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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09132010-193906


Tipo di tesi
Tesi di laurea vecchio ordinamento
Autore
PAESANO, CARMEN
URN
etd-09132010-193906
Titolo
Svevo e il romanzo francese dell'Ottocento
Dipartimento
LINGUE E LETTERATURE STRANIERE
Corso di studi
LINGUE E LETTERATURE STRANIERE
Relatori
relatore Prof. Donnarumma, Raffaele
relatore Prof.ssa Goruppi, Tiziana
Parole chiave
  • bugia
  • ideale
  • inettitudine
  • integrità
  • malattia
  • pienezza di vita
  • Senilità
  • Una Vita
  • valori
  • verità
  • Italo Svevo
Data inizio appello
20/10/2010
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
20/10/2050
Riassunto
Verso la fine del 1925, compariva nell’Esame l’omaggio a Italo Svevo di Montale, e quando l’anno dopo i francesi Cremieux e Larbaud dedicarono allo scrittore triestino un intero numero del Navire D’Argent, iniziava per Svevo il momento, per tanti anni atteso invano, della celebrità e della gloria letteraria.
Si parlò allora in Italia e in Francia di un clamoroso “caso Svevo”, e l’ignoto romanziere venne salutato come precursore e maestro della narrativa analitica.
Eppure la critica non fu certo clemente con lui, ponendo diverse riserve per riconoscergli il diritto di far parte della letteratura italiana: l’opera sveviana appariva così lontana dalla tradizione italiana ed il linguaggio, “fortuito ed avventizio” (Debenedetti), italianizzato ed aspro se paragonato alla bellezza e alla musicalità della prosa letteraria.
Quindi la critica trovava esagerata le lodi degli “sparuti circoli letterari” che intendevano celebrare un’opera che era una “rinuncia alla letteratura”, e un autore che era solo un verista, e la sua religione il romanzo-documento.
Lo stesso Ventura scrisse dell’amico Svevo: “Zola era il suo Dio, il roman expérimental il suo credo”.
Fermarsi a questi giudizi vuol dire negarsi la possibilità di intendere l’arte di Svevo, la novità dei suoi contenuti e l’uso di un mezzo espressivo più “aspro”, ma testimone di una nuova civiltà.
Il Naturalismo fu certamente importante per Svevo, così attratto dalle storie vere, dalla gente, però il suo atteggiamento non fu mai di condiscendenza assoluta, anzi, sin dall’inizio egli condannò quel “fatalismo meccanicistico” che schiacciava gli uomini impedendo un pur minimo riscatto.
Ettore Schmitz, ovvero Ettore Samigli, ovvero Italo Svevo, aveva una grande cultura eclettica che lo portò, nel tempo, a rifiutare la visione scientifica di Zola e ad affermare l’inutilità dell’evasione decadente nell’arte pura (l’arte fine a se stessa).
Egli, “il dilettante” (Spagnoletti), “il realista storico” (Saccone), accoglieva e superava, anche stravolgendo, temi ed ispirazioni senza lasciarsene suggestionare, per dare espressione solo a ciò che sentiva, e per far affermare la grande utilità della letteratura come mezzo di conoscenza dell’io.
Si cercherà in questo elaborato di dimostrare proprio quell’indipendenza di Svevo nei confronti del movimento naturalista (ormai in declino in tutta Europa quando Svevo pubblica Una Vita)e di Zola, accennando invece alla sua propensione verso i grandi realisti francesi, Stendhal, Balzac e Flaubert, a cui è idealmente più vicino, sia per quel che riguarda la ricerca della “âpre verité”, sia per l’indagine dei sentimenti.
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