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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-09032017-204447


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
DE SERVI, FEDERICA
URN
etd-09032017-204447
Titolo
Il ruolo della persona offesa nella fase procedimentale: evoluzione normativa e prospettive de iure condendo
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Bonini, Valentina
Parole chiave
  • persona offesa
  • vittima
Data inizio appello
25/09/2017
Consultabilità
Completa
Riassunto
Per lungo tempo lo spazio giuridico riguardante la vittima di reato è stato caratterizzato da un fenomeno di marginalizzazione processuale in cui la sollecitudine per la persona offesa guardava quasi esclusivamente agli interessi civilistici di cui era portatrice nell’ambito del processo stesso o allo studio del ruolo causale a-vuto nella commissione del reato. Tale concezione ha portato al-cuni autori italiani e francesi a qualificare la vittima come la “grande oubliée” del processo penale incentrato, per lo più, sulla dialettica tra pubblico ministero, rappresentante dell’accusa, e il colpevole del reato. A partire dagli anni Ottanta, su spinta delle istanze europee e internazionali, la vittima del reato inizierà a ri-scoprire la centralità della sua posizione durante tutto l’arco pro-cedimentale. Il palcoscenico sul quale si è innescato tale processo di riscoperta tenta di ottenere il riconoscimento di un ruolo chiaro e definito quale dimostrazione di una mutata sensibilità dei modelli processuali penali nazionali che prendono in considerazione la sua fragilità e sofferenza. Alla luce dunque di queste prime considerazioni l’attenzione attribuita alla vittima del reato è inesorabilmente destinata a crescere e a guadagnarsi un posto anche all’interno delle dinamiche processuali interne, sebbene ad oggi, come vedremo, il suo ruolo presenti ancora contorni incerti: basti pensare al diritto processuale penale italiano il quale (come anche quello francese) non impiegano il termine “vittima” – utilizzato piuttosto in contesti extraprocessuali, in particolare criminologici, ma preferiscono rimanere ancorati al dualismo tra la nozione di persona offesa dal reato o partielesée- titolare dell’interesse protetto dalla norma penale – e la parte civile o partie civile – titolare del diritto civilistico ad ottenere il risarcimento dei danni prodotti dal reato. Guardando alle spinte europee sarà possibile richiamare da un lato, la Raccomandazione (85) 11 sulla posizione della vittima nella sfera del diritto e della procedura penale e la Convenzione europea sul risarcimento alle vittime di reati violenti che hanno affermato un importante principio, in base al quale la tutela della vittima rappresenta un dovere imprescindibile di solidarietà so-ciale; dall'altro, la Decisione Quadro 2001/220/GAI ha tradotto le norme di soft law in regole cogenti per gli Stati europei. Ma anco-ra, ruolo di gran lunga più importante per la valorizzazione della vittima come soggetto meritevole di protezione nell'ambito del processo penale è stato, ed è tuttora, quello della giurisprudenza delle due Corti. Le pronunce della Corte di Giustizia hanno con-tribuito a definire la nozione di vittima e i contorni dei suoi diritti nel procedimento, mentre le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno delineato le coordinate di un delicato equilibrio tra i diritti della vittima, soprattutto quella vulnerabile, e quelli dell’imputato. Tali iniziative europee, accompagnate dall’adozione di altrettanti interventi normativi mirati a tutare le vittime di determinate tipologie di delitti, quali ad esempio la Convenzione di Istanbul e Lanzarote, confermano come la pro-gressiva ammissione della vittima nella dinamica processuale e, più in generale, la mutata attenzione verso la posizione di quest’ultima in ambito penale costituiscano una priorità assoluta dell’Unione. In particolare, quest’ultima, con la direttiva 2012/29 UE, è intervenuta, come si vedrà, al fine di stabilire norme mini-me in materia di diritti, protezione e assistenza alla vittima di reato nel rispetto del principio di sussidiarietà previsto all’art. 5 TUE, reputando infatti che tale obbiettivo non potesse essere raggiunto in maniera sufficiente dagli Stati membri (cfr. considerando 67) e che, invece, potesse essere conseguito meglio a livello dell’Unione . Tali “norme minime” vanno a costituire il nucleo di facoltà, diritti e garanzie minime a favore della vittima ritenuto come indefettibile dall’Unione stessa e che muove, in via più generale, dal ripensamento del reato, non solo come torto inferto alla società, ma bensì come violazione dei diritti individuali delle vittime (cfr. considerando 9). Da subito è apparso chiaro come il nuovo intervento avrebbe avuto il suo trionfo solo tramite una concreta e uniforme implementazione in tutti gli Stati membri, i quali hanno il compito di trasformare il linguaggio dei principi (tipico delle fonti sovranazionali) in regole precise, di possibile applicazione in un preciso contesto della Direttiva, recepita in Italia tramite il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212,. Il d.lgs. n. 212/2015 finalizzato all’attuazione della direttiva 2012/29/UE costituisce un segnale importante di volontà del legislatore di mutare il modello processuale penale che finora, nonostante alcuni interventi normativi mirati a tutelare le vittime di particolari reati, si è limitato ad attribuire alla vittima del reato un’importanza superficiale. Eccezion fatta, altresì, per alcuni interventi normativi mirati, è stato soprattutto lo strumento dell’interpretazione conforme alle indicazioni convenzionali che ha permesso all’ordinamento giuridico italiano di supplire alle esigenze di tutela degli interessi della persona offesa e di protezione della stessa dai rischi di vittimizzazione secondaria. Al contrario il legislatore delegato chiamato a trasporre una disciplina di carattere più generale, ha deciso di intervenire su alcuni aspetti indicati dalla direttiva, ma tace su altri, e soprattutto non introducendo, come si vedrà, nessun ri-ferimento semantico al termine “vittima”, confermando dunque la volontà di continuare ad utilizzare il termine più tecnico di persona offesa dal reato per evitare un rischio di privatizzazione della giustizia penale.
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