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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-09102017-223340


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
TASCA, MATTEO
URN
etd-09102017-223340
Titolo
Per altra via, per altri porti. La maturazione poetica di Giorgio Caproni
Dipartimento
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Corso di studi
ITALIANISTICA
Relatori
relatore Prof. Donnarumma, Raffaele
Parole chiave
  • identità relazionale
  • disincanto
  • poesia civile
Data inizio appello
25/09/2017
Consultabilità
Completa
Riassunto
L’obiettivo della mia tesi è quello di mostrare l’evoluzione compiuta dalla poesia di Giorgio Caproni a cominciare dalle prime prove (Come un’allegoria, Ballo a Fontanigorda e Finzioni) fino al raggiungimento della piena maturità poetica nel Passaggio di Enea.
La prima parte si apre con l’analisi del testo Finzioni, appartenente alla raccolta omonima. Nel corso della lettura vengono messi in evidenza sia il peculiare uso che Caproni fa dei versi cantabili (settenario e ottonario, ma debitamente smorzati dalla frequenza degli enjambements), sia l’uso sapiente delle inversioni sintattiche, che permettono la stratificazione di significati nascosti all’interno del testo. Si riconosce, inoltre, come Caproni tenda spontaneamente verso una poesia impressionistica, che trae la sua ispirazione dalla percezione sensoriale del mondo fisico al fine di sfiorare la realtà senza rappresentarla in termini troppo puntuali e prosastici.
Ci si interroga poi sulla natura della figura femminile (la “donna truccata”) protagonista del componimento, ma per apprezzarne appieno la rilevanza è necessario ricostruire i modi e le forme in cui le donne erano presenti nelle raccolte precedenti. Si nota dunque che, se nella prima raccolta il mondo femminile era piuttosto anonimo e poco più che un elemento del paesaggio, in Ballo a Fontanigorda si incontrano due donne ben riconoscibili: Olga, la fidanzata di Caproni morta a Rovegno nel 1936, e Rina, la giovane moglie conosciuta l’anno dopo. Si crea così una coppia che incarna la tensione tra due forze opposte: Rina rappresenta la donna in praesentia, portatrice di pienezza vitale; lei consente il dispiegamento del paesaggio, il suo corpo si confonde con il mondo circostante e grazie ad esso l’io ha accesso alla realtà esterna (Altri versi a Rina: «Nei tuoi occhi è il settembre / degli ulivi della tua cara / terra, la tua Liguria / di rupi e di dolcissimi / frutti»). Dall’altra parte, invece, Olga è la donna in absentia, eternamente sfuggente, emblema dell’irreversibilità del tempo. Nelle poesie in cui ci si rivolge a Olga il paesaggio risulta inaccessibile, oppure svuotato da qualsiasi carica vitalistica, tanto da vanificare ogni possibilità di godimento sensoriale (Ad Olga Franzoni «ora che spenti / già sono e giochi e alterchi / chiassosi»).
All’interno di questo disegno bipartito la figura della “donna truccata” riveste una funzione chiave: infatti nella poesia Finzioni il valore dell’esaltazione sensoriale viene spietatamente sospettato di inconsistenza, mentre balli e feste rischiano di diventare un semplice divertissement che distrae l’uomo non solo dal suo destino mortale, ma anche, in prospettiva non esistenziale ma storica, dal presentimento della guerra imminente. Solo la finzione può arginare il senso di non riscattabile precarietà che condanna l’essere umano, precarietà che penetra nel paesaggio fino ad avvelenarne la possibilità di godimento che aveva potuto suscitare nelle raccolte precedenti.
Si passa poi ad osservare il tipo di io presente nelle prime raccolte caproniane, e si conclude che se in Come un’allegoria avevamo potuto riscontrare la presenza di un io autofondato, in grado di accedere liberamente al mondo esterno e di piegarlo alle proprie necessità autoespressive; a partire da alcuni testi di Ballo a Fontanigorda ci troviamo di fronte a un io parzialmente relazionale, le cui possibilità di autodefinizione e di interazione con la realtà sono in parte subordinate all’interazione con una figura femminile. L’alternanza di queste due posture prosegue anche all’interno della terza raccolta dove, nonostante l’indebolimento e l’assottigliamento identitario degli pseudo-personaggi femminili (che tutto sommato sono meno riconoscibili rispetto a Ballo a Fontanigorda), l’io conserva una propria dimensione relazionale.
