¬co e malico a concentrazioni uguali a quello del metallo nel suolo. La corre¬zione del pH dopo il trattamento escludeva qualsiasi effetto dovuto alla rea¬zione del suolo. Lo studio ha comunque dimostrato che gli acidi organici, co¬munemente essudati dalle radici, possono risultare utili nell'aumentare la fitoestrazione dei metalli da parte delle piante. È stato inoltre osservato che la presenza di acidi organici a concentrazioni relativamente alte nel suolo ( > 2 mM per il citrato e > 15 mM per il tartarico) ha favorito il desorbimento del Cd e del Cu da un terreno naturalmente inquinato attraverso l'aumento della biodisponibilità dei due elementi (Gao et al., 2003).
In contrasto con i pro¬cessi di complessazione, la solubilizzazione dei metalli da parte dei composti inorganici infatti si basa principalmente sul fenomeno del desorbimento. Il gra¬do di solubilità dei metalli nel suolo è controllato soprattutto dalla sua reazione (pH), dalla quantità e dal tipo dei siti di adsorbimento e dalla concentrazione de¬gli elementi stessi (Gray et al., 1999). La maggior parte degli agenti inorganici usati nella fitoestrazione abbassa il pH del suolo. La crescita della maggior parte delle specie è comunque impedita se il pH scende al di sotto di 4 a causa della tossicità da parte di Al, Fe e Mn e/o della carenza di Ca e Mg.
In dipendenza della loro concentrazione e natura chimica, questi ca¬tioni possono essere scambiati con i metalli adsorbiti su siti non specifici pre¬senti nel terreno. Grcman et al. I requisiti per il lisciviaggio dei metalli sono che i metalli vengano trasportati nel terreno solamente verso il basso quando si trovano in forma solubile (ioni o complessi) e che la soluzione circolante del terreno possa percolare libera¬mente. La velocità di degradazione dei chelati metal¬lici infatti dipende dalla loro costante di stabilità, dall' attività microbica nel suolo e dalla concentrazione degli ioni metallici liberi (Xun et al., 1996). Il resto dei chelanti rimaneva nel ter¬reno in forma solubile interamente complessato con il metallo.
Gli acidi organici vengono degradati entro due settimane dall' applicazione (Krishnamurti et al., A seguito del¬l'addizione di 0,95 g di NTA kg-1 suolo, la decomposizione dei complessi Zn¬NTA iniziava 20 giorni dopo la loro formazione, mentre l'ammendamento con 4,8 g kg-1 suolo non determinava alcuna decomposizione prima di 50 giorni a causa degli effetti tossici del metallo sui microrganismi del terreno (Wenger et al., 1998). Kulli et al. In una prova in vaso, Schremmer et al.
La fitoestrazione potenziata chimicamente è stata proposta come un effettivo approccio alla rimozione di metalli pesanti da terreno contaminato attraverso l’uso di piante con elevata biomassa.
Questa specie ad alta biomassa ha dimostrato infatti di es¬sere tollerante ai metalli e di rimuovere elevate quantità di Cd (Riddle-Black et al., 1997).
I terreni contaminati dal metallo sono notoriamente difficili da recuperare. Le attuali tecnologie ricorrono all’escavazione del terreno, sia riempimento di terra sia lavaggio del terreno, seguita dalla separazione fisica o chimica dei contaminanti. Il costo del recupero del terreno è altamente variabile e dipende dai contaminanti, dalle proprietà del terreno e delle condizioni del posto. La pulitura dei terreni contaminati da metallo per mezzo di metodi di ingegneria convenzionale può essere molto costosa (Salt e al., 1995).

Le analisi di costo della fitoestrazione di metallo è ostacolata dalla mancanza di informazione. Per esempio, Brown e al. Salt e al.
Nonostante questi vantaggi, molti sono gli svantaggi che limitano l’applicabilità della fitoestrazione: limiti biologici come la bassa tolleranza alle diverse concentrazioni di metalli, la mancanza di traslocazione dei contaminanti , il minor sviluppo vegetale e la minor efficienza delle radici nell’estrarre metalli.



