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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-07122018-232929


Tipo di tesi
Tesi di specializzazione (5 anni)
Autore
BERNARDINI, SARA
URN
etd-07122018-232929
Titolo
Effetto della terapia anticoagulante sulla sopravvivenza a breve e medio-lungo termine in pazienti geriatrici con fibrillazione atriale
Dipartimento
MEDICINA CLINICA E SPERIMENTALE
Corso di studi
GERIATRIA
Relatori
relatore Prof. Monzani, Fabio
Parole chiave
  • anziano
  • mortalità
  • anticoagulante
  • fibrillazione atriale
Data inizio appello
08/08/2018
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
08/08/2088
Riassunto
La fibrillazione atriale (FA) è la tachiaritmia sopra-ventricolare più frequente nella pratica clinica, destinata ad aumentare progressivamente negli anni contestualmente al fenomeno di invecchiamento generale della popolazione. Infatti, la sua prevalenza aumenta con l’età, coinvolgendo l’1-3% dei soggetti di età superiore ai 20 anni e arrivando a raggiungere percentuali di circa il 18% per età >85 anni. Interessa maggiormente gli uomini (3.3%) rispetto alle donne (2.4%) anche se nelle fasce di età più avanzate le percentuali di prevalenza si avvicinano (17.9% vs 17.5% in uomini e donne rispettivamente) a causa dell’aumento del numero assoluto di soggetti di sesso femminile affetti da FA nelle ultime decadi di vita. La FA è associata a un incremento di 2 volte del rischio di mortalità del soggetto, ad una riduzione della sua qualità di vita, dell’autonomia funzionale e ad un aumento della morbidità e delle ospedalizzazioni conseguenti, in particolare per quanto riguarda scompenso cardiaco, cardiopatia ischemica ed ictus. La FA rappresenta pertanto una problematica di notevole rilievo nel paziente anziano anche dal punto di vista economico e socio-sanitario. La terapia anticoagulante con antagonisti della vitamina K (VKA) o con gli anticoagulanti orali diretti (DOAC) per la prevenzione delle complicanze tromboemboliche riduce significativamente l’incidenza di ictus e la mortalità ad esso associata. Identificare precocemente la FA e prevenirne le complicanze tromboemboliche può pertanto migliorare significativamente l’outcome del soggetto. Attualmente si raccomanda l’introduzione di terapia anticoagulante in pazienti ad alto rischio tromboembolico (punteggio di score CHA2DS2VASc ≥2 negli uomini e ≥3 nelle donne) e se ne consiglia una valutazione in pazienti a rischio intermedio (punteggio di score CHA2DS2VASc ≥1 negli uomini e ≥2 nelle donne) bilanciando i vantaggi/svantaggi di tale terapia per il singolo soggetto. L’anziano con FA è nella quasi totalità dei casi un paziente a elevato rischio tromboembolico e pertanto meritevole di terapia anticoagulante. Tuttavia questa categoria di pazienti risulta ampiamente sotto-trattata (fino al 40-60%). L’età avanzata e la presenza di comorbidità/sindromi geriatriche (es. insufficienza renale cronica, storia di sanguinamento, decadimento cognitivo, disabilità, cadute frequenti, polifarmacoterapia, status socio-economico) spesso rappresentano la causa dell’undertreatment piuttosto che la valutazione multidimensionale geriatrica (VMD) e la stima effettiva del rischio tromboembolico ed emorragico. L’introduzione sul mercato dei DOAC, farmaci a dose fissa, che non richiedono controlli routinari dell’effetto anticoagulante, privi di interazioni alimentari e con minori interazioni farmacologiche rispetto ai VKA, ha aumentato la possibilità di prescrivere terapia anticoagulante negli anziani. Nonostante si stia assistendo ad un incremento della percentuale di anziani sottoposti a terapia anticoagulante, nei pazienti “grandi anziani” (>85 anni) e fragili la percentuale di sotto-trattamento è ancora elevata. L’eterogeneità dei fattori predittivi associati alla scelta terapeutica secondo le popolazioni studiate, suggerisce che nessuna singola caratteristica clinica (decadimento cognitivo, malnutrizione, incontinenza urinaria, depressione, cadute, disabilità) influenzi in realtà un mancato trattamento, probabilmente perché nessuna di esse vi è associata indipendentemente, ma verosimilmente la loro combinazione. La prescrizione di una terapia anticoagulante dovrebbe quindi essere strettamente associata alla valutazione dello stato generale clinico e funzionale del soggetto oltre che al bilancio tra rischio tromboembolico ed emorragico.