A questo punto si procede con l’individuare i modelli principali del giovane Caproni, tra i quali si possono annoverare Ungaretti (e direi l’Ungaretti di Sentimento del tempo piuttosto che dell’Allegria), i lirici dell’ottocento (Carducci, Leopardi, D’Annunzio, ma soprattutto Pascoli), ma anche i sonettisti e madrigalisti del cinquecento (Tasso, Rinuccini, Poliziano). Vengono poi evidenziati i tratti che differenziano la poesia caproniana tanto dagli autori modernisti quanto da quelli ermetici. Per quanto riguarda i primi, è facile osservare infatti come il loro senso della storia fosse ben più complesso e sfaccettato di quel che è possibile rintracciare nel primo Caproni. Il modernismo, infatti, tende a considerare il passato come un repertorio di forme e di poetiche da cui attingere, ma solo allo scopo di reimpiegare quelle forme e quelle poetiche per una comprensione profonda e critica del tempo presente. Dunque, mentre gli autori modernisti si pongono in atteggiamento agonistico nei confronti del presente e della modernità, il primo Caproni assume una postura molto diversa, che complessivamente definirei regressiva. Infatti l’inseguimento di contenuti universali e atemporali – esplicitamente riconosciuto da Caproni come un elemento cardine della sua poetica – di fatto inibisce le capacità della poesia di assumere spessore storico, e quindi di prendere di petto il proprio tempo, anche solo per una condanna seria e ragionata. Inoltre la consapevolezza dell’isolamento poetico e dell’incomunicabilità segna profondamente la produzione dei modernisti, i quali «non possono prescindere dalla rottura epistemologica di fine Ottocento e inizio Novecento rappresentata in modi diversi da Nietzsche, Bergson, Freud» . Non così nel primo Caproni, probabilmente troppo legato a una idea di poesia bloccata al di qua dei rivolgimenti filosofici di fine secolo, e pertanto sostanzialmente indifferente a certe problematiche sollevate dai risvolti socio-culturali dell’età moderna.
Per quanto riguarda le differenze rispetto all’ermetismo, si nota subito come, eccezion fatta per Ungaretti, la tradizione simbolista e post-simbolista non sembra aver costituito un riferimento letterario fondamentale per Caproni. Inoltre il tentativo ermetico di dissolvere l’oggetto e di purificare il linguaggio allo scopo di riportare la parola poetica a una condizione di rinnovata perfezione è del tutto inconciliabile con la ricerca poetica caproniana, che passa impressionisticamente attraverso l’interrogazione del mondo esterno. Dunque, ancor prima dei fatti stilistici, è in primis il «diverso atteggiamento di fondo» a segnare la lontananza di Caproni dalle poetiche dell’ermetismo, soprattutto per quel che concerne il suo «attaccamento al “reale” o, più precisamente», il suo «continuo rodimento per l’imprendibilità del “reale” tramite la parola» . Si osserva poi come una simile attenzione verso gli aspetti materiali dell’esistenza sia stata probabilmente mediata dal pensiero filosofico di Giuseppe Rensi, che Caproni conobbe grazie all’amico Alfredo Poggi e di cui probabilmente frequentò le lezioni all’università di Genova negli anni ’30.
Malgrado ciò, nelle prime raccolte caproniane si rileva comunque la presenza abbastanza massiccia di quella che Mengaldo definisce «la grammatica ermetica» , ovvero una serie elementi retorici, linguistici e sintattici che in Il linguaggio della poesia ermetica lo studioso ha riconosciuto come tipici delle scritture ermetiche, e che contribuiscono a creare il senso di rarefazione riscontrabile nei versi di Caproni.

La seconda parte del lavoro è dedicata a Cronistoria. Partendo dal componimento La città dei tuoi anni se fu rossa vengono messe in luce le caratteristiche principali del sonetto monoblocco, sia per quanto riguarda gli aspetti metrici, strofici e rimici, sia per quel che concerne i fatti sintattici e lessicali. Dal punto di visto contenutistico, invece, il dato più evidente non solo del testo in esame, ma dell’intera raccolta, è che la figura della donna assente ha decisamente conquistato un ruolo preminente, in questa maniera infrangendo gli equilibri della coppia donna vitale-donna mortifera che si erano riscontrati nelle raccolte precedenti. Parallelamente, possiamo osservare quanto sia mutato l’atteggiamento di Caproni verso la descrizione paesaggistica: gli scenari di Cronistoria appaiono espressionisticamente deformati, frantumati in singoli elementi sparsi che non riescono a ricomporre un quadro unitario, poiché il dolore dell’io lirico, deprivato del tu, penetra negli scenari e ne interrompe la continuità del flusso descrittivo. Insomma, l’avventura percettiva del soggetto viene minacciata dal vuoto della morte.