1.2.5 Miglioramento genetico
Lavorando su Arabidopsis, Huang et al. (1997) hanno trovato che alcuni mu¬tanti indotti chimicamente presentavano accumuli di Pb 2-3 volte superiori al¬la pianta non mutata, mentre il maggiore spessore della parete cellulare era al¬la base delle più alte concentrazioni di Pb in un mutante di senape indiana. In questo caso le piante tran¬sgeniche presentavano più elevate concentrazioni di Fe, Mn e Zn nelle parti aeree grazie al maggiore tasso di traslocazione dalle radici.
Questa soglia è intorno al 3% per Zn e Ni e molto meno per i metalli tossici, come Cd e Pb.
L’altro parametro biologico che limita il potenziale per la fitoestrazione del metallo è la produzione di biomassa. Molte iperaccumulatrici di metallo crescono lentamente e producono poca biomassa limitando molto l’uso delle piante iperaccumulatrici per la pulizia dell’ambiente.
Per esempio, nel tabacco (Nicotiana tabacum) è stata ottenuta una maggiore tolleranza al metallo utilizzando i geni, estratti da mammifero, delle metallotioneine (Maiti et al., 1991).
Nel tentativo di indirizzare i provvedimenti regolatori collegati alla fitovolatizzazione del mercurio, Bizili e al. Nonostante recenti sviluppi nella biotecnologia, si conosce poco sulla genetica dell’iperaccumulo di metallo nelle piante. In particolare, i principali meccanismi della pianta, come il trasporto e l’immagazzinamento del metallo (Lasas e al., 2000) e la tolleranza al metallo (Ortiz et al., Recentemente Chaney e al., Per esempio, nel tentativo di correggere in piccola parte la biomassa delle piante iperaccumulatrici, Brewer e al. I meccanismi di accumulo del Cd non sono ancora del tutto chiariti.
1.2.9.1 Specie iperaccumulatrici
L’interesse per la phytoremediation è cresciuto in modo significativo a seguito dell’identificazione delle specie di piante iperaccumulatrici di metalli. Vengono definite iperaccumulatrici quelle specie capaci di accumulare, nella parte aerea, metalli a livelli dalle100 alle 1000 volte più alti di quelli tipicamente misurati nelle comuni piante non accumulatrici. Approssimativamente in 400 specie di piante, almeno 45 famiglie sono state riconosciute accumulare metalli.
Le piante iperaccumulatrici possono avere un più alto bisogno di metalli come Zn rispetto alle specie non accumulatrici (Hajar, 1987).






















Interazione tra pianta e metallo nella rizosfera
1.3.1 Biodisponibilità del metallo per l’assorbimento nelle radici
Uno dei maggiori fattori che limita l’assorbimento nelle radici è il lento trasporto degli ioni dal terreno alla superficie della radice (Barber, 1984). Con la possibile eccezione del mercurio, per tutti gli altri metalli questo trasporto avviene nella soluzione del terreno. Nel terreno la solubilità del metallo è ristretta a causa dell’assorbimento delle particelle del terreno. Alcuni siti di collegamento al terreno non sono particolarmente selettivi. Anche il piombo, è conosciuto per la sua mancanza di mobilità nel terreno, principalmente dovuta alla precipitazione del metallo come fosfato insolubile, carbonato, e (idro)ossido (Huang, 1999). Perciò, una crescente solubilità del metallo nel terreno è un importante pre-requisito per accrescere il potenziale per la fitoestrazione di metalli tipo Cd e Pb difficilmente solubilizzabili.
Due meccanismi sono responsabili per il trasporto del metallo dal terreno alle radici della pianta:
1) convezione o scorrimento di massa;
2) diffusione (Corey et al., 1981).
A causa della convezione, gli ioni di metallo solubile si spostano dagli elementi solidi del terreno fino alla superficie della radice. L’assorbimento d’acqua dalla rizosfera crea un gradiente idraulico diretto dalla massa del terreno fino alla superficie della radice. Le piante hanno evoluto meccanismi specializzati per aumentare la concentrazione di ioni metallo nella soluzione di terreno. I protoni competono con gli ioni metallo e li sostituiscono in siti di collegamento, stimolando il loro assorbimento dalla soluzione circolante del terreno. Inoltre, alcune piante possono regolare la solubilità del metallo nella rizosfera estrudendo non solo H+ ma anche una varietà di componenti organici dalle radici che solubilizzano ioni metallo nella soluzione rendendoli disponibili per l’assorbimento nelle radici (Romheld e Marschner, 1986).

