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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-07082011-154645


Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
MARTINELLI, STEFANO
URN
etd-07082011-154645
Titolo
La leggenda del Volto Santo di Lucca. Nascita e diffusione di un'iconografia politico-devozionale nell'arte europea tra Medioevo ed età moderna
Settore scientifico disciplinare
L-ART/01
Corso di studi
STORIA DELLE ARTI VISIVE E DELLO SPETTACOLO
Relatori
tutor Prof. Ascani, Valerio
Parole chiave
  • Volto Santo
  • Lucca
  • iconografia
  • arte medievale
Data inizio appello
16/09/2011
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
16/09/2081
Riassunto
La ricerca ha preso avvio dalla constatazione che nell’ampio panorama degli studi sul venerato crocifisso ligneo della cattedrale di Lucca - meglio noto come Volto Santo - mancava ancora una trattazione complessiva sulla nascita e sulla diffusione di programmi figurativi dedicati all’illustrazione della sua leggenda o di singoli episodi di essa.
La fattibilità del progetto è stata supportata preliminarmente dalla verifica dell’esistenza di un ricco patrimonio di immagini legate al Volto Santo, la cui varietà tecnica, tipologica e qualitativa offriva un’efficace misura del successo devozionale del crocifisso che, tra il XIV secolo e l’inizio del XVI secolo, assunse le dimensioni di un fenomeno di portata europea.
Particolare attenzione è stata data ad una fonte letteraria trecentesca - nota da copia del XVIII secolo - che ricorda l’esistenza di un ciclo della leggenda del Volto Santo dipinto sulle pareti della cattedrale lucchese. La mancanza di dati certi sull’opera non ha impedito di giungere alla formulazione dell’ipotesi che le pitture decorassero la parete settentrionale della chiesa nello spazio compreso tra il portale con i rilievi cristologici di Nicola Pisano, che rappresentano l’antefatto evangelico degli avvenimenti narrati nella leggenda del crocifisso, e la cappella del Volto Santo. La definizione all’interno della cattedrale di un ampio spazio destinato al culto del crocifisso appare in linea con il coinvolgimento del simulacro in pratiche devozionali collettive, di segno ‘civico’ e ‘politico’, culminanti nella grande Luminara annuale del 13 settembre. Evidenze storiche e documentarie hanno portato a ritenere che il ciclo fosse stato realizzato nei primi decenni del XIV secolo e che, sebbene verosimilmente distrutto dopo il 1372, in concomitanza con il completo rifacimento dell’interno del duomo, avesse avuto la funzione di prototipo per opere successive dedicate allo stesso tema.
L’eredità del programma figurativo della cattedrale passò probabilmente a Venezia, nella cappella del Volto Santo fondata dalla locale comunità lucchese, sulle cui pareti, nel 1370, fu dipinto un ciclo della leggenda del crocifisso. Sebbene l’opera sia andata perduta, è possibile che la sua organizzazione non differisse molto da quella del ciclo del duomo di Lucca e che, allo stesso modo, si proponesse come percorso di avvicinamento alla visione del simulacro che campeggiava al centro dell’altare della cappella e del quale oggi non rimane che il busto. Il fatto che il ciclo fosse stato compiuto ad un solo anno di distanza da quando Lucca aveva recuperato la propria libertà, dopo una lunga dominazione pisana, fa comprendere come l’immagine del Volto Santo fosse caricata di forti significati ‘civici’ ed identitari. Anche la cappella dei lucchesi a Parigi doveva contenere una serie di dipinti su supporto mobile che illustravano la leggenda del crocifisso, mentre le fonti non registrano niente di tal genere per quella di Bruges, dove aveva sede la più ricca comunità lucchese all’estero, sebbene nella città fiamminga siano rimaste importanti tracce iconografiche del crocifisso, per esempio nella cappella della gilda dei menestrelli, dove un’immagine del Volto Santo (1420 ca.) campeggiava sopra l’altare maggiore.
A causa della scomparsa di queste testimonianze su parete, l’indagine sul contenuto iconografico dei cicli della leggenda del crocifisso è stata condotta principalmente su alcuni manoscritti franco-fiamminghi del XV secolo. Tra questi si distingue il cosiddetto ‘codice Rapondi’ (Città del Vaticano, BAV, Pal. Lat. 1988), dal nome della famiglia committente, un libello agiografico interamente dedicato alla storia del Volto Santo con circa trenta immagini che illustrano puntualmente le vicende dell’origine, della scoperta e dell’arrivo a Lucca del simulacro e di tutti i miracoli ad esso attribuiti. Il manoscritto, realizzato a Parigi intorno all’anno 1400 e probabilmente destinato alla cappella della locale comunità lucchese, presuppone l’esistenza di un modello toscano per lo stile delle sue miniature; inoltre, la discrepanza che, in diversi casi, può essere colta tra il contenuto delle illustrazioni e il testo della leggenda ha portato a supporre che il ciclo fosse stato concepito a partire da fonti testuali in parte differenti da quella ‘ufficiale’, ascritta al sedicente Leobino. Le miniature del ‘codice Rapondi’ hanno una forte connotazione politico-identitaria, perché pongono l’accento sul ruolo fondante che l’avvento del Volto Santo ebbe per la storia della città di Lucca.
