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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-06122015-121129


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
RUSSO, GIANMARCO
URN
etd-06122015-121129
Titolo
Lazzaro Bastiani e la pittura in Veneto 1451-1512
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE, DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA
Relatori
correlatore Prof. Collareta, Marco
relatore Prof. Ferretti, Massimo
relatore Prof.ssa Sicca, Cinzia Maria
Parole chiave
  • Vivarini
  • Storia della pittura veneta
  • Storia della critica d'arte
  • Marco Zoppo
  • Lazzaro Bastiani
  • Giovanni Bellini
  • Connoisseurship.
Data inizio appello
29/06/2015
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
29/06/2085
Riassunto
«Lazzaro Bastiani è sempre stato un incomodo a latere per i grandi dell’arte Veneziana; la sua vita lunga almeno come quella di Giovanni Bellini e contenuta entro gli stessi termini, la sua produzione abbastanza notevole, gli incarichi ufficiali da lui ricevuti e che gli permettevano di lavorare a fianco di pittori aulici come i Bellini, hanno fatto sempre sperare ai critici da lui più di quanto egli soglia mantenere con l’opera; la delusione comune di fronte a molte sue opere ha allora portato una levata di scudi contro di lui». Con queste parole, Roberto Longhi apriva un saggio su Lazzaro Bastiani che avrebbe dovuto tracciare, sulla scorta dell’attribuzione al pittore delle due tavole raffiguranti Cristo e la Samaritana e Cristo e la Cananea oggi alle Gallerie dell’Accademia, gli snodi principali del percorso giovanile del maestro veneziano. Era forse il 19262: né Evelyn Sandberg-Vavalà, né Licia Collobi Ragghianti avevano ancora dato alla luce i loro studi, per noi di certo datati, ma che già agli occhi di Longhi si sarebbero rivelati, di lì a poco, intelligentemente correttivi delle sovra-interpretazioni neopositivistiche di Gustav Ludwig e Pompeo Molmenti e degli eccessi storicistici dell’odiato-amato Bernard Berenson. A distanza di quasi un secolo, le preoccupazioni di chi si avvicina alla vicenda pittorica e biografica di Bastiani non sono cambiate: se da un lato, infatti, la ricostruzione del curricolo dell’artista, specie nella sua fase giovanile, è resa ardua dalla quasi totale mancanza di documentazione scritta, dall’altro, una letteratura sempre più attenta ad altri aspetti della pittura veneziana del Quattrocento e ben lungi dall’impostare la questione bastianesca nei termini di una oculata ricerca storico-artistica fa di Lazzaro nient’altro che un pittore reo di non aver attinto ad un grado qualitativo pari a quello, poniamo, di Giovanni Bellini o Vittore Carpaccio.
La tesi magistrale su Lazzaro Bastiani intende innanzitutto confrontarsi con queste difficoltà. In primo luogo, lo scarto per certi versi incolmabile fra documenti scritti e testi figurativi suggerisce di maneggiare la vicenda bastianesca con cautela, senza dimenticare che alle commissioni della giovinezza testimoniate dalle carte d’archivio ma non supportate da alcun riscontro materiale corrispondono, nella maturità, diverse opere in pochissimi casi firmate e datate, in altri unicamente attestate da tutt’altro che inoppugnabili testimonianze indirette. Si comprende, allora, come in una situazione del genere le opere d’arte si vedano rivestite di quel ruolo di documenti primari che le sottrae a interpretazioni frettolose e semplicistiche. Una tendenza che ancora di recente si riscontra negli studi su Bastiani, infatti, è quella di considerare il percorso del maestro in modo parcellizzato e di rifuggire indagini sistematiche; il che ha portato, da una parte, a tener per buoni i vecchi aggiustamenti della critica novecentesca e, dall’altra, ad affollare il catalogo del pittore di numeri pescati qua e là fra gli anonimi veneti della seconda metà del Quattrocento. Così, si è spesso finito per credere di Lazzaro tutto quello che, su base stilistica, risultava impossibile assegnare ad un Bellini o un Vivarini, facendo della pittura bastianesca un grande calderone in cui far rientrare tutte quelle opere che avessero un’apparenza riconoscibilmente lagunare. Atteggiamento, questo, che illumina la portata della sfortuna critica di Bastiani e del disinteresse mostrato dagli studiosi nei confronti del nostro artista, richiamando l’urgenza di una ricerca che del pittore provi a tracciare, per quanto possibile, un profilo storico-critico attendibile.
