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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-05152020-152952


Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
BARTOLINI LUCENTI, SAVERIO
URN
etd-05152020-152952
Titolo
Evolutionary history of Canidae (Carnivora, Mammalia) and Lyncodontini (Mustelidae, Carnivora) in the Plio-Pleistocene of the Old World
Settore scientifico disciplinare
GEO/01
Corso di studi
SCIENZE DELLA TERRA
Relatori
tutor Prof. Rook, Lorenzo
Parole chiave
  • paleonotology
  • Mammals
  • Carnivora
Data inizio appello
22/05/2020
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
22/05/2026
Riassunto
L’ordine Carnivora è il più ricco in specie della classe Mammalia e include alcuni tra i mammiferi più conosciuti. Tra questi, i membri delle famiglie Canidae e Mustelidae possiedono una grande varietà di adattamenti ad un gran numero di condizioni ambientali e habitat differenti. La storia evolutiva dei canidi è ben nota e studiata, di modo che è possibile ricostruire i principali eventi biogeografici e evolutivi che li hanno riguardati, dalla loro origine nell’Eocene medio in Nord America fino alla loro dispersione nel Vecchio Mondo alla fine del Miocene. Al contrario la sistematica e l’evoluzione della famiglia Mustelidae è dibattuta, e ancor complessa è la situazione della tribù Lyncodontini. Nonostante oggigiorno quest’ultimo gruppo sia composto solo da due generi (Galictis and Lyncodon), presenti esclusivamente in Sudamerica, nel Pliocene e nel Pleistocene specie di questa tribù erano distribuite sia in Nord America che nel Vecchio Mondo.
Lo studio qui presentato cerca di rispondere ad alcuni degli interrogativi ancora aperti su alcuni taxa di Canidae (i.e., Canis, Eucyon, Nyctereutes, Vulpes) e di Lyncodontini del Plio-Pleistocene provenienti da varie località del Vecchio Mondo. A tale scopo sono state utilizzate diverse metodologie che vanno dalla morfometria tradizionale alla statistica multivariata; dalle analisi filogenetiche all’uso di tecnologie di ricostruzione 3D come scansioni in luce strutturata o ancora di metodologie non invasive per lo studio di anatomie interne di campioni fossili tramite l’impiego dalla Tomografia Assiale Computerizzata (TAC).
Caso piuttosto emblematico della querelle tassonomica che interessa i Lyncodontini fossili euroasiatici è quello di “Mustela” ardea rinvenuta e descritta dai siti ad Issoire e Perrier-Les Etouaires. In letteratura, l’attribuzione generica di questo taxon è dibattuta da più di un secolo, in quanto alcuni autori suggeriscono di attribuirla a Pannonictis mentre altri suggeriscono una maggiore affinità con Enhydrictis. Neppure l’attribuzione della denominazione “ardea” a Bravard (1828) sembra corretta, poiché non risulta che Bravard abbia mai riportato tale nome in nessuno dei suoi scritti. Un’approfondita ricerca bibliografica, unita alla revisone dei campioni tipo e quelli attribuiti a tale specie, provenienti da siti italiani e francesi del Pleistocene inferiore, ha permesso di identificare in Gervais (1848-1852) e di riconoscere la peculiarità del taxon. Nel complesso, numerose delle caratteristiche anatomiche che caratterizzano il materiale esaminato supportano l’attribuzione di questa specie al nuovo genere Martellictis. Tale risultato si accorda con quello della prima analisi filogenetica condotta su Lyncodontini fossili.
La descrizione del materiale di Lyncodontini recuperati dal complesso di siti carsici del Monte Tuttavista (Sardegna), risalenti al Pleistocene inferiore e medio, ha rivelato la presenza di due taxa endemici diversi rispetto ai loro coevi corrispettivi continentali: Pannonictis baroniensis e Enhydrictis praegalictoides. Il primo rappresenta una forma di lincodontino piuttosto robusta e al momento è conosciuto per un numero di resti piuttosto esiguo, se confrontato al record di E. praegalictoides, tutti provenienti da fessure risalenti al Pleistocene inferiore. Quest’ultimo invece presenta allo stesso tempo un insieme di caratteristiche derivate, che lo accomunano a E. galictoides proveniente da altre località sarde del Pleistocene medio, e di caratteristiche più primitive che non si ritrovano nella ben nota specie endemica della Sardegna. Il record di due nuove specie dal Pleistocene inferiore-medio della Sardegna arricchisce la diversità della tribù e amplia la nostra conoscenza delle dinamiche biogeografiche del gruppo nell’area mediterranea.
