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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-05182012-111526


Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica LC5
Autore
FREDIANI, SILVIA
URN
etd-05182012-111526
Titolo
Modulazione farmacologica dell'autofagia nelle malattie neurodegenerative.
Dipartimento
FARMACIA
Corso di studi
FARMACIA
Relatori
relatore Prof.ssa Breschi, Maria Cristina
Parole chiave
  • Peressilina
  • Trealosio
  • Arimoclomolo
  • Radicicol
  • Litio
  • Sirolimus
  • huntingtin
  • synuclein
  • SLA
  • Hsps
  • chaperoni molecolari
  • Rapamycin
  • Niclosamide
  • Caffeina
  • Desametasone
  • THC
Data inizio appello
06/06/2012
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
06/06/2052
Riassunto
L’autofagia è stata descritta per la prima volta nel 1963, come un processo di degradazione mediato dai lisosomi contro i costituenti cellulari non essenziali o danneggiati. Questo processo è fondamentale nel mantenimento della normale omeostasi cellulari e del bilancio energetico. Dato che l’autofagia è importante per la rimozione di aggregati proteici, organuli danneggiati e organismi patogeni, la sua interruzione o soppressione è associata a diverse malattie. In particolare l’aggregazione proteica neuronale è la caratteristica peculiare di molte malattie neurodegenerative ad esordio tardivo. Infatti, le malattie neurodegenerative sono caratterizzate dalla presenza di aggregati proteici tossici, come la sostanza beta-amiloide nell’Alzheimer, l’alfa-sinucleina nel Parkinson o una forma poliglutammina-espansa di huntingtina, tipica della Corea di Huntington. L’autofagia è il processo in grado di eliminare queste inclusioni neuronali e frenare la neurodegenerazione delle zone colpite e sembra avere un ruolo anche nel controllo dello sviluppo di neoplasie. Quindi, le terapie farmacologiche che stimolano il processo autofagico, si stanno rivelando utili nel trattamento di queste malattie. Negli ultimi anni, a partire dalla Rapamicina, sono state scoperte numerose molecole in grado di attivare l’autofagia nei modelli cellulari murini, che potrebbero arrestare la progressione delle malattie neurodegenerative anche nell’uomo.
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