Ciò da cui la tesi magistrale si propone di muovere è una ricognizione dei punti fermi su Lazzaro Bastiani deducibili dai dati materiali e da quelli forniti dalle fonti. Punto di partenza obbligato rimane l’esordio del pittore così come esso ci è documentato da una Madonna dell’Umiltà, tuttora conservata presso il Museo Correr di Venezia sotto il nome di un non meglio specificato «pittore veneto della metà del secolo XV», ma già riferita al giovanissimo Bastiani da Carlo Volpe. L’opera permette di profilare, per quanto concerne Lazzaro, un caso del tutto analogo a quello degli inizi di Vincenzo Foppa, in cui un’evidente ispirazione internazionale convive con i primi sentori di fatti nuovi dell’arte di metà secolo. Siamo attorno al 1451 e da questo momento in poi, il Nostro coniugherà l’eredità del passato con un aggiornamento tutt’altro che superficiale sull’insegnamento dei protagonisti della pittura veneta della seconda metà del Quattrocento.È, quello dell’eredità medievale in Lazzaro Bastiani, un tema portante di tutta la produzione dell’artista che, se già si ritrova accennato in una pagina poco frequentata di Antonio Maria Zanetti20 e magistralmente inteso da Longhi nel saggio del ’26, non è mai stato messo a fuoco dalla critica recente pur costituendo a tutti gli effetti uno dei fattori unificanti del problematico catalogo del pittore. Se è vero, infatti, che al felice momento della giovinezza e della prima maturità segue in vecchiaia un generale abbassamento di tono che non permette al Bastiani di tenere il passo agli sviluppi proto-cinquecenteschi della pittura lagunare, il costante riferimento ad una cultura antiquata ed arcaica fa di Lazzaro un esponente, dalle caratteristiche figurative personali e ben definite, di quel capitolo di arte veneziana memore di un passato mai dimenticato, anzi fieramente inglobato secondo i mezzi e i modi del Rinascimento.
La tesi, suddivisa in una parte costituita da saggi e in un’altra di natura catalogica, si sofferma su questo aspetto di Bastiani nella prima sezione, focalizzandosi sul problema attraverso diversi macroargomenti che documentano la sensibilità arcaizzante del pittore. Ad esempio, di un certo interesse si rivela la prestigiosa commissione dei restauri di alcuni mosaici medioevali nella basilica di San Marco svolti da Lazzaro e dai figli Alvise e Vincenzo, all’incirca dalla fine degli anni Ottanta del Quattrocento sino al primo lustro del secolo successivo. L’individuazione del riutilizzo di vecchi modelli del maestro per la codificazione di alcune quelle immagini suggerisce, da una parte, una ricognizione di tutti i casi di pittura bastianesca sovrapponibili nelle intenzioni e nella pratica ai lavori marciani e, dall’altra, un primo tentativo di studio del funzionamento dell’atelier di Lazzaro Bastiani. Si tratta di un modo per tornare a riflettere su alcune tra le più complesse questioni bastianesche di stile e cronologia, indagando al contempo un aspetto della produzione pittorica veneziana relativamente inesplorato come quello delle consuetudini e delle pratiche di bottega. Tale prospettiva di ricerca permette di individuare nella ripetizione puntuale di disegni e cartoni in una quantità disparata di dipinti, autografi e non, uno degli aspetti fondamentali della pertinenza iconica ed antiquata della pittura di Lazzaro, affermando, al contempo, l’infondatezza delle idee di unitarietà dello stile ed indivisibilità della personalità figurativa.
La proposta di catalogo e di distribuzione cronologica delle opere avanzata nella seconda sezione della tesi, pur non distogliendo l’attenzione dai diversi quesiti stilistici sollevati dal lungo percorso bastianesco e soffermandosi sui dipinti certi come su quelli di dubbia attribuzione, mira ad attraversare, per quanto consentito, interessanti questioni critiche, conservative, documentarie e collezionistiche. Si tratta di snodi tutt’altro che secondari del ‘problema Bastiani’, verificati a partire da una ricognizione sistematica delle notizie sul pittore ed una ricerca fra le fotografie di repertorio e il materiale di studio appartenuti ad insigni venetisti del secolo scorso - Bernard Berenson, Giuseppe Fiocco, Rodolfo Pallucchini ed Evelyn Sandberg-Vavalà in primis -, consultati tra la Fondazione Giorgio Cini di Venezia, quella bolognese di Federico Zeri e il Kunsthistorisches Institut di Firenze. Anche questo modo di procedere vuole restituire, più che un risoluzione schematica delle problematiche connesse allo studio di una produzione assai complessa come quella di Lazzaro Bastiani, una linea di cultura figurativa che non prescinda dalla materialità dei «momenti topici» e delle «persone prime» della pittura veneta fra Quattro e Cinquecento, ma che mantenga, piuttosto, il suo punto focale nell’opera d’arte. Nella convinzione che quest’ultima non stia «mai da sola», ma sia «sempre un rapporto».
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