All’inizio del XV secolo la storia del crocifisso fu compresa in una versione in francese della Legenda aurea di Jacopo da Varagine. In alcuni codici prodotti a Parigi la leggenda del crocifisso è illustrata con ampi cicli di miniature che, sebbene presuppongano, almeno inizialmente, una fonte di origine lucchese, dimostrano di avere un sviluppo autonomo, perché in essi manca quella forte connotazione civica che contraddistingue il ‘codice Rapondi’ e rivelano l’adozione di soluzioni figurative consolidate e non esplicitamente concepite per illustrare il peculiare tema iconografico.
Fra tutti gli episodi leggendari legati al Volto Santo, il cosiddetto ‘miracolo del giullare’ ha avuto il maggior successo figurativo. La vicenda del povero menestrello al quale il crocifisso avrebbe donato uno dei suoi preziosi calzari, dopo che questi aveva devotamente suonato in suo onore, ricorre abbastanza spesso in Italia centro-settentrionale, in particolare in Umbria, mentre nei territori di lingua tedesca diventa addirittura formula esclusiva di rappresentazione del Volto Santo che non è conosciuto secondo altri schemi iconografici. Questo fatto può essere spiegato sia in considerazione della notorietà della storia del menestrello, che circolava anche indipendentemente dal resto della leggenda del Volto Santo, sia per l’importanza assunta da alcuni modelli, come il grande affresco della chiesa dei Domenicani a Bolzano.
La presenza del medesimo tema nei territori dell’Europa centro-orientale ha indotto a ricercare un canale di diffusione dell’iconografia del simulacro lucchese nella committenza e nella devozione che l’imperatore Carlo IV di Lussemburgo aveva dimostrato per il Volto Santo, tanto che aveva fatto realizzare un drappo intessuto con l’immagine del crocifisso che aveva poi esposto nella cattedrale di San Vito a Praga. L’opera, oggi perduta, dovette esercitare una forte influenza negli ambienti culturali e sociali più legati alla corte praghese.
Sul finire del Quattrocento, in concomitanza con la crisi delle comunità di mercanti lucchesi all’estero, il culto del simualcro subì una contrazione, riducendosi quasi a fenomeno circoscritto alla città di origine. A questo periodo,e al XVI secolo, appartengono, tuttavia, alcune delle opere di più alto tenore artistico dedicate al crocifisso, come le Storie del Volto Santo dipinte da Vincenzo Frediani nella cattedrale di San Martino, forse rimaste interrotte e forse ancora memori, per via indiretta, del perduto ciclo trecentesco. A pochi anni di distanza Amico Aspertini realizzò nella chiesa di San Frediano l’affresco con il Trasporto del Volto Santo, che ben si offre ad una lettura celebrativa delle tradizioni dell’antica basilica ed in particolare quella secondo la quale il crocifisso sarebbe stato collocato nella chiesa al momento del suo arrivo a Lucca.
Gli affreschi che decorano le pareti della cappella della Villa Buonvisi a Monte San Quirico presso Lucca, per cui è stato possibile avanzare un nome (Agostino Ghirlanda da Massa) ed un committente (Benedetto Buonvisi, verso il 1580), costituiscono l’unico ciclo della leggenda del Volto Santo su parete oggi conservato. L’importanza dell’opera risiede anche nel fatto che essa si offre ad una lettura in chiave ‘controriformata’, alla fine di un lungo periodo in cui la città di Lucca era stata percorsa dal “morbo” della Riforma protestante e che aveva visto coinvolte tutte le maggiori famiglie ad eccezione dei Buonvisi. La potente famiglia volle pertanto dimostrare la propria indefettibile fedeltà al cattolicesimo attraverso un ciclo di dipinti in cui era celebrata la tradizione della ‘religione civica’ lucchese, incarnata dal Volto Santo.
È parte integrante della tesi il catalogo, organizzato secondo criteri tipologici, geografici e cronologici, in cui tutte le opere figurative dedicate all’illustrazione di uno o più episodi della leggenda del crocifisso sono analizzate singolarmente. Segue un’appendice al catalogo riservata ad altre immagini del Volto Santo, non di carattere narrativo, ma che si pongono quali importanti termini di confronto iconografico e stilistico o come testimonianze della circolazione dell’iconografia del crocifisso lucchese in un determinato ambito culturale.
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