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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-09082015-002516


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
PIU, PIERMARCO
URN
etd-09082015-002516
Titolo
Subalterna/o in Gayatri Spivak: corpi e scritture fra posizionamenti, po-etiche e politiche della subalternità. Per un Gramsci postcoloniale
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE
Relatori
relatore Prof. Dei, Fabio
correlatore Prof. Iacono, Alfonso Maurizio
Parole chiave
  • subalternità
  • postcoloniale
  • metafora
  • Gayatri Chakravorty Spivak
  • Derrida
  • antropologia
  • Antonio Gramsci
Data inizio appello
28/09/2015
Consultabilità
Completa
Riassunto
L'accidentato itinerario della categoria gramsciana di subalternità dall'Italia degli anni '30 alla contemporaneità prende delle vie impreviste, attraversando spazi e tempi eterogenei: in tale contesto, le riflessioni di Gayatri Chakravorty Spivak sulle/sui subalterne/i possono essere viste come uno dei momenti fondamentali di questo viaggio.
Una tappa, quella di Spivak, che si colloca nel solco delle ricezioni postcoloniale di Gramsci, con le quali condivide un uso piuttosto libero, non filologico, del pensatore sardo; ma che, nonostante tutto e a differenza di altri postcolonial, non è poi così lontana dal «ritmo del pensiero» gramsciano: sono varie infatti le convergenze inaspettate tra i Quaderni, gli scritti precarcerari e i testi dell'autrice indiana. Quello di Spivak si presenta dunque come un contributo originale al tema della subalternità: la lettura spivakiana dei testi gramsciani si è intersecata (e continua ad intersecarsi, ormai da 30 anni) con la ricezione indiana di Gramsci da parte dei Subaltern Studies e con un caleidoscopio di influenze che vanno dalla decostruzione derridiana al Marx del 18 Brumaio, passando per un Foucault smascherato nel suo eurocentrismo e per le intuizioni del pensiero femminista; il tutto cementatosi nel tempo attraverso un uso sempre più approfondito degli strumenti messi a disposizione dalla critica letteraria, e tramite le indicazioni di quelle che l'autrice stessa considera delle vere e proprie «esperienze sul campo». In Spivak la figura dell'intellettuale accademica si fonde perciò con quella dell'attivista, entrambe impegnate in un continuo lavoro di supplementazione della teoria da parte dell'etica, per giungere ad un obiettivo sostanzialmente politico: che non ci siano più subalterne/i.
Come affrontare allora la ricostruzione del concetto spivakiano di subalternità e di un pensiero così poliedrico come quello dell'autrice indiana? Immaginiamo il lavoro di Spivak come un peculiare resoconto etnografico sulle/sui subalterne/i: un'ipotesi nemmeno tanto peregrina poiché, volente o nolente, l'autrice si confronta e si può confrontare con alcuni dei punti cardine attorno a cui ruota il dibattito dell'antropologia culturale nel XX secolo. Perciò, usando come chiave di lettura dei testi spivakiani gli elementi di quella che può (anche) essere considerata un'ermeneutica dell'alterità di fronte agli «imponderabili della vita reale», si tratterà di indagare le continue negoziazioni fra testi ed esperienze delle relazioni posizionate fra corpi e scritture dell'altra; un gioco di dislocazioni in cui questi elementi si intrecciano per formare una fitta trama fatta di «parole» e di «ascolto» fra figure di un campo ermeneutico politicizzato. La subalternità spivakiana emerge nelle sue sfaccettature e nelle sue discontinuità dalla cornice di senso disegnata da questi scambi, entro e fuori dai suoi testi; cornici di senso che prendono corpo lungo alcune linee direttrici, le quali definiscono quelle che possono essere chiamate politiche, po-etiche e posizionamenti della subalternità.
Sotto questo punto di vista può essere ricompresa anche la questione dell'eredità gramsciana: se da un lato, infatti, la categoria spivakiana di subalternità prende forma a partire dalla lettura che l'autrice fa dei testi di Gramsci e delle sue mediazioni postcoloniali, nondimeno essa acquisisce sfumature particolari entro le opere della stessa autrice, quale risultato politico di mosse retoriche e di posizionamenti rispetto a subalterne/i «di carta» o «in carne ed ossa»: forclusione, violenza epistemica, alterità inappropriabile come metafora della subalternità sono solo alcune di queste sfumature. Non meri dettagli secondari, ma aspetti decisivi per quelle discontinuità e sfaccettature del concetto che riassumono la pluridecennale riflessione di Spivak sul tema; e anche per quelle convergenze inaspettate che fanno della ripresa spivakiana di Gramsci una tematica di rilievo nell'ambito degli studi postcoloniali.
Così, tenendo insieme po-etiche e politiche, non si perde di vista la centralità di quell'(im)possibile gesto di traduzione politicamente carica di un'esperienza dentro i testi, messo in atto attraverso il medium della scrittura, come luogo di negoziazione complessa fra sé e le/gli altre/i, nel quale ci si muove fra «parlare di» (Darstellung) e «parlare per» (Vertretung) per non silenziare la voce delle
subalterne. Le teorie accademiche si riflettono sul mondo; ma anche viceversa, nella misura in cui è l'incontro, e quindi la relazione etica («sulla carta» e «sul campo») con le/i subalterne/i, a fare da guida per le posizioni teoriche: in tal senso, l'attivismo politico di Spivak assume gradatamente sempre più importanza, al punto da essere interpretabile come momento di «genesi pratico materiale» per il suo concetto di subalternità: la ricerca spivakiana del luogo sociale/culturale contemporaneo da cui poter tracciare la porosa linea di faglia fra egemonia e subalternità, e pensare così l'attuale distinzione egemonico/subalterno, prende senso solo attraverso le sue «esperienze sul campo», l'open-plan fieldwork.
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