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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-05162013-063801


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
BARBAFIERA, LIVIA-PRISCA
Indirizzo email
livia.pb23@gmail.com
URN
etd-05162013-063801
Titolo
Poesia tra silenzio e voce. Il messaggio in bottiglia di Adorno e Celan
Dipartimento
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Corso di studi
LETTERATURE E FILOLOGIE EUROPEE
Relatori
relatore Prof. Brugnolo, Stefano
controrelatore Prof. Paduano, Guido
Parole chiave
  • Shoah
  • arte e musica post-Auschwitz
  • Teoria estetica
  • il Meridiano di Celan
  • dilemma etico-estetico
Data inizio appello
03/06/2013
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
03/06/2053
Riassunto
Perché in un certo momento storico è stato imposto il silenzio alla poesia? Partendo dalle parole folgoranti quali «Scrivere poesie dopo Auschwitz è un atto di barbarie» si cerca di indagare il motivo per cui l’ars poetica sia stata interdetta dall’autore di questa “sentenza”, il filosofo Theodor W. Adorno (1903-1969). La sua riflessione sulla Shoah non va ridotta a questo aforisma lapidario; tuttavia dal 1949 la sua potenza icastica non ha perso molto smalto e continua a far riflettere ancora oggi le coscienze su “ciò che è stato”.
Molti degli intellettuali del tempo si indignarono davanti a queste parole che avevano tutta l’aria di voler essere un epitaffio per la poesia, tranne uno: Paul Celan, poeta rumeno ebreo, sentendosi colpito nel profondo, dedicò invece la sua vita a riabilitare la poesia anche dopo il tramonto dell’umanità, intessendo un rapporto fatto di avvicinamenti e distacchi con il filosofo stesso. Infatti è stato soprattutto merito suo se Adorno nelle opere successive sfumò l’aforisma. Il filosofo ammise che quella frase poteva essere stata un errore e che perciòsi può ancora scrivere poesie dopo Auschwitz, ma non come prima: la tragedia ha trasformato lo stesso linguaggio, ha cambiato il significato delle parole; fare poesia è dunque pericoloso perché si rischierebbe di non rendere giustizia alle vittime scadendo ad esempio in un sentimentalismo à la Rilke. Ne consegue che Adorno proibisce non tanto la poesia dopo la Shoah ma qualsiasi manifestazione artistica – dalla musica alla pittura – che produca piacere.
Dopo aver individuato la cornice in cui si muove la filosofia di Adorno – da Dialettica dell’illuminismo a Filosofia della musica moderna – l’indagine si sposta nel dedalo di saggi dei due volumi nell’edizione italiana di Note per la letteratura: qui la nebbia filosofica inizia a diradarsi un po’, quel tanto che basta per capire che «dopo Auschwitz [...] non ci si può più immaginare un’arte serena». Insomma chi produce un’arte che blandisce e lusinga si rende complice di quella realtà che ha permesso che la Shoah accadesse. Il filosofo crede che soltanto uno Schönberg o un Picasso sono in grado fare arte: esprimono con le loro opere il dolore del mondo senza scendere a compromessi con l’establishment pseudo-culturale che propina il “bello patinato”.
Il riconoscimento della validità della poesia celaniana averrà molto tardi in Adorno. Gli ultimi dieci anni della sua vita saranno punteggiati dalle poesie e dalle lettere che il poeta gli invierà: in questi scritti Adorno avverte quello stesso dolore del Sopravvissuto di Varsavia e quella stessa speranza di credere che una realtà migliore sia possibile. La poesia di Celan ha fatto ciò che neanche la musica e la pittura sono state in grado di fare: ha purificato la lingua dei carnefici esprimendo il dolore del mondo, con l’intento fiducioso e innocente di uscire dalle sue stesse ceneri, anche se purtroppo alla fine ne perì.
L’arte sembra diventare vicaria di una prassi migliore, di un’utopia: facendo balenare anche nel dolore più estremo, l’apparenza della conciliazione, l’arte fa comprendere che la realtà in cui viviamo si può trascendere, cambiare. Insomma a detta di Adorno nell’arte «opera anche il desiderio di produrre un mondo migliore». Lo stesso vale per Celan il quale definisce la sua poesia come un meridiano sulla carta geografica: terrestre eppure immateriale, diventa il non-luogo (u-topia) dove il desiderio di una realtà altra (utopia) si può realizzare; di tutto questo ne è custode la poesia.
Spesso la poesia di Celan e la musica nuova di Adorno sono rimaste inascoltate: difficili da comprendere, affamate di concetrazione e sensibilità non hanno trovato nel pubblico post-Auschwitz l’attenzione desiderata. Sono come messaggi in una bottiglia, lanciati nei flutti della realtà nella speranza che un giorno arriveranno nelle mani di qualcuno disposto ad ascoltarle con il cuore e la mente aperti.
Se per Celan la poesia è un bisogno naturale, come mangiare e dormire, per Adorno invece sussiste ancora il problema del piacere che può scaturire da un’opera d’arte – questo piacere è equiparato dal filosofo molte volte a quello dato dal soddisfacimento dei bisogni primari –. A questo proposito interverrà, a un anno dalla morte del filosofo, Hans Robert Jauss: dopo aver definito “ascetico” l’approccio adorniano all’arte, nella sua Breve apologia dell’esperienza estetica cerca di rivendicare quel piacere su cui si basa buona parte del processo conoscitivo dell’esistenza. Questa scia interpretativa contraria ad Adorno continua in un certo senso anche al giorno d’oggi: sembra che si sia raggiunta una tale saturazione per cui non è più tollerabile una produzione artistica che, per far capire, pretende che si soffra.
Tra silenzio e voce, la poesia non è mai stata del tutto interdetta: forse in questo modo Adorno ha contribuito in parte alle poesie del poeta e Celan dal canto suo si è rivelato “materiale” per l’ultima estetica di Adorno. Forse entrambi hanno ricevuto il messaggio in bottiglia dell’altro pur rimandendo incatenati alle loro iniziali convinzioni.
Probabilmente è grazie a questi modelli che oggi possiamo aspirare alla leggerezza calvianiana, quella che sì tiene di conto il peso del mondo ma che comunque desidera elevarsi al di sopra di esso. Nel secolo scorso l’arte e la letteratura hanno svolto per noi un importante compito: «dopo aver preso su [loro stesse] il dolore del mondo» ci hanno permesso di essere più vicini alla nostra promessa di felicità senza che sia necessario affidare le nostre speranze ad un messaggio in bottiglia.

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