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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-06292015-145222


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
FRANCONI, ELEONORA
URN
etd-06292015-145222
Titolo
La prova scientifica e lo spazio del libero convincimento
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Galgani, Benedetta
Parole chiave
  • prova penale
  • prova scientifica
  • libero convincimento
  • ragionevole dubbio
  • valutazione della prova
Data inizio appello
20/07/2015
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il tema della formazione della prova nel processo penale e del convincimento del giudice è un problema complesso, i cui aspetti critici consistono in una molteplicità di fattori non tutti rientranti nell’ambito tipicamente processuale. Un approccio eclettico e multidisciplinare è l’unico che consente di comprenderne l’ambito e quindi gli spunti risolutori.
La storia delle prove penali rappresenta il riflesso del contesto politico, sociale e lato sensu culturale di ogni civiltà ed appare inevitabilmente segnata da vari snodi, cui corrisponde l’affermarsi di specifici e differenti materiali cognitivi che assurgono a simbolo di una determinata società.
L’analisi del libero convincimento del giudice non può, dunque, prescindere da un excursus storico che metta in luce gli spazi riservati, di volta in volta, all’operatività del principio, così da apprezzarne le alterne vicende susseguitesi al mutare del contesto sistematico di riferimento.
In tempi recenti, il principio del libero convincimento ha rischiato di essere de facto eclissato a causa della progressiva influenza nel processo penale della prova scientifica, nella convinzione che l’apporto delle “scienze esatte” possa fornire un contributo determinante all’accertamento dei fatti.
Sempre più spesso, infatti, la ricostruzione probatoria dei fatti rilevanti per l’accertamento del reato e per l’individuazione del colpevole è strettamente connessa ai risultati della prova scientifica, conseguiti mediante operazioni svolte da periti o consulenti tecnici, i quali si avvalgono talvolta di strumenti noti e tradizionalmente affidabili, ed altre di tecniche nuove e controverse.
Prova, metodo scientifico e libero convincimento sono temi che si intersecano e si condizionano tra loro, in un ambito nel quale gli operatori della giustizia devono fare i conti con una norma scarna, se non addirittura carente.
È sul terreno della prova scientifica che si manifestano con maggior forza incertezze e dubbi applicativi, quali fino a che punto il giudice possa deresponsabilizzarsi ed affidarsi a dati esterni, facendo dipendere la decisione di sua competenza da soggetti che non hanno apposita legittimazione; come debbano essere valutati i dati scientifici, mai univoci, introdotti nel giudizio; se sia compito del giudice essere arbitro non solo dei conflitti sul diritto, ma anche di quelli che vertono sulle metodologie scientifiche ed i suoi risultati.
Nella risoluzione di tali interrogativi, è opportuno guardare all’esperienza dei sistemi giuridici d’oltreoceano, nei quali la giurisprudenza ha offerto un ampio ventaglio di risposte ed un robusto supporto teorico.
Atteggiamento condivisibile, a patto però di non voler a tutti i costi recepire supinamente conclusioni e soluzioni maturate in contesti processuali ed ordinamentali profondamente diversi.
La celebre sentenza Daubert v. Merrell Dow Pharms pronunciata dalla Corte suprema statunitense stabilisce una serie di canoni che devono presiedere alla decisione del giudice, esplicitamente basati sull’incrocio tra la metascienza falsificazionista di Popper e una lettura della scienza come istituzione sociale, in cui si esalta il peso della comunità scientifica.
Ciò sembra fare del giudice il “guardiano” dell’ammissibilità delle prove scientifiche, un ruolo che lo slega dall’ipse dixit dell’esperto.
Anche il giudice italiano è sollecitato ad abbandonare, da un lato, la “teoria autoritaria” del libero convincimento, ricercando nelle leggi scientifiche la “copertura” delle proprie decisioni, ma, dall’altro, a non assumere atteggiamenti giudiziali « remissivi e rinunciatari, indulgenti alla acritica recezione specialmente dei contributi ricostruttivi e valutativi delle “persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina”», bensì il ruolo del «reale dominus del processo acquisitivo e decisionale”, del “ricercatore solerte ed attento del “vero” attraverso la conoscenza ed il vaglio critico di ogni utile emergenza fattuale».
Dallo svolgimento del nostro elaborato emerge con forza significativa come la prova scientifica non sia una prova infallibile ma una prova verificabile e da accertare come tutte le altre, la cui valutazione richiede maggiori cautele, in quanto presuppone la mediazione dell’esperto.
Il tema della valutazione della prova scientifica ha spesso caratteristiche di maggior difficoltà rispetto a quella di altre prove perché mentre gli strumenti culturali a disposizione del giudice per la valutazione delle altre prove sono patrimonio di tutti i giudici, nell’ambito della prova scientifica il giudice non è normalmente dotato delle necessarie conoscenze e conseguentemente non può valutarla senza la mediazione dell’esperto. Solamente attraverso il contraddittorio “per” e “sulla” prova scientifica è possibile ovviare ai due principali rischi caratterizzati dalla fallacia dello iudex peritus peritorum, consistente nell’impossibilità da parte del giudice di sostituirsi agli esperti scegliendo arbitrariamente la teoria da privilegiare, e dalla fallacia dell’ipse dixit, costituita dalla possibilità che il giudice si appiattisca sulla ricostruzione di un esperto senza valutarla criticamente. Al fine di ovviare al diffuso orientamento presente in letteratura e in giurisprudenza in base al quale esisterebbe una presunzione relativa di affidabilità del perito, occorre accogliere il principio secondo cui il giudice è chiamato a valutare la specifica qualificazione dell’esperto ed il metodo che egli ha adottato. Compito del giudice è, infatti, capire su quali basi l’esperto perviene ad un determinato asserto, e non analizzare nel merito ciò che l’esperto asserisce. Occorre, inoltre, valorizzare al massimo il contraddittorio con i consulenti tecnici. Ciò evita che al perito venga attribuito un credito privilegiato senza validi motivi, e permette inoltre che una ricostruzione di parte risulti perfettamente idonea a spiegare il caso concreto, anche in presenza di una perizia che ha fornito risultati contrari.
Come risulta dal nostro studio, il perito non è attendibile in quanto figura neutra di nomina giudiziale, ma lo è in quanto la sua ricostruzione ha resistito all’urto del contraddittorio. In questo quadro risulta evidente che il motto iudex peritus peritorum perde i tratti negativi e si carica di un inedito significato che conferisce al giudice il potere di scegliere la migliore ricostruzione del fatto, con il vincolo della motivazione legale e razionale. In sintesi estrema, la scienza nel processo penale è una sorta di Giano bifronte. Il volto “cattivo” è quello di una sorta di deus ex machina che, provando troppo, ha spesso una portata risolutiva. Il volto “buono” è rappresentato da un criterio rigoroso, segno tangibile di un approccio scientifico in senso ampio, che deve informare di sé ogni ricostruzione fattuale effettuata nel processo penale.
È importante soffermarsi, inoltre, sul fatto che la prova scientifica al fine di supportare una sentenza di condanna deve condurre al superamento di ogni “ragionevole dubbio” circa la colpevolezza dell’imputato. Infatti, è proprio a fattispecie per il cui accertamento si ricorre al sapere scientifico che la nostra giurisprudenza ha anticipato sul punto il legislatore, facendo ricorso al parametro di matrice nordamericana del beyond any reasonable doubt.
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