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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-06072016-111454


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
BRUSTOLIN, SEBASTIANO
Indirizzo email
sebastiano.brustolin@email.it
URN
etd-06072016-111454
Titolo
L'anarchismo individualista di Benjamin Ricketson Tucker
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE
Relatori
relatore Prof. Cubeddu, Raimondo
Parole chiave
  • individualismo
  • Tucker
  • anarchismo
  • stirnerismo
Data inizio appello
27/06/2016
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il presente lavoro nasce dalla presa di coscienza di un vuoto nella storia della filosofia politica in Italia. Sebbene da una trentina di anni a questa parte il lavoro intrapreso da alcuni pensatori nostrani1 abbia portato a fare una notevole chiarezza tra le diverse etichette politiche e le pubblicazioni, promosse da case editrici (quali Liberilibri, Rubettino/Leonardo Facco), siano riuscite a fornire una finestra sul panorama teorico-politico internazionale, rimane tuttavia vergine e inesplorato un ambito significativo del pensiero politico che ricade sotto il nome di individualismo radicale o anarco-individualismo.
Nonostante questa poliedrica istanza abbia avuto un ciclo vitale assai breve, una sessantina d'anni circa, i suoi echi si fanno vivi tuttora animando il dibattito teorico e fornendo un retroterra concettuale dal quale si continua ad attingere, spesso senza riconoscerne il merito. A doverlo collocare in uno spazio e in un periodo determinato, l'anarco-individualismo occupa interamente quell'arco di tempo, identificato da Nico Berti come “periodo dell'anarchismo classico”, che va dall'ultimo terzo dell'Ottocento al primo terzo del Novecento e il cui cuore pulsante si situa negli Stati Uniti d'America, in particolar modo a Boston.
La figura che personifica questo pensiero é Benjamin Rickeston Tucker.
Il presente elaborato ha l'obiettivo di voler accreditare alla sua opera quel valore e quella rilevanza, date per scontate durante il corso della sua vita ma taciute al giorno d'oggi. Come si cercherà di evidenziare, il suo lascito è più vivo che mai soprattutto all'interno di quel filone critico che, solo, è in grado di mettere in discussione lo stato moderno. Si sta parlando dell'anarco-capitalismo e, in particolare, di Murray N. Rothbard che svolgerà il ruolo di principale interlocutore nel capitolo finale di questo scritto.
A chi si sia scoperto interessato all'argomento qui esposto e si sia spinto ad approfondirne gli aspetti principali, non sarà certo sfuggita l'incomprensibile assenza di questo autore certamente non marginale. Le biblioteche italiane si trovano completamente sguarnite di testi inerenti alla sua vita e alla sua opera, e anche a voler cercare alcune pubblicazioni in lingua originale la strada non risulta affatto in discesa. La corrente stessa, di cui Tucker si fece portavoce, viene raramente presa in considerazione e, quando questo accade, il ruolo che le viene assegnato è marginale e di semplice menzione, come a non poter fare a meno di citarne l'esistenza ma non voler entrare troppo nel dettaglio, evitando così un confronto aperto con essa.
La causa di questo vuoto può essere rintracciata, al di là della proverbiale provincialità del nostro Paese nelle questioni teorico-politiche, in tre fattori di differente entità. I primi due rappresentano contingenze limitative concrete delle quali bisogna prendere atto, quanto meno come scogli pratici cui si scontra la divulgazione, il terzo, invece, ritrae la superficialità, immeritata, con cui fu accolto, o per meglio dire accantonato, il pensiero dell'anarchico di Boston.
