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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-06082017-122321


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
GRAVINO, LUCIA
URN
etd-06082017-122321
Titolo
Nuovo approccio alla terapia della retinopatia diabetica mediante uso di nanoparticelle funzionalizzate
Dipartimento
BIOLOGIA
Corso di studi
BIOLOGIA APPLICATA ALLA BIOMEDICINA
Relatori
relatore Prof. Casini, Giovanni
Parole chiave
  • Retinopatia Diabetica
  • Octreotide
  • Drug System Delivery
  • Nanoparticelle Magnetiche
Data inizio appello
17/07/2017
Consultabilità
Completa
Riassunto
RIASSUNTO

La retinopatia diabetica (DR) è una malattia multifattoriale della retina che culmina con la perdita della vista ed è la principale causa di cecità mondiale tra gli adulti. Essa è una complicanza del diabete mellito di tipo 1 e di tipo 2, patologia che insorge quando nel sangue la concentrazione di glucosio è più alta del normale (iperglicemia). L’eccesso di glucosio in circolo porta a complicanze funzionali in molti organi e tessuti, tra cui, quelli nervosi. L’attività delle cellule nervose dipende da un adeguato apporto di glucosio, per questo il diabete determina profondi impatti anche sul tessuto neurale retinico, essendo un organo energeticamente dispendioso e ad alto consumo d’ossigeno.
La classificazione generale di DR la suddivide in due stadi principali: DR non proliferante, solitamente più precoce, e DR proliferante che rappresenta la forma più avanzata ed invalidante della patologia. La prima fase è caratterizzata da sofferenza e degenerazione neuronale, documentata tramite tomografia a coerenza ottica in pazienti affetti da diabete, in cui si evidenzia un assottigliamento della retina. Inoltre, diversi studi mostrano che nei ratti in cui è stato indotto il diabete, l’elettroretinogramma (ERG) risulta alterato, così come il test dell’acuità visiva. Nella seconda fase, si ha la formazione di micro-aneurismi accompagnati da emorragie. I neuroni retinici risentendo della mancanza di ossigeno e glucosio, rilasciando molecole ad azione proangiogenica, tra cui, il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF), che stimola la proliferazione dei vasi, determinando disordini funzionali e meccanici da trazione quindi il distacco di retina.
I trattamenti oggi in atto si diversificano a seconda dello stadio della malattia. Poiché il VEGF è uno dei principali responsabili dell’angiogenesi aberrante, i farmaci utilizzati negli ultimi 10 anni sono molecole che ne inibiscono l’azione e vengono iniettate a livello intravitreale.
Il blocco dell’azione del VEGF mirato all’inibizione della neoangiogenesi ha un’importante limitazione legata alla sua funzione di neuroprotettore fisiologico nell’organo in questione. E’ stato osservato, infatti, sia sperimentalmente che clinicamente, che l’inibizione radicale del pathway di questa molecola determina comunque neurodegenerazione e perdita di funzionalità della retina.
Per questo motivo, preferendo agire a monte della malattia, ancor prima che compaiano alterazioni vascolari evidenti, sono stati validati alcuni trattamenti mirati alla neuroprotezione nella fase non proliferativa. Un neuroprotettore endogeno molto efficace è la somatostatina. Esso possiede 5 sottotipi di recettori espressi nella retina, uno di questi, sst2r, è particolarmente presente nelle cellule bipolari ed è coinvolto nel controllo del rilascio di glutammato, il cui accumulo conduce ad eccitotossicità. E’ stato dimostrato che la stimolazione dei recettori sst2r con analoghi sintetici della somatostatina, come l’Octreotide (OCT), garantirebbe maggiore protezione alle retine e minore degenerazione neuronale.
Il trattamento con questo farmaco è però soggetto a diverse limitazioni. Esso,infatti, se somministrato in modo sistemico porterebbe allo sconvolgimento dell’omeostasi del sistema neuroendocrino.
Di conseguenza, l’unica somministrazione possibile è quella intravitreale con la limitazione legata alla breve emivita di questo farmaco che porta ad un aumento della frequenza di trattamento, con rischio d’incorrere in complicanze iatrogene.
La biodisponibilità del farmaco può essere migliorata con l’impiego di nanoparticelle ferro-magnetiche (MNPs) che fungono da trasportatori. Esse sono costituite da una superficie polimerica in grado di mimare specifici anticorpi o recettori biologici, un core ferro-magnetico e presentano una matrice polisaccaridica di acido glucuronico, un derivato del glucosio necessario al legame con i farmaci.
E’ stato già dimostrato da studi recenti su embrioni di Zebrafish che la funzionalizzazione di tali particelle e la loro somministrazione intraoculare migliorano l’emivita e l’efficacia di farmaci a funzione neuroprotettiva.
L’obiettivo dello studio è quello di analizzare l’efficacia del trattamento che prevede la funzionalizzazione delle MNPs con OCT andando a compararla con il trattamento con octreotide libero (f-OCT). Dopo aver valutato la localizzazione, la bioattività e l’eventuale tossicità delle nanoparticelle, i parametri ancora da comparare tra MNP-OCT ed f-OCT sono: rilascio, emivita ed efficacia relativa concentrazione-dipendente.
I test iniziali sono stati condotti su modelli sperimentali diversi, tra cui saggi in vitro di migrazione, proliferazione e tube formation indotti da VEGF in una linea di cellule endoteliali retiniche umane, colture ex-vivo di espianti retinici esposti a condizioni di stress ossidativo e iniezioni intravitreali di MNP-OCT e f-OCT in un modello di neurodegenerazione retinica in-vivo.
I risultati preliminari confermano che le MNPs utilizzate come carriers non mostrano tossicità alla concentrazione utilizzata, e che il farmaco mostra una bioattività assolutamente invariata se legato a MNPs, sia nei saggi su cellule endoteliali, sia nella funzione neuroprotettiva sulla retina.
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