Tra i canidi attuali, il cane procione, N. procyonoides, costituisce l’unico rappresentante del genere Nyctereutes. Sebbene ad oggi la sua distribuzione naturale sia limitata alla parte orientale dell’Asia (le popolazioni europee sono il risultato di introduzioni più o meno involontarie nello scorso secolo), nel record fossile si conoscono diverse specie che vivevano anche nel continente africano. Studiando un campione che comprende tutte le specie conosciute e proveniente dai siti più importanti del Vecchio Mondo, sono state utilizzate diverse analisi per poter comprendere l’ecomorfologia e migliorare la tassonomia del genere nell’intero Vecchio Mondo. N. procyonoides possiede numerosi adattamenti ad una dieta ipocarnivora e tali adattamenti si riscontrano anche in alcune specie fossili, definite appunto derivate. Ciò è confermato da analisi volte a stimare quantitativamente le preferenze ecologiche della dieta ma anche dai risultati della prima analisi filogenetica basata sulle specie fossili e attuale del genere Nyctereutes. Tra i risultati più significativi di queste analisi abbiamo il più antico record di un taxon che mostra adattamenti verso l’ipocarnivoria in Europa occidentale, retrodatando la comparsa di tali morfotipi di circa un milione di anni e implicando la coesistenza nello stesso sito di specie più primitive (meno adattate all’ipocarnivoria) e specie più derivate. In più la le analisi morfologiche e morfometriche dei campioni di Nyctereutes rinvenuti Çalta (Turchia, ca 4 Ma) suggeriscono l’attribuzione di questo taxon a una nuova specie per la presenza di morfologie primitive assieme ad altre più derivate. Tale specie, Nyctereutes sp. nov. di Çalta potrebbe costituire il collegamento tra i ritrovamenti di specie derivate dell’Eurasia orientale e quelli invece occidentali. Tale risultato e interpretazione sembra essere di fatto supportata dai risultati dell’analisi filogenetica.
Il record fossile di Vulpes in Eurasia è scarso e specialmente in Europa. Il complesso dibattito e il confuso status tassonomico del materiale europeo attribuibile a Vulpes risalente al Plio-Pleistocene deve la sua origine alla natura frammentaria e al ridotto numero dei materiali tipo sui quali queste specie sono state descritte. Dalla revisione dei campioni provenienti da diversi siti ungheresi, dei tipi e paratipi di V. alopecoides, V. praecorsac and V. praeglacialis e grazie allo studio della variabilità dentale mostrata da varie specie attuali (tra cui la volpe rossa e quella artica), appare più plausibile e parsimonioso considerare la modesta variabilità morfologica come variabilità intraspecifica piuttosto che interspecifica, riducendo il numero di specie ad una soltanto. Delle tre specie sopracitate, V. alopecoides (Del Campana, 1913) è quella che ha la priorità secondo i codici della nomenclatura zoologica.
Il genere Eucyon comparve in America settentrionale durante il Miocene superiore e fu tra i primi membri della tribù Canini a raggiungere il Vecchio Mondo, andando incontro a radiazione e diventando un importante elemento delle faune del Pliocene eurasiatico e africano. Dallo studio dei paratipi della specie C. ferox emerge chiaramente la presenza di caratteristiche diagnostiche tipiche del genere Eucyon, implicando una più corretta attribuzione del taxon questo genere, come E. ferox. Le poche caratteristiche che lo avvicinerebbero a Canis potrebbero essere il risultato di adattamenti ecologici a una dieta ipercarnivora (come anche suggerito da alcune morfologie dentognathiche). Al fine di accertare questa interpretazione ma anche in modo da comprendere le preferenze nella dieta e di predazione di altre specie di Eucyon e taxa affini ad Eucyon sono state condotte diverse analisi che utilizzano rapporti morfometrici informativi sugli adattamenti craniodentali funzionali alla dieta. I risultati suggeriscono che la maggior parte di tali specie era mesocarnivora, con dieta simile a quella de gli odierni coyote, C. latrans, e sciacalli dorati, C. aureus. Per quanto riguarda E. ferox invece sia i parametri morfometrici che le caratteristiche morfologiche indicano una dieta decisamente tendente all’ipercarnivoria. E. ferox di fatto costituisce, ad oggi, il primo rappresentante del genere Eucyon che mostra tali adattamenti e preferenze ecologiche.
Nel quadro delle dispersioni biogeografiche che riguardarono il genere Canis in Eurasia e Africa nel Pleistocene, si rivela particolarmente interessante il record del canide nel sito di Wadi Sarrat (Tunisia, ca 800 ka). Esso non presenta somiglianza morfologiche ne morfometriche con gli sciacalli attuali (né del genere Lupulella né Canis), ma neppure con altri canidi fossili africani, quanto piuttosto possiede somiglianze con i pattern morfometrici dentali di taxa eurasiatici. Ciononostante le caratteristiche morfologiche del tipo escludono la possibile attribuzione a specie attualmente note. Il record di Canis othmanii dal sito di Wadi Sarrat assume una notevole importanza a scala regionale e continentale perché testimonia la continua espansione e la radiazione di Canis s. l. nell’Epivillafranchiano dell’Eurasia e Africa.
Infine, sono state studiate due popolazioni di lupi fossili risalenti al Pleistocene superiore della Puglia. Tali popolazioni provengono dal livello 8 del sito di Avetrana (TA) e da Ingarano (FG). I risultati confermano la presenza nella penisola italiana di due distinte associazioni di C. lupus durante la prima metà del Pleistocene superiore. Da una parte i cosiddetti “Apulian wolves” caratterizzati da alcune caratteristiche peculiari e dalla struttura più minuta rispetto all’altro gruppo di lupi caratteristici dell’Italia settentrionale, con robustezza e caratteristiche affini ad altre popolazioni europee coeve.
L’analisi preliminare del campione di Ingarano (MIS 3) confermano l’affinità di quest’ultimo con gli “Apulian wolves” provenienti da siti quali Grotta Romanelli e Melpignano. Al contrario, il campione di Avetrana livello 8 (leggermente più tardo come cronologia, risalente al MIS 3-2) mostra chiare affinità morfometriche con il gruppo di lupi del Italia settentrionale, rispetto alle forse più esili e precedenti dell’Italia meridionale. Questo suggerisce l’arrivo in Italia meridionale di popolazioni di C. lupus dal nord o da altre regioni d’Europa che sostituirono le forme “pugliesi” durante le ultime fasi glaciali.
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