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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-06212016-211524


Tipo di tesi
Tesi di specializzazione (5 anni)
Autore
GIACALONE, MARILU'
URN
etd-06212016-211524
Titolo
Ruolo di nuovi biomarcatori nella diagnosi e trattamento di sepsi e shock settico
Dipartimento
PATOLOGIA CHIRURGICA, MEDICA, MOLECOLARE E DELL'AREA CRITICA
Corso di studi
ANESTESIA, RIANIMAZIONE E TERAPIA INTENSIVA
Relatori
relatore Prof. Giunta, Francesco
relatore Forfori, Francesco
Parole chiave
  • sepsi
  • shock settico
  • disfunzione d'organo
  • biomarcatore
  • attività endotossinica
  • mortalità
Data inizio appello
27/07/2016
Consultabilità
Completa
Riassunto
La sepsi e lo shock settico hanno al giorno d’oggi un’incidenza crescente e sono una causa importante di morbilità e mortalità, sia nelle terapie intensive sia nei reparti di degenza ordinaria. Le cause di questo aumento dell’incidenza sono da ascrivere ad un invecchiamento della popolazione generale, un maggiore utilizzo di dispositivi invasivi soprattutto vascolari, la presenza di infezioni nosocomiali e la relativa antibioticoresistenza, terapie immunosoppressive prolungate, e – non da ultimo – una migliorata accortezza diagnostica dovuta ad una maggiore consapevolezza medica della problematica, sulla base di linee guida recentemente pubblicate. La sepsi se non trattata evolve naturalmente in shock settico, che è una condizione a rischio di vita con oltre il 40% di mortalità intraospedaliera. I pazienti che sopravvivono possono avere pesanti ricadute sul loro stato generale e sulla qualità di vita una volta dimessi dall’ospedale. Così come un precoce riconoscimento di un infarto miocardico acuto implica una maggiore quota di miocardio risparmiato, un precoce riconoscimento della sepsi significa maggiori probabilità di sopravvivenza e maggior numero di vite salvate. Per questo, è fondamentale iniziare precocemente la terapia, sia di supporto che antibiotica, la quale andrà successivamente variata in modo da risultare mirata al germe infettante e ridurre le probabilità di sviluppo di resistenza. In questo scenario è possibile inserire l’uso di biomarcatori di infezione e di disfunzione d’organo al fine di rendere la diagnosi specifica sempre più precoce e valutare la risposta alla terapia, possibilmente con sensibilità e specificità idonei a prendere fondatamente delle decisioni cliniche. Fra questi, la procalcitonina è un marcatore di infezione batterica ormai presente nella diagnostica routinaria di molte realtà come pronto soccorso, corsie e terapie intensive, usata come traccia diagnostica e di follow up della terapia. L’attività endotossinica (EAA), qualora positiva, rappresenta un biomarcatore affidabile di infezione da germi gram negativi i cui livelli, in base alla letteratura disponibile, correlano con la mortalità e con la necessità di terapie ulteriori. Il brain natriuretic peptide (BNP) rappresenta un biomarcatore di disfunzione cardiaca, anche questo utile per diagnosi e soprattutto per follow up di scompenso cardiaco, anche in questo caso correlato con la mortalità e la necessità di terapie ulteriori. Tuttavia, il loro ruolo predittivo preciso deve essere contestualizzato al tipo di paziente, alle altre variabili cliniche di uso routinario e soprattutto alla capacità di compenso del paziente. Pertanto è stato condotto uno studio clinico con l’obiettivo di correlare parametri ematici routinari (conta dei globuli bianchi, proteina C reattiva, conta piastrinica) con marcatori di infezione e di performance cardiaca (EAA e BNP), contestualizzare il valore di queste correlazioni nella gestione dei pazienti settici, e valutare la loro influenza sull’outcome. In questo studio osservazionale prospettico sono stati reclutati 15 pazienti critici con segni clinici di sepsi e almeno un dosaggio EAA entro 6 ore dal ricovero in terapia intensiva. Sono state determinate correlazioni tra età, sesso, tipo di infezione, livelli di biomarcatori (BNP, proteina C reattiva, procalcitonina, globuli bianchi e delle piastrine), così come livelli di EAA con misure di outcome (per esempio, la durata della degenza, la necessità di terapie sostitutive renali (CRRT), mortalità intra-ospedaliera e mortalità a 30 giorni). Nessuna differenza statisticamente significativa è stata rilevata tra il livello EAA e la mortalità a 30 giorni. La mortalità non è risultata significativamente più elevata per le donne (57%) rispetto agli uomini (50%), p = 1. L’età avanzata è risultata correlata ad una maggiore necessità di CRRT (p = 0,022). I pazienti con livelli di EAA inferiore a 0,6 hanno mostrato valori di BNP più bassi con una correlazione moderata (ρ = 0,39). Una correlazione significativa è stata rilevata tra i livelli di BNP e conta leucocitaria (p = 0,033), e tra mortalità intra-ospedaliera e conta piastrinica (p = 0,029). I pazienti che hanno ricevuto CRRT avevano livelli significativamente più elevati di BNP (p = 0,004). La conta leucocitaria ha correlato anche con la necessità di CRRT (p = 0,021). Anche se non significativo, è stato rilevato un trend di correlazione tra età e durata della degenza (ρ = 0,436), e tra età e conta leucocitaria (p = 0,054). In conclusione, si dimostra che il valore diagnostico e prognostico dei dati routinari di terapia intensiva correlati con nuovi biomarcatori, deve essere adattato per ogni paziente settico in base alle loro malattie di base, disabilità e riserva funzionale al fine di giustificare trattamenti intensivi e razionalizzare le risorse disponibili.
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