Scopo del presente studio è stato: - stimare la prevalenza di FA in una popolazione di pazienti geriatrici ricoverati per patologia medica acuta e confrontarne le caratteristiche cliniche rispetto alla popolazione in ritmo sinusale; - valutare la prevalenza della terapia anticoagulante domiciliare riscontrata all’ingresso in reparto e alla dimissione dalla U.O. Geriatria dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana (AOUP) nei pazienti affetti da FA e determinarne i fattori predittivi; - analizzare il cambiamento nel corso degli anni dell’utilizzo della terapia anticoagulante a domicilio ed alla dimissione dalla U.O. Geriatria nei pazienti affetti da FA, in particolar modo dopo l’introduzione dei DOAC; - valutare outcomes clinici quali mortalità intra-ospedaliera e sopravvivenza a breve, medio e lungo termine in relazione alle caratteristiche cliniche dei pazienti affetti da FA rispetto ai pazienti in ritmo sinusale e in base all’impiego o meno di terapia anticoagulante.
Questo studio osservazionale prospettico è stato condotto su pazienti di età ≥65 anni, ricoverati consecutivamente per patologia medica acuta da Giugno 2012 a Giugno 2017 presso l’U.O. di Geriatria Universitaria (AOUP). Per ciascun paziente sono state raccolte informazioni socio-demografiche (età, sesso), l’anamnesi patologica remota con particolare riferimento ad eventi cerebrovascolari ed emorragici ed è stata eseguita una completa VMD valutando lo stato funzionale del soggetto con l’indice delle attività di base (BADL) e strumentali (IADL) di vita quotidiana, lo stato nutrizionale con il Mini Nutritional Assessment (MNA), quello cognitivo con lo Short Portable Mental Status Questionnaire (SPMSQ) e il carico di comorbidità attraverso il Cumulative Illness Rating Scale (CIRS). Inoltre per ciascun paziente sono state dosate creatinina e cistatina C sierica, stimando il filtrato glomerulare (eGFR) con la formula CKD-EPI creatinina, CKD-EPI cistatina C, CKD-EPI creatinina-cistatina C. I pazienti sono quindi stati suddivisi in base alla presenza o meno di FA in “pazienti” e “controlli”. I pazienti con FA sono stati a loro volta divisi in due gruppi: quelli con storia di FA nota (parossistica o permanente) sono stati classificati come appartenenti al gruppo “FA anamnestica”, mentre i pazienti con FA di nuova insorgenza sono stati classificati come appartenenti al gruppo “FA incidente”. In questo ultimo caso sono stati distinti i pazienti in cui la FA si è presentata come principale problematica causa del ricovero da quelli che hanno sviluppato FA durante il ricovero per altra patologia medica. Per ciascun paziente con FA è stata eseguita la stratificazione del rischio tromboembolico ed emorragico rispettivamente attraverso gli scores CHA2DS2VASc ed HAS-BLED ed è stata raccolta l’anamnesi farmacologica riguardante la terapia antitrombotica all’ingresso in reparto e alla dimissione, identificando le seguenti classi: terapia anticoagulante orale con VKA, DOAC, eparina a basso peso molecolare a dosaggio anticoagulante (EBPM), terapia antiaggregante piastrinica, nessuna terapia. La mortalità post-dimissione è stata rilevata utilizzando il programma Gestione Sanitaria Territoriale con un follow-up mediano di 11 mesi (range interquartile 1.6-21.7).
Nell’arco temporale Giugno 2012-Giugno 2017 sono stati arruolati 5211 pazienti. L’età media della popolazione globale risultava di 84.0±7.5 anni, il 56.7% erano donne. La prevalenza di FA nella popolazione generale era del 34.8% (1814 pazienti) di cui l’83.5% con FA anamnestica (66.6% permanente) e il restante 16.5% con FA incidente (motivo del ricovero nel 7.4% dei casi considerati). I pazienti con FA, rispetto alla popolazione in ritmo sinusale, risultavano significativamente più anziani (85.8±6.5 vs 83.0±7.8 anni, p<0.05), con un carico maggiore di comorbidità (CIRS-C 5.7±1.7 vs 4.9±1.8, p<0.05) e con peggiori valori di filtrato glomerulare stimato (CKD-EPI creatinina 51.7±24.0 vs 60.3±25.4 ml/min/1.73 mq, p<0.05; CKD-EPI creatinina-cistatina C 42.8±20.6 vs 50.5±24.0 ml/min/1.73 mq, p<0.05; CKD-EPI cistatina C 36.6±18.8 vs 43.6±22.7 ml/min/1.73 mq, p<0.05). Non vi erano invece differenze in termini di disabilità e performance cognitiva [BADL 3 (0-5) vs 3 (0-6); IADL 2 (0-4) vs 2 (0-5); SPMSQ 4 (1-8) vs 4 (1-9) in FA e controlli rispettivamente, p=NS]. Inoltre, i pazienti con FA presentavano una maggiore degenza media (5.7±2.7 vs 5.4±2.7 rispettivamente in FA e controlli, p<0.05).
