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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-06122017-192920


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
PANICO, CARLA
URN
etd-06122017-192920
Titolo
L'autonomia dei subalterni. La Questione meridionale da Gramsci agli studi postcoloniali
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
STORIA E CIVILTA
Relatori
relatore Prof. Dei, Fabio
correlatore Prof. Amendola, Adalgiso
controrelatore Prof. Baldissara, Luca
Parole chiave
  • questione meridionale
  • postcolonial
  • Gramsci
  • subalternità
Data inizio appello
30/06/2017
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
30/06/2087
Riassunto
Questo progetto parte da un'ipotesi di lavoro ben precisa e situata in maniera esplicitamente parziale: l'impossibilità di definire la nozione di “Sud” come espressione meramente geografica e oggettiva, e la necessità di assumerne, invece, tutta la portata epistemologica.
Partire dal presupposto che il Sud non sia un luogo, ma un'espressione innanzi tutto storica e politica di specifici rapporti di forza, significa necessariamente e preventivamente declinarne l'evocazione in una dimensione plurale, che sottolinei l'esistenza - rigorosamente relazionale - di molteplici Sud.
Affrontare il dibattito italiano sulla “Questione meridionale” significa mettere le mani su quello che forse è il più grande nervo scoperto della storia d'Italia, anzitutto a partire da un campo di scontro che ha determinato enormemente le sorti della politica di questo Paese: l'opposizione tra la dimensione locale e quella nazionale in cui iscrivere la Questione meridionale stessa.
Buona parte della tradizione meridionalista – prima di tutto quella del Partito comunista – ha ripiegato continuamente sulla dimensione locale del problema del Mezzogiorno, al fine di garantire la creazione di uno spazio delimitato di azione politica che ben si prestasse a diventare campo di esercizio di forme di egemonia intellettuale, politica ed elettorale; questo approccio ha, di fatto, spianato la strada alla politica dell'eccezione e dell'emergenza che ha caratterizzato l'intervento sul Mezzogiorno dei governi centrali dal dopoguerra a oggi.
L'assunto da cui ci sembra fondamentale partire, invece, è proprio quello opposto: la Storia d'Italia è, soprattutto, storia di una questione meridionale eternamente irrisolta, la storia di una nazione a metà che non si è mai compiuta.
In questo senso, appare centrale riproporre una peculiarità specifica della storia culturale di questo Paese, ovvero la battaglia – fortunatamente ancora aperta – intorno all'appropriazione del pensiero di Gramsci, che ha costituito, per decenni, la base di legittimazione egemonica del discorso meridionalista di sinistra, mediante l'interpretazione che è stata imposta al dibattito pubblico dalla lettura togliattiana. Mediante la santificazione di un Gramsci scientemente tradito e malinterpretato, il Partito comunista italiano si è attribuito arbitrariamente il ruolo di unico possibile interlocutore nella mediazione tra dimensione locale e politica nazionale, rendendo, di fatto, il meridione luogo privilegiato di produzione di quadri politici del partito che avrebbero determinato – e ancora determinano, se pensiamo a figure emblematiche quali Giorgio Napolitano – le sorti della politica nazionale.
Scegliamo di situarci, quindi, nel solco delle tradizioni di studi che, negli ultimi anni in Italia, hanno tentato di “riportare a casa Gramsci” a partire da una prospettiva in grado di provincializzare la lettura italiana delle sue opere e di privilegiare, invece, il fortunatissimo incontro che queste hanno avuto con i Cultural Studies britannici e con il pensiero post-coloniale, in particolar modo con i Subaltern Studies indiani e con una parte, fondamentale, del pensiero Decolonial sudamericano.
Tramite questa ibridazione, la “Questione merdionale” e la stessa categoria di Sud viene necessariamente forzata nella direzione dell'indagine sui meccanismi di accumulazione originaria che vanno di pari passo con l'esercizio di una forma di colonialità del potere, e ponendosi, di conseguenza, la questione annosa della conseguente produzione di soggettività.
A questo proposito, ci sembra utile compiere un'ulteriore forzatura teorica: quella che ci spinge al recupero di una tradizione che, per lungo tempo, è cresciuta nel rifiuto radicale del confronto col pensiero gramsciano, proprio a causa di quelle peculiarità della Storia d'Italia: ci riferiamo al pensiero operaista.
Guardare alla soggettività operaia che ha animato il più grande ciclo di lotte della storia di questo paese iscrivendone, con forza, la sua genesi all'interno del fenomeno migratorio che ha visto lo spostamento di massa di milioni di meridionali verso le industrie del Nord, significa, necessariamente, porre la questione meridionale come questione eminentemente nazionale, e avvicinarsi, paradossalmente, con maggiore fedeltà di quanto non abbia fatto il meridionalismo comunista all'idea gramsciana della stretta relazione tra le lotte meridionali e quelle degli operai del Nord.
Rileggere lo sviluppo dello Stato Italiano in maniera inscindibile dalla produzione del sottosviluppo nell'aerea meridionale del Paese, ci porta, necessariamente, a situarci, da Sud, all'interno del rifiuto radicale del paradigma dello sviluppo in quanto narrazione fondativa del progetto della modernità occidentale, reinserendoci in una prospettiva radicalmente antimoderna, fondativa del pensiero postcoloniale.
È possibile, quindi, una cassetta degli attrezzi gramsciana, operaista e postcoloniale insieme, per smontare il Sud?
Si può partire oggi, con questi strumenti, proprio da questa peculiarità della storia d'Italia per mettere in discussione la riproposizione di fenomeni violentissimi di colonialismo interno ai danni dei nuovi sud, che stavolta si inseriscono in una dinamica non nazionale, ma sovranazionale?
Da questo punto di vista, l'ipotesi da verificare è che la Storia d'Italia, storia soprattutto di una questione meridionale eternamente irrisolta e di migrazioni di massa di forza – lavoro, ci consegni, oggi, un'utile prospettiva con cui muoverci all'interno dello spazio europeo contemporaneo, imprescindibile campo di applicazione delle nostre analisi nel momento in cui l'epoca dei confini degli stati nazione sembra volgere al tramonto, e ci mostra, al tempo stesso, tutta la violenza del suo ultimo, disperato tentativo di riaffermarsi.
Indagare, quindi, in che modo si compie il “divenire Sud”, in un'ottica che da nazionale, si fa sovranazionale, per ripercorrere quanto la nozione di Meridione si ridetermini, dal punto di vista storico, soprattutto sull'asse della ricreazione di processi di accumulazione violentissimi che producono soggettività nuove, dagli esiti, però, non esattamente prevedibili: cosa hanno, infatti, in comune i “terroni” spediti nelle catene di montaggio delle industrie del Nord Italia negli anni '70 con i nuovi migranti, giovani e iperformati, che dall'Italia si muovono per raggiungere le città del Nord Europa? Su che assi si compie questo processo di Merdionalizzazione progressiva, che investe l'Italia – in quanto bacino di forza – lavoro migrante - ma anche l'Europa intera, dal punto di vista delle forme di vita nomadi che la attraversano?
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