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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-05252015-114637


Tipo di tesi
Tesi di laurea vecchio ordinamento
Autore
TULIPANO, FRANCESCO-EMMANUELE
Indirizzo email
francescotulipano@tiscali.it
URN
etd-05252015-114637
Titolo
Il regionalismo italiano. Storia di un modello regionale rimasto incompiuto. Un'analisi comparata con il modello federale tedesco
Dipartimento
SCIENZE POLITICHE
Corso di studi
SCIENZE POLITICHE
Relatori
relatore Prof. Zorzi Giustiniani, Antonio
Parole chiave
  • regionalismo
  • italiano
  • federalismo
  • tedesco
  • modello
  • regionale
  • federale
  • analisi
  • comparata
Data inizio appello
30/06/2015
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il 10 marzo 2015 la Camera dei Deputati ha approvato, in prima deliberazione, il disegno di legge costituzionale che reca: «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione».
Una così ampia e incisiva revisione dell’architettura istituzionale della nostra Repubblica, secondo quanto emerge, seppur sommariamente, dalla rubrica del citato disegno di legge costituzionale, non può non richiamare alla memoria le analoghe riforme già recate dalle ll.cost. 1/1999 e 3/2001, che da meno di tre lustri hanno già revisionato interamente il titolo V della parte II della Costituzione, nonché l’ancor più recente e fallito tentativo del 2005 di riformare ulteriormente il rapporto fra lo stato e le regioni, accentuando maggiormente il ruolo di queste ultime.
Una così serrata sequela di riforme costituzionali, aventi ad oggetto il medesimo tema del rapporto fra stato, regioni e autonomie territoriali, dipanatesi in un arco temporale relativamente breve di quindici anni, sono indice evidente dell’esistenza di una crisi che affligge il nostro stato regionale.
Il presente lavoro si propone quindi, nella prima parte, di comprendere l’origine di questa crisi, compiendo un’analisi storica del dibattito giuridico, politico e istituzionale, che portò alla nascita delle regioni, dalle tesi confederali e federaliste preunitarie al processo costituente del 1946, tracciandone quindi l’evoluzione storica successiva, così come emerge dalla legislazione attuativa del titolo V della parte II della Costituzione, nonché dalle riforme costituzionali del 1999 e del 2001, tuttora in vigore, per giungere poi ad un’analisi critica della fallita riforma costituzionale del 2005, bocciata con referendum nel 2006 dal corpo elettorale.
Vengono quindi illustrati criticamente gli ulteriori progetti di riforma, presentati nel corso delle legislature XV e XVI, che tuttavia non sono mai giunti in porto, per mutamenti successivi delle maggioranze politiche, che li avevano inizialmente condivisi.
Si giunge infine a valutare se il disegno di legge costituzionale, attualmente proposto dal governo Renzi, nel testo modificato e approvato dalla Camera dei Deputati il 10 marzo 2015, possa o meno rappresentare una valida soluzione al problema del regionalismo italiano, rimasto fino ad oggi sostanzialmente incompiuto.
Mai come ora, infatti, si rende opportuna una radicale riforma del Senato, che non si limiti semplicemente a dare un taglio, senz’altro necessario, ai costi della politica, attraverso la riduzione del numero dei senatori o del loro trattamento economico, ma che consenta soprattutto alle nostre autonomie territoriali di ottenere, finalmente, una voce in capitolo nelle scelte importanti del nostro Paese, che le riguardano più da vicino.
L’accresciuta espansione delle competenze legislative esclusive dello stato negli ambiti materiali cosiddetti trasversali, che incidono profondamente nelle competenze legislative delle regioni – come la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garanti su tutto il territorio nazionale, ai sensi della lettera m) del secondo comma dell’art. 117 cost. – ha reso fortemente invasiva l’ingerenza dello stato centrale nell’autonomia politica e finanziaria delle regioni e degli altri enti territoriali, in settori nei quali essi svolgono un insieme di attività molto importanti per la piena riuscita del nostro moderno stato sociale – si pensi ad esempio all’assistenza sociale o a all’assistenza sanitaria.