1.3.2 Effetti delle emissioni della radice sull’assorbimento del metallo
Le estrusioni della radice hanno un importante ruolo nell’acquisizione di alcuni metalli essenziali. Inoltre, le estrusioni della radice sono coinvolte nella tolleranza della pianta.
1.3.3 Effetti dei microrganismi del terreno sull’assorbimento del metallo
La crescita della radice influenza le proprietà del terreno intorno alla rizosfera e stimola la crescita microbiologica. Alcuni microrganismi possono eliminare componenti organici che accrescono la biodisponibilità e facilitano l’assorbimento da parte della radice dei metalli essenziali, come il Fe (Crowley e al., I microrganismi del terreno possono anche influenzare direttamente la solubilità del metallo alterando le loro proprietà chimiche.


























1.4 Ottimizzazione della fitoestrazione di metalli con metodi agronomici
1.4.1 Scelta della pianta
La scelta della specie fitoriparatrice è il fattore principale che influenza la portata della rimozione di metallo. Il grado di rimozione del metallo dipende dalla biomassa raccolta e dalla concentrazione del metallo in essa. Una delle controversie più discusse nel settore si riferisce alla scelta delle specie rimediatici: iperaccumulatrici di metallo e comuni specie non accumulatrici.
Nelle comuni specie non accumulatrici il basso potenziale per la bioconcentrazione di metallo è spesso compensata dalla produzione di biomassa (Ebbs e al., 1997). Chaney e al. In più, questi autori affermano che in molti siti la contaminazione del metallo è abbastanza alta da causare tossicità alle specie da coltura e una significativa riduzione della biomassa.
Per esempio, a causa della crescente solubilità, alcuni metalli tossici possono lisciviare nell’acqua del terreno, creando un ulteriore rischio ambientale. Chaney e al. Un’alternativa potrebbe essere l’applicazione al fogliame.
1.4.3 Semina
Come già detto più volte l’estensione dell’estrazione del metallo dipende dalla quantità di biomassa della pianta prodotta. Un lungo periodo di crescita può essere benefico se l’assorbimento e l’accumulo del metallo nella pianta dipendono dai processi di crescita. In più, la distanza tra le piante può probabilmente influenzare l’architettura del sistema delle radici con possibili ulteriori implicazioni sull’assorbimento del metallo.

1.4.6 Manipolazione ed eliminazione dei rifiuti contaminati
Un concetto associato con l’applicazione della fitotecnologia è la manipolazione ed eliminazione dei rifiuti contaminati delle piante. Con alcuni metalli (Ni, Zn e Cu), il valore del metallo recuperato può fornire un ulteriore incentivo per la fitoestrazione. Chaney e al. (1999) hanno proposto l’incenerimento della biomassa della pianta per concentrare ulteriormente il biominerale. Questi autori hanno mostrato che il valore del metallo recuperato nella biomassa poteva fronteggiare il costo della tecnologia.
1.4.7 Necessità della ricerca
La ricerca futura dovrà indirizzarsi verso l’ottimizzazione delle pratiche agronomiche per portare al massimo il potenziale di ripulitura delle piante da recupero. Poiché in molte istanze l’assorbimento di metallo nelle radici è limitato dalla bassa solubilità nella soluzione di terreno, è importante studiare ancora l’uso di ammendanti chimici per indurre una maggiore biodisponibilità del metallo. Inoltre, le piante devono essere raccolte prima che il grado di accumulo del metallo declini.
Tra i possibili inquinanti sia dei suoli, che delle acque sono presi in esame anche i metalli tossici.
Nella tabella 1 del D.M.471/99, sono infatti elencati i valori di concentrazione limite accettabili dei metalli tossici nel suolo e nel sottosuolo riferiti alla specifica destinazione d'uso dei siti da bonificare.










(estratto della tab. 1 del D. M. 471/99)



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