Si passa poi all’osservare che a quest’altezza cronologica la poetica caproniana prevede l’abolizione dei dati cronachistico-biografici, o meglio, la loro trasfigurazione in simboli dalla valenza universale, all’interno dei quali il lettore possa rispecchiarsi senza alcun ostacolo. Tutto ciò si può far rientrare in un più ampio progetto dell’autore, consistente nel marginalizzare l’«individuo empirico» a vantaggio dell’«io trascendentale» , allo scopo di «portare a giorno quei nodi di luce che sono non soltanto dell’io, ma di tutta intera la tribù» . Ma quello che in special modo non manca di colpire il lettore è la totale assenza di dediche rivolte alla fidanzata morta, che da qui in avanti sarà una lacuna costante nell’opera caproniana, in ossequio ad una «strategia di cancellazione delle forme evidenti e personalizzate del lutto» .
Si procede poi con l’individuare alcuni tratti che differenziano il tu lirico della prima sezione di Cronistoria (E lo spazio era un fuoco...) da quello della seconda (Sonetti dell’anniversario). Infatti, nonostante la donna sia comunque distante dall’io, nella prima parte è possibile riconoscere in controluce alcune caratteristiche che erano appartenute a Rina, quali la spinta vitale e la carica fisico-sensuale (Dove l’orchestra un fiato: «l’ore / le bruciava l’odore / della tua maglia – il vento / lieve che la tua bocca / senza colore, nel rosso / del teatro librava / il tuo sudore») e la capacità di sconfiggere l’inganno delle «umane finzioni», portando autenticità in un mondo falsificato e incline all’illusione: «deponi / ogni certezza sul bianco / delle tue orecchie scoperte, / sulle tue labbra più certe / prive d’umane finzioni». In tal senso è evidentissima l’influenza «sistema delle Occasioni» sulla costruzione del tu lirico di E lo spazio era un fuoco…
Al contrario l’immagine della «fidanzata così completamente / morta» che emerge dai Sonetti dell’anniversario è costitutivamente inconciliabile con colei che nasconde «l’arte d’esistere». In altre parole, la figura femminile che domina la seconda sezione non può essere in alcun modo latrice di barbagli vitali, né viene mai rappresentata nei suoi aspetti fisico-sensuali, tipici della prima fase della produzione caproniana.
Si spiega così per quali ragioni, a differenza delle Occasioni montaliane, quella di Caproni non sia una poetica epifanica. È innegabile, infatti, che le pseudo-apparizioni della figura femminile in Cronistoria non si configurino mai come «un episodio improvviso in cui l’io rievoca una verità, un’immagine, un ricordo che, in modo traumatico e istantaneo, riemergono e si rivelano» . E ciò per due motivi: innanzitutto, ad essere precisi, quelli rappresentati da Caproni non sono mai «episodi improvvisi» vissuti dall’io, quanto piuttosto delle visioni, o delle possibilità proiettate nel futuro che la realtà non manca mai di smentire o sommergere; in secondo luogo, il tu non è latore di alcuna verità superiore, non avviene alcuna rivelazione che accresca la consapevolezza dell’io su sé stesso o sul mondo – se non (ma molto genericamente) la continua riconferma della limitatezza e della caducità umana.
In questo senso, mi sembra che i tentativi di far tornare la donna assente in Cronistoria possano essere ben spiegati utilizzando un altro tipo di strumentazione: come nota anche Zublena, incrociando le evidenze testuali con i dati biografici – che, benché costantemente rimossi, inevitabilmente segnano in profondità la composizione della raccolta – si può parlare dei ritorni femminili come la resa letteraria della mancata elaborazione di un lutto. Partendo dal presupposto che, in seguito ad un lutto correttamente elaborato, «la realtà pronuncia il verdetto che l’oggetto non esiste più, e l’Io, quasi fosse posto dinanzi all’alternativa se condividere o meno questo destino, si lascia persuadere […] a rimanere in vita, a sciogliere il proprio legame con l’oggetto annientato» , possiamo affermare che l’io lirico realizza il desiderio che la donna sia viva proiettando in un futuro imprecisato la sua riapparizione. Questo ovviamente implica il fatto che la scomparsa della «fidanzata […] / morta» non è stata pienamente interiorizzata, in quanto l’io non riesce «a rinunciare all’oggetto dichiarandolo morto», né ad accettare che il mondo sarà per sempre privo dell’amata. D’altronde, la certezza che la morte di Olga abbia rappresentato un lutto difficile da elaborare per il giovane Caproni ce la danno sia una famosa lettera a Betocchi («Forse tutto il mio mondo era legato a quelle che se n’è andata. Forse su Lei poggiava tutta la mia certezza. Ora che lei è perita, finita, assente, impossibile mi è dire ciò che provo»), sia, soprattutto, la produzione narrativa dell’autore. In effetti, in racconti quali Il gelo della mattina l’autore affronta eventi autobiografici in maniera singolarmente esplicita, in questo modo chiarendo la portata del trauma causato dalla morte della giovane fidanzata.

