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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-05162014-174458


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
CAMPIDOGLIO, VIRGINIA
URN
etd-05162014-174458
Titolo
Il ruolo della mediazione nel genocidio ruandese
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
SCIENZE PER LA PACE: COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E TRASFORMAZIONE DEI CONFLITTI
Relatori
controrelatore Benedetti, Vittorio
relatore Prof. Polsi, Alessandro
Parole chiave
  • mediazione
Data inizio appello
05/06/2014
Consultabilità
Completa
Riassunto
Per genocidio s'intende l'insieme di atti di violenza fisica e psicologica compiuti con l'intento di eliminare un gruppo, un'etnia, una razza o una confessione religiosa anche solo in parte.
I fatti accaduti in Ruanda tra l'aprile e il luglio 1994 sono stati identificati come "atti di genocidio" in quanto riconoscere la presenza di un genocidio avrebbe imposto l'intervento delle Nazioni Unite ma le principali potenze, non riconoscendo la gravità di ciò che stava accadendo, hanno permesso uno dei più grandi massacri della storia per il numero di vittime in proporzione alla durata. Nonostante ciò in Ruanda si è trattato di genocidio perché quella che molti hanno chiamato "guerra civile" in realtà è stato un eccidio con lo scopo di eliminare l'etnia dei Tutsi ruandesi.
Il genocidio ruandese ha lasciato il Paese profondamente ferito, le famiglie delle vittime, i rifugiati e i carnefici hanno dovuto ricostruire se stessi e la nazione per poter sopravvivere. In questo contesto la mediazione, attraverso processi di peacebuilding, ha dato supporto al paese per uscire dalle conseguenze di questo conflitto che in soli 100 giorni ha visto 800 000 vittime e 2 000 000 di rifugiati.
I processi di ricostruzione post genocidio hanno ridotto la violenza, dato protezione alle persone e alle istituzioni chiave, promuovendo i processi politici che avrebbero portato una migliore stabilità e preparando politiche a lungo termine di non violenza e di sviluppo.
La prima tappa del percorso di riconciliazione sono stati indubbiamente i tribunali Gacaca, tribunali popolari che hanno permesso alle vittime di conoscere la verità dei fatti, di spogliarsi del peso che portavano come perseguitati, di riconoscere i colpevoli e concedere loro il perdono alla base della convivenza pacifica di cui adesso gode il Paese.
In Ruanda la riconciliazione ha assunto propriamente le vesti di uno sviluppo post-genocidio, che ha visto l'intera popolazione cambiare al punto da non ricordare più le differenze al centro del conflitto. Passi decisivi sono stati anche la creazione di partecipazione politica e il coinvolgimento degli ex militari nell'esercito nazionale.
La situazione in cui versava la nazione ruandese dopo il genocidio era alla stregua dell'anarchia, con gravi problemi economici e sociali per le infrastrutture di riferimento che erano collassare, inoltre in alcune parti del paese le atrocità perpetrate durante il genocidio andavano avanti ed il numero di orfani e persone mutilate, oltre a quello delle persone con gravi traumi psicologici, era inestimabile.
La riconciliazione del popolo ruandese mostra nel dettaglio come ogni processo di ricostruzione nasca già durante il conflitto, dimensione da esplorare, analizzare e mantenere sempre presente anche dopo la sua conclusione ma mostra sopratutto che questo processo è un processo di crescita interno al Paese che può seguire modelli e teorie pur non avendo mai un percorso o una durata predefinita. Perché il processo di ricostruzione abbia successo è fondamentale la presenza di una volontà politica di guidare il Paese fuori dal conflitto e durante il processo di peacebuilding bisogna continuamente confrontarsi con la dimensione psicologica dei numerosi attori in gioco.
La riconciliazione ha restituito dignità alle persone e dato una nuova forma al Ruanda che oggi conosce la pace e uno sviluppo economico e sociale inconcepibile dopo il genocidio.
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