Il rischio tromboembolico della popolazione con FA risultava elevato [il 99.8% dei pazienti aveva un CHA2DS2VASc ≥2, mediana 5 (4-6)] a fronte di un basso rischio emorragico [75% con HAS-BLED ≤ 2, mediana 2 (1-3)]. Globalmente, solo il 53.6% dei pazienti con FA assumeva a domicilio un’adeguata terapia anticoagulante (24.1% VKA, 22% DOAC e solo il 7.5% EBPM a dosaggio anticoagulante), mentre il restante 46.4% non assumeva alcuna terapia (24.2%) o era in terapia antiaggregante piastrinica (22.2%). Nell’arco temporale 2012-2017 si osservava un significativo incremento della percentuale di pazienti sottoposti a terapia anticoagulante domiciliare (33.3% 2012 vs 59.5% 2017, p<0.01) con una tendenza alla stabilizzazione nel biennio 2016-2017 (p=NS); in particolare negli stessi anni si assisteva ad una riduzione dell’uso di antiaggregante piastrinico (37.3% 2012 vs 18.7% 2017, p<0.01) e di VKA (31.4% 2012 vs 17.5% 2017, p<0.01) a favore dell’impiego di DOAC, soprattutto dal 2014 (12.9% 2014 vs 31.5% 2017, p<0.01). All’analisi di regressione multivariata, il sesso femminile, un’età più avanzata, un maggiore carico di comorbidità e un più grave decadimento cognitivo risultavano fattori indipendentemente associati ad un ridotto utilizzo di terapia anticoagulante domiciliare [sesso F 0.69 (IC95% 0.49-0.95), p<0.05; età avanzata 0.96 (IC95% 0.93-0.99), p<0.01; CIRS-C 0.89 (IC95% 0.80-0.98), p<0.05; SPMSQ 0.92 (IC95% 0.87-0.96), p<0.01].
Alla dimissione dal reparto nell’intera popolazione di pazienti affetti da FA (sia FA anamnestica che incidente) era prescritta terapia anticoagulante in una percentuale superiore rispetto a quella domiciliare (76.1% dei casi di cui 13.5% VKA, 47.7% DOAC, 14.9% EBPM a dosaggio anticoagulante) con un trend in aumento significativo negli anni (51.2% nel 2012 vs 75.5% nel 2017, p<0.01), prevalentemente a favore della terapia con DOAC (23.5% nel 2013 vs 58.2% nel 2017, p<0.01). Alla regressione multivariata, la mancata prescrizione di terapia anticoagulante era indipendentemente associata a una maggiore compromissione generale del soggetto in termini di performance cognitiva, comorbidità, malnutrizione oltre che alla presenza di un’anamnesi positiva per eventi emorragici e un punteggio di CHA2DS2VASc<4, mentre non era più significativamente correlata all’età. [OR: CIRS-C 0.88 (IC95% 0.82-0.95), p<0.01; SPMSQ 0.93 (IC95% 0.90-0.97), p<0.01; MNA 0.67 (IC95% 0.51-0.89), p<0.01; emorragia anamnestica 0.38 (IC95% 0.29-0.50), p<0.01; CHA2DS2VASc ≥4 1.77 (IC95% 1.31-2.40), p<0.01].
La mortalità intra-ospedaliera nella popolazione generale era del 6.0%, in assenza di differenze tra FA e controlli (5.3% vs 5.8%, p=NS); nella coorte di pazienti con FA, la forma incidente presentava un minore tasso di mortalità intra-ospedaliera rispetto all’anamnestica (2.3% vs 5.9% rispettivamente FA incidente vs anamnestica, p<0.05) risultando anche associata ad una minore comorbidità (5.4±1.8 vs 5.8±1.6, rispettivamente FA incidente vs anamnestica, p<0.05). Alla regressione multivariata, la FA anamnestica era indipendentemente associata a un aumentato rischio di mortalità intra-ospedaliera (FA anamnestica OR 2.9 IC95% 1.19-7.4, p<0.05).
Nel follow-up a breve, medio e lungo termine la FA si associava ad un incrementato rischio di mortalità [mediana sopravvivenza FA 15.7 mesi (IC95% 12.8-18.6) vs controlli 27.8 mesi (IC95% 24.5-31.1), p<0.01; 17.1% vs 14.7%, 38.2% vs 32.2%, 46.7% vs 39.4% mortalità ad 1 mese, 6 mesi ed 1 anno rispettivamente nei pazienti con FA e nei controlli, p<0.01]. L’associazione indipendente tra FA e mortalità si perdeva all’analisi di regressione di Cox (HR 1.08, IC95% 0.99-1.18, p=NS) se aggiustata per comorbidità, malnutrizione, durata degenza e filtrato glomerulare stimato [CIRS-C HR 1.09, IC 95% 1.05-1.14, p<0.01; MNA HR 2.06, IC95% 1.80-2.35, p<0.01; durata degenza HR 1.03, IC95% 1.01-1.05, p<0.01, CKD-EPI cistatina C HR 0.95 IC95% 0.92-0.99, p<0.05].