Il terzo capitolo è dedicato al Passaggio di Enea. Partendo dall’analisi del testo Le biciclette, viene discussa l’inclinazione di Caproni a conferire ai suoi componimenti un andamento poematico che lascia spazio a riflessioni di maggiore respiro e complessità. Continua inoltre il reimpiego «paradossale» e straniato di forme tradizionale quali la ballata. Un’operazione di tal genere consente infatti di opporre una barriera stilistica alle forze caotiche della storia, e spinge a collocare il Caproni del Passaggio di Enea nel solco del classicismo moderno. Poter attingere alle forme chiuse della tradizione consentiva infatti di riaffermare «la misura, il ritegno, l’autocontrollo» , ovvero «le qualità signorili e alto-borghesi che definiscono la strategia difensiva di questo ethos classico segnato da una profonda “agorafobia spirituale”, da un “impulso di astrazione” che cerca di stilizzare uno spazio mutevole e precario, di contenere l’inquietudine in un ordine severo» . E tuttavia la «forma classica, chiusa e compiuta» non può assorbire totalmente il negativo storico; il contraccolpo, perciò, si può ben avvertire nell’effetto di «dissonanza», «con un ritmo aspro e movimentato» e, più in generale, nella «tendenza […] a confermare la norma proprio attraverso la sua negazione, aggregando e ricomponendo una tensione pietrificante con una dirompente, una contrazione centripeta con un’apertura centrifuga» .
L’analisi contenutistica mette poi in evidenza come Caproni nelle Biciclette riesca a liquidare la stagione di Cronistoria dichiarando a chiare lettere che il «tempo» è «ormai diviso». Ciò implica innanzitutto che mentre la donna morta nella raccolta precedente era ancora capace di incerte riapparizioni, ora è per sempre confinata nel regno dei morti: «Alcina» (così viene chiamata la figura femminile nel testo) vive solo nelle illusioni del poeta, non ha niente a che fare con la realtà effettiva. Allo stesso modo Caproni dichiara irrecuperabile un passato che, a posteriori, appare come lo spazio di certezze granitiche e di istituzioni ben fondate, in netta opposizione ad un dopoguerra inevitabilmente scosso dai rivolgimenti politico-culturali generati dal conflitto. Attraverso la rapida analisi dell’Ascensore si evidenzia quindi come il Passaggio di Enea rappresenti per Caproni il passaggio dall’adolescenza alla maturità: il poeta, novello Enea, depone l’istinto regressivo che aveva caratterizzato le sue prime raccolte e segna definitivamente il passaggio dal tempo del mito – rappresentato da Genova e dalla madre – al tempo della storia – di cui sono emblemi la città di Roma, la moglie Rina e i figli di cui deve prendersi cura. Inoltre, proprio come l’eroe antico, Caproni intraprende il suo viaggio tenendo per una mano il vecchio padre (simbolo dei valori che, benché superati, non vanno rimossi) e per l’altra il figlio (rappresentativo di una generazione di giovani che dovrà ricostruire un paese devastato).
In questa maniera si riafferma il già osservato istinto caproniano ad accordare fiducia al visibile piuttosto che all’invisibile, al presente piuttosto che all’assente e, soprattutto, ad evitare l’eccessivo intimismo lirico a cui si era spesso abbandonato nel corso di Cronistoria. Per la nuova raccolta si può dunque parlare di una certa influenza del clima neorealista, che se non agisce in profondità dal punto vista stilistico, certamente lascia dei segni da quello latamente ideologico. Si riconosce infatti la decisa propensione verso una poesia che riesca ad arginare il narcisismo lirico e che, quindi, possa rivolgersi senza distinzioni a tutti i membri di una comunità. Su questo stesso punto si radica la polemica anti-ermetica, più volte mossa da Caproni nei suoi interventi giornalistici: il nuovo obiettivo del poeta diventa quello «di ritentare insomma, dopo tanta effusione, la composizione, un’ombra almeno di ciò che comunemente si intende per poema, tentando alfine il salto, ricchi di tanta esperienza formale, dalla lirica pura alla poesia. Un salto sì, dall’alto in basso, ma appunto per questo dall’astrazione (dalla solitudine) alla vita concreta (alla società)».
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