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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-07072014-145819


Tipo di tesi
Tesi di specializzazione (5 anni)
Autore
VECOLI, CECILIA
URN
etd-07072014-145819
Titolo
MARCATORI BIOUMORALI E GENETICI PER DEFINIRE IL RISCHIO INDIVIDUALE DI CARDIOPATIA ISCHEMICA
Dipartimento
PATOLOGIA CHIRURGICA, MEDICA, MOLECOLARE E DELL'AREA CRITICA
Corso di studi
BIOCHIMICA CLINICA
Relatori
relatore Dott. Andreassi, Maria Grazia
relatore Prof. Lucacchini, Antonio
Parole chiave
  • cardiopatia Ischemica
  • Biomarcatori
  • Genetica
Data inizio appello
31/07/2014
Consultabilità
Completa
Riassunto
Negli ultimi anni la mortalità cardiovascolare in Europa si è progressivamente ridotta sia per le nuove strategie terapeutiche sia per la riduzione di alcuni dei maggiori fattori di rischio cardiovascolare. Tuttavia la mortalità per malattie cardiovascolari continua ad essere la principale causa di morte, nonché di morbilità e di perdita di qualità della vita nei paesi industrializzati. In particolare, la diffusione di nuovi fattori di rischio (inattività fisica, diabete ed obesità) si associa ad una aumentata prevalenza della cardiopatia ischemica (CI), che rimane una delle cause principali di morte cardiaca. Un ulteriore miglioramento della prevenzione ed il trattamento e riconoscimento precoce della CI sono, da un lato strategie necessarie per ridurre mortalità, morbilità e per migliorare la qualità di vita e, dall’altro, costituiscono una sfida per il contenimento dei costi del sistema sanitario. Il gold standard sarebbe quello di identificare nuove strategie non invasive, a basso costo e già pronte per l'utilizzo clinico. Attualmente, la stima del rischio di CI viene effettuata in base alla presentazione clinica ed alla presenza di alcuni riconosciuti fattori di rischio cardiovascolare. Questa stima del rischio efficace su larga popolazione, ha diversi limiti se applicata a popolazioni più specifiche o al singolo individuo in cui fattori genetici interagiscono con fattori acquisiti nel modulare la suscettibilità alla malattia coronarica. Per questo, ad oggi, l'identificazione e la caratterizzazione di un gruppo di biomarcatori in grado di stimare il rischio di CI rimane una sfida aperta. In questo contesto, l’obiettivo principale di questo lavoro di tesi è stato quello di cercare di identificare dei biomarcatori (bioumorali e genetici) che, integrati a dati clinici, potessero consentire una facile stima del rischio individuale di CI. All’interno dello studio “Biohumoral and Genetic Predictors of Cardiac Evolving Phenotype in Ischemic Heart Disease” (Biogen Care-IHD) sono stati arruolati 378 pazienti con sospetta CI, in base alla sintomatologia clinica e/o alla presenza di molteplici fattori di rischio. Per ciascun paziente è stata registrata la storia clinica ed è stato ottenuto un campione di sangue periferico per la determinazione di una serie di biomarcatori circolanti e per l’analisi genotipica di varianti comuni in geni potenzialmente coinvolti nella patogenesi e nella progressione della CI. I pazienti sono stati poi indirizzati a diverse procedure diagnostiche e/o di trattamento sulla base delle loro caratteristiche cliniche a discrezione del medico curante. La descrizione clinica della popolazione, suddivisa in pazienti asintomatici e sintomatici, mostrava che i pazienti asintomatici avevano una maggiore prevalenza di tutti i principali fattori di rischio cardiovascolare (in particolare diabete, 83% vs 23%). L’analisi dei marcatori bioumorali mostrava che la maggiore differenza tra le due sottopopolazioni consisteva in valori elevati di glucosio in pazienti asintomatici e di valori leggermente più elevati di colesterolo LDL, AST, ALP e valori più bassi di FT3 nei pazienti sintomatici. L’analisi genotipica non mostrava differenze significative tra i pazienti asintomatici e sintomatici, fatta eccezione per la variante -75 G>A del gene APOA1 (p <0.02). Per sviluppare un modello predittivo di malattia, i dati clinici, i dati bio-umorali e genetici sono stati testati (prima separatamente poi, in un modello predittivo integrato) verso un endpoint diagnostico (1, presenza di stenosi> 50% in almeno un vaso coronarico epicardico in pazienti che hanno eseguito invasiva angiografia coronarica; 2, ECG da sforzo positivo in pazienti che non eseguono invasiva angiografia coronarica) in grado di descrivere la presenza di malattia ischemica. Tra le variabili cliniche l’eta’ (p=0.01), il sesso maschile (p<0.0001) e la storia familiare per malattia coronarica (p=0.04), si confermavano predittori indipendentidi malattia. Tra le variabili bio-umorali, i bassi livelli di colesterolo HDL (p=0.03), i bassi livelli di adiponectina (p=0.01), e i piu’ alti livelli di Troponina T (p=0.004), risultavano variabili indipendentemente associate con la presenza di malattia ischemica. Tra le varianti genetiche, solo la variante intronica G279A del gene CETP era significativamente associata cone la CI (p=0.04). Nel modello predittivo integrato le variabili indipendentemente associate all’endpoint diagnostico rimanevano: il sesso maschile (p=0.01), il colesterolo HDL (p=0.004), la hsTroponina T (p=0.001) e la variante genetica G279A del gene CETP (p=0.04). Dai risultati di questo studio sono emerse quattro variabili la cui integrazione permette di predire il rischio individuale di malattia ischemica. Queste variabili, se analizzate in una popolazione piu’ ampia, potranno essere utilizzate per la sviluppo di un nuovo metodo di calcolo per il rischio di cardiopatia ischemica facilmente applicabile a tutti i pazienti con sospetta malattia ischemica. Questo permettera’ di avere uno strumento in grado di selezionare in modo appropriato, preciso, accurato e a basso costo i pazienti che dovranno essere indirizzati verso un screening diagnostico avanzato rispetto a quelli che invece dovranno essere sottoposti direttamente ad un trattamento farmacologico e/o rivascolarizzazione.
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