Ciò ha fatto sì che nel nostro stato composto, la rappresentanza delle regioni e delle altre autonomie territoriali in seno al cosiddetto sistema delle Conferenze – Conferenza Stato-Regioni, Conferenza Stato-Città e autonomie locali, Conferenza unificata – non sia più sufficiente a garantire un adeguato livello di dialogo politico fra il centro e la periferia e di concorso comune nell’assunzione delle decisioni più importanti, che devono tradursi in provvedimenti legislativi.
Non può sfuggire, infatti, la considerazione che il sistema delle Conferenze risulta incardinato in seno al Governo, ovvero in seno all’organo che detiene il potere esecutivo, mentre sempre più spesso le nostre autonomie territoriali si trovano a dover dare attuazione ad importanti provvedimenti legislativi, che tuttavia vengono “calati dall’alto”, poiché sono assunti in seno al Parlamento, supremo organo legislativo, all’interno del quale, ad oggi, non esiste una loro rappresentanza.
Il presente studio, pertanto, vuole mettere in evidenza quanto mai come ora si rende non più procrastinabile in Italia una seria riforma della seconda Camera del Parlamento e dei procedimenti legislativi che hanno ad oggetto materie di rilevante importanza per il nostro ordinamento regionale.
L’inarrestabile processo di globalizzazione, che caratterizza il mondo contemporaneo, se da un lato frantuma i vecchi stati nazione, schiacciandoli dall’alto con fenomeni economici e sociali, che trascendono i loro confini statali e non sono più controllabili da parte dei singoli governi, attraverso l’impiego delle vecchie politiche nazionali, dall’altro lato disgrega dal basso i vecchi stati nazione, rafforzando l’identità delle comunità locali e il loro bisogno di autogoverno.
Come se ciò non bastasse, nell’attuale contesto politico e sociale, reso di per sé già complesso da governare, si è aggiunta anche una crisi economica senza precedenti, che imperversa ormai da decenni e che costringe i governi nazionali e locali a far quadrare i propri conti, con una spesa storica difficile da contenere e con entrate fiscali via via sempre più esigue.
Tutto ciò non può non influire sul tentativo di realizzare in Italia quel “federalismo” fiscale, così vagheggiato dalla l. 42/2009, emanata in attuazione del art. 119 cost., come novellato nel 2001.
I decreti legislativi attuativi della citata legge di delega si sono purtroppo scontrati con l’attuale crisi economica e finanziaria che, richiedendo provvedimenti continui di risanamento della finanza pubblica, ha causato uno snaturamento tale degli obiettivi di partenza, da suscitare in dottrina seri dubbi sulla possibilità di assicurare concretamente l’auspicata autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, città metropolitane e regioni, nell’ottica del superamento del dualismo economico del Paese.
Prendendo, dunque, le mosse dalle suddette considerazioni, nella seconda parte del presente lavoro si effettua una comparazione diacronica fra il modello di stato regionale e il modello di stato federale e in particolar modo fra lo stato regionale italiano e lo stato federale tedesco, al fine di evidenziare le analogie e le differenze nell’evoluzione storica dei due ordinamenti, sotto i due diversi profili della distribuzione delle competenze fra il centro e la periferia e della ripartizione delle risorse fra il livello di governo centrale e i livelli di governo territoriali substatuali.
L’analisi comparata mette quindi in luce che l’Italia – e, con essa, gli ordinamenti di tipo composto – corre oggi il rischio che la grave crisi economica, che imperversa a livello globale, possa portare il governo centrale a fare dell’equilibrio di bilancio e del contenimento della spesa pubblica i suoi principali obiettivi, da raggiungere eventualmente anche a discapito della diversità delle politiche e delle soluzioni normative, che possono essere messe brillantemente in campo dai livelli di governo territoriali periferici, nella tutela dei principali diritti civili e sociali dei cittadini.
Il pericolo che corriamo oggi, in ultima analisi, è quello che le politiche dei governi, rivolte al solo contenimento della spesa pubblica, senza considerare il rilancio dell’economia e soprattutto senza valorizzare quegli istituti che incentivino una gestione responsabile della finanza pubblica da parte degli amministratori, portino dietro con sé il rischio che si regredisca nella tutela di quei diritti civili e sociali, che sono stati le grandi conquiste del Novecento.
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