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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-09062018-111046


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
DI RONZA, GELSOMINA
URN
etd-09062018-111046
Titolo
Morire senza colpa Iconografia del mito di Diana e Atteone nell'eta moderna.
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE, DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA
Relatori
relatore Prof. Farinella, Vincenzo
Parole chiave
  • Diana e Atteone
Data inizio appello
01/10/2018
Consultabilità
Completa
Riassunto
Da sempre il mondo della mitologia è riuscito a conquistare la mente e i cuori di scrittori ed artisti, che si sono avventurati nei meandri delle storie di dei ed eroi, per fornire una personale interpretazione capace di coinvolgere il lettore oppure lo spettatore. Tra le numerose storie mitologiche giunte fino a noi, e note prevalentemente grazie alle Metamorfosi di Ovidio, ho scelto di affrontare nel presente elaborato finale il mito di Diana e Atteone, in quanto ho da sempre subito il fascino della casta dea, pronta a compiere atti terribili ché spinta dai valori in cui credeva.
Ho così esaminato dal punto di vista iconografico questo mito con l’aiuto di testi ed immagini, focalizzando maggiormente l’attenzione sull’età moderna, addentrandomi brevemente fino ai giorni nostri. La storia che lega inevitabilmente la dea della caccia e il cacciatore ha origini molto remote e la sua fortuna è andata crescendo secolo dopo secolo in virtù della molteplicità di interpretazioni a cui è stato sottoposto.
Prima di iniziare ad analizzare le fonti testuali e visive, ho deciso di dedicare il primo capitolo alle due figure protagoniste della vicenda, presentando al lettore per prima la dea Diana, descritta attraverso i molteplici aspetti che ha acquisito nei diversi culti diffusi nella Grecia e nella Roma antica, e poi chiudendo con una breve descrizione del cacciatore Atteone, divenuto noto per essere stato tramutato in cervo per mano della dea della caccia. I motivi che hanno portato a questo terribile atto sono svariati e le varie versioni che esistono a riguardo sono rapidamente percorse in questo capitolo iniziale. Nel capitolo successivo ho preso in esame, nella prima parte, le fonti letterarie antiche che hanno trattato di questo mito e, nella seconda, le fonti figurative che ci sono pervenute. Sono così partita dal testo più antico risalente al VII sec. a. C. nato dalla “penna” di Esiodo, percorrendo poi in ordine cronologico le varie versioni degli autori antichi, rivolgendo la mia attenzione in maggior misura a quelle fornite da Ovidio, Callimaco, Apuleio e Nonno di Panopoli. Nella seconda parte ho preso invece in esame le fonti figurative antiche, dividendo quelle di tradizione arcaico-classica da quelle ellenistico-romana. Ho quindi preso come riferimento questo procedimento di analisi, ripetendolo per ciascuna epoca: effettuando un iniziale approfondimento delle fonti letterarie, poi di quelle figurative, con l’intenzione di dare un taglio iconografico e iconologico all’intero elaborato. Ho così proseguito con l’epoca medievale, in cui, a livello letterario, i miti venivano reinterpretati in funzione della religione cristiana. Tra i maggiori esponenti menzioniamo tra gli altri Dante, che fa del mito in questione una transformatio moralis. Le raffigurazioni del mito, in quest’epoca, seguivano invece alla lettera le descrizioni degli autori antichi, ed è proprio da questo momento che inizia a diffondersi, per la maggior parte dei casi, una rappresentazione ispirata alle parole di Ovidio, secondo il quale Atteone viene tramutato in cervo per aver visto involontariamente, presso una fonte, la casta dea senza vesti. Uno degli esempi figurativi è cesellato su una pisside eburnea conservata al Museo del Bargello di Firenze. E’ in epoca rinascimentale che si assiste all’avvio di operazioni di volgarizzamento de Le Metamorfosi ovidiane per permettere la trasmissione del mito anche a un pubblico meno colto. Queste versioni vengono accompagnate da illustrazioni più o meno elaborate, che arriveranno, in epoche successive, a invadere l’intero spazio testuale. Il mito di Atteone, a partire dal ‘400, inizia ad essere impiegato nella cosiddetta “pittura di cassone”, una produzione a scopo matrimoniale che includeva deschi da parto, cassoni e cofanetti. Giungiamo in tal modo, dopo quest’ampia premessa, al Cinquecento, in cui l’impiego del mito in esame arriva a maturazione: viene infatti introdotto nei cicli ad affresco, come ad esempio nella Rocca dei Sanvitale a Fontanellato, dove il Parmigianino distribuisce, in un’intera saletta, la vicenda che coinvolge il cacciatore, reinterpretata secondo l’intento del committente. L’episodio inizia ad essere dipinto anche su tela, non solo da pittori italiani, come Sodoma e Veronese, ma anche stranieri, tra i quali Lucas Cranach il Vecchio e Clouet. Ho stabilito, tuttavia, di dedicare una parte a sé stante alle opere di Tiziano sull’argomento, che hanno avuto il “potere” di influenzare i pittori successivi. Chiude il capitolo l’analisi del mito all’interno de De gli Eroici Furori di Giordano Bruno, che fornisce al lettore un’interpretazione filosofica mai eseguita finora. In età barocca e rococò, il mito comincia ad attraversare un periodo buio, per quanto riguarda il versante letterario: nel ‘600 viene trattato da Giambattista Marino, che osa mescidare l’argomento mitologico alle verità cristiane, e per questo motivo largamente criticato; nel ‘700 trova spazio in alcuni esiti della “società” letteraria chiamata Accademia d’Arcadia, nata per rispondere alle critiche mosse da letterati francesi nei confronti della lingua e della letteratura italiana. Nel versante artistico, il Seicento è un’epoca piena di contraddizioni, riscontrabili anche all’interno delle fonti: il mito di Atteone ha la fortuna di essere impiegato sia da artisti italiani che esteri all’interno di composizioni dal gusto barocco, come quelle realizzate da Joseph Heintz il Vecchio, Giuseppe Cesari, Albani, Domenichino, Carracci. Viene però introdotto con una versione più personale da due autori provenienti dalle Fiandre, Rubens e Rembrandt, ai quali ho dedicato un intero spazio conclusivo. Nel Settecento razionale e in continua evoluzione, il mito prende piede nelle varie realtà italiane di Venezia, Genova, Milano e Napoli, venendo rappresentato non solo sotto forma di dipinto ma anche di scultura, come quella collocata all’interno della Reggia di Caserta.
Ho, infine, deciso di concludere l’elaborato inserendo esempi chiarificatori di come il mito della dea e del cacciatore viene ereditato e rivisitato in epoca ottocentesca e contemporanea, per cercare di chiudere, in un certo senso, il discorso iniziato con l’età antica.
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