I pazienti con FA che ricevevano alla dimissione un’adeguata terapia anticoagulante, indipendentemente dal grado di rischio tromboembolico, presentavano una riduzione significativa della mortalità a 1 mese, 6 mesi ed 1 anno rispetto ai pazienti non sottoposti a terapia (CHA2DS2VASc ≥4, 13.4% vs 22.7%; 34% vs 48.3%; 43.3% vs 55.4% rispettivamente a 1 mese, 6 mesi, 1 anno, p<0.01; CHA2DS2VASc <4, 16.0% vs 33.3%; 32.3% vs 58.9%; 38.8% vs 71%, ad un mese, 6 mesi ed 1 anno rispettivamente, p<0.01). La mediana di sopravvivenza per i pazienti con CHA2DS2VASc≥4 risultava di 19.4 mesi (IC95% 13.2-25.5) se sottoposti a terapia anticoagulante vs 7.6 mesi (IC95% 2.8-12.3) nei pazienti non trattati (p<0.01), mentre nei pazienti con CHA2DS2VASc<4 era di 25.2 mesi (IC95% 8.06-42.4) vs 2.8 mesi (IC95% 0.0-5.8) con un HR=0.45 (IC95% 0.32-0.62, p<0.01) per questo ultimo caso. Per i soggetti con CHA2DS2VASc≥4 la terapia anticoagulante alla dimissione si associava a una riduzione del rischio di mortalità del 32% [HR 0.68 (0.57-0.84), p<0.01], ma tale significatività si perdeva (HR 0.88, IC95% 0.66-1.18, p=NS) se aggiustata per fattori come durata degenza, CIRS-C, BADL e IADL, SPMSQ, malnutrizione, anamnesi positiva per emorragia, HAS-BLED≥3 e stima del filtrato renale. In particolare un maggiore decadimento cognitivo e peggiori valori di filtrato glomerulare stimato risultavano fattori indipendentemente associati ad un incremento di mortalità [SPMSQ HR 1.13, IC 95% 1.08-1.19, p<0.01; CKD-EPI creatinina cistatina C HR 0.98, IC 95% 0.98-0.99, p<0.01].
Nei pazienti con HAS-BLED≥3 in cui veniva impostata terapia anticoagulante alla dimissione la mortalità a breve e medio-lungo termine non differiva significativamente rispetto ai pazienti non trattati pur tendendo alla significatività statistica [17.9% vs 26.6%; 44.6% vs 55.0%; 55% vs 65.3% ad 1 mese, 6 mesi e 1 anno rispettivamente; mediana sopravvivenza 8.43 mesi (IC95% 4.46-12.40) vs 3.96 (IC95% 0.89-7.03), p=0.05; HR 0.52 (IC95% 0.57-1.002), p=0.05], dimostrando quindi i possibili effetti positivi di una terapia anticoagulante anche in pazienti considerati ad elevato rischio emorragico.
La prevalenza di FA nella popolazione di studio è risultata circa il doppio di quella riportata per la popolazione generale di pari età. I pazienti con FA si presentavano più anziani, comorbosi e con peggiore stima del filtrato glomerulare rispetto ai controlli, in assenza di differenze significative alla VMD. Nonostante un elevato rischio tromboembolico e un basso rischio emorragico, solo il 53.6% della popolazione assumeva terapia anticoagulante a domicilio, seppur con un trend in miglioramento negli anni. Analogamente abbiamo documentato lo stesso incremento anche nella prescrizione di terapia anticoagulante alla dimissione, soprattutto a favore degli anticoagulanti diretti. Pur documentando una maggiore mortalità a breve, medio e lungo termine, nei pazienti con FA in cui veniva impostata un’adeguata terapia anticoagulante alla dimissione la FA stessa non risultava più un fattore indipendentemente associato ad una riduzione della sopravvivenza che veniva invece influenzata da maggiore comorbidità, malnutrizione e disfunzione renale. Inoltre, la terapia anticoagulante per la prevenzione delle complicanze tromboemboliche migliora l’outcome nei pazienti con elevato CHA2DS2VASc non ancora globalmente compromessi, ma probabilmente anche nei soggetti con elevato rischio emorragico (solitamente esclusi dal trattamento anticoagulante). I nostri dati sottolineano quindi l’importanza di implementare l’impiego di terapia anticoagulante nell’anziano combinando nel processo decisionale la valutazione del rischio tromboembolico ed emorragico con una completa VMD volta ad identificare i pazienti più fragili e vulnerabili e con peggior stato funzionale e cognitivo superando il limite ideologico legato alla sola età anagrafica.

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