Il primo di questi fattori è rappresentato da una caratteristica interna al pensiero stesso dell'autore. La mancanza di sistematicità di uno scrittore che, come Tucker, si trovava attivo su molti fronti e non ha mai dato un profilo organico alle sue opere, solleva non poche difficoltà. A riprova di questa disorganicità, basti pensare che l'unico libro da lui pubblicato, si intitola (in maniera scherzosa ma non troppo) Instead of a Book: by a Man Too Busy to Write One che in italiano può essere riportato come: “Al posto di un libro, di un uomo troppo occupato per scriverne uno”. Consistente in una corposa raccolta di articoli da lui scritti e raggruppati secondo nuclei tematici, questo testo, pur dando una buona visione d'insieme del suo pensiero, può disorientare un lettore amatoriale poco pratico e privo di quel retroterra conoscitivo che gli potrebbe garantire una solida presa contenutistica. Anche se il sottotitolo “A Fragmentary Exposition of Philosophical Anarchism” non ne nasconde la natura e, anzi mette in guardia il potenziale lettore della sua esplicita frammentarietà, gli scritti raccolti risultano ugualmente problematici anche per chi si assume e accetta la complessità della loro asistematicità. La maggior parte dei suoi articoli presentano un carattere polemico che, muovendo da necessità affatto pragmatiche, sfociano spesso in discussioni critiche di natura molto spesso personale. Questa scrittura dispersiva richiede al lettore uno sforzo interpretativo costante e profondo, e prima di cogliere il nocciolo di una questione bisogna avere molto spesso la pazienza di passare al setaccio, al pari di cercatori d'oro californiani, un numero considerevole di articoli infarciti di riferimenti a personalità politiche dimenticate e a dibattiti interni al panorama storico statunitense, per ricavarne, al pari di pagliuzze d'oro, poche frasi esplicative dei principi sottostanti le lunghe pagine polemiche.
Il secondo fattore pratico da noi rintracciato è l'assenza pressoché totale2 di una traduzione italiana degli scritti dell'anarchico che, pur non essendo al giorno d'oggi un limite invalicabile, rimane, nonostante tutto, un evidente limite alla diffusione di massa della sua opera. Si aggiunga poi che l'inglese utilizzato da Tucker è quello di un americano di fine Ottocento e si capirà perché una sua circolazione capillare sia al momento lungi dall'avvenire.
Questo secondo fattore conduce indirettamente al terzo scoglio: il disinteresse. Infatti, perché non fu mai tradotto se non per disinteresse? Il silenzio che continua a vegliare su di lui può essere ricondotto a molti elementi, in primis la disistima che lo accompagna. L'atteggiamento volto a sminuirne l'importanza è comune tanto a coloro che sorvolano sulla sua esistenza quanto a chi, pur menzionandolo, non ne riconosce alcun merito se non una spiccata dote giornalistica. Si badi bene, questo atteggiamento non è proprio soltanto degli studiosi italiani ma presente anche all'estero, dove le idee radicali non vengono certo accolte a braccia aperte e dove il commento più lusinghiero potrebbe essere quello sintetizzato dalle parole di Rudolf Rocker3, che fa di lui “un semplice allievo di Warren che non aggiunge niente al panorama politico”4
L'autore che per primo ha ridato lustro a Tucker, rispolverandone i meriti, fu l'ormai celebre Murray N. Rothbard il quale si sentì così vicino all'anarchico di Boston da ritenere il proprio pensiero “una modernizzazione”5 di quello dell'individualista ottocentesco. Inutile a dirsi, l'interesse dimostrato dal libertario allievo di Mises incuriosì i critici che, pur ai margini del dibattito, iniziarono a manifestare un maggiore interesse per il pensiero tuckeriano.
All'interno dello stivale, interessante è la posizione in cui lo colloca Nicola Iannello il quale nella sua antologia La società senza stato. I fondatori del pensiero libertario, pur non ritagliandogli molto spazio, fa di lui l'anello di congiunzione tra un liberalismo europeo “sul filo dell'anarchia” (rappresentato da Gustave de Molinari, Herbert Spencer e Auberon Herbert) e il libertarismo americano contemporaneo, definendolo “utilissimo per comprendere certe anse del lungo fiume liberale”
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