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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-05142017-152831


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
MARINO, SILVIA
URN
etd-05142017-152831
Titolo
La particolare tenuità del fatto: profili sostanziali e procedurali, problematiche applicative e questioni interdisciplinari
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Marzaduri, Enrico
Parole chiave
  • La particolare tenuità del fatto
Data inizio appello
12/06/2017
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il d.lgs. n. 28 del 16 Marzo 2015 ha introdotto nel sistema penale italiano l’istituto della “Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”.
L’introduzione di una causa di tenuità è finalizzata a esigenze deflazionistiche del carico giudiziario, in quanto consente di operare una selezione in concreto dei casi in cui è necessario irrogare una pena, contribuendo a ridurre, nelle ipotesi in cui ne ricorrano le condizioni, il già pesante carico delle autorità di giustizia.
L’istituto in realtà non è una novità nel sistema penale italiano poiché già prima del 2015 esistevano due istituti che, sebbene in rapporto di specialità con l’art. 131 bis c.p., perseguivano finalità simili.
Il riferimento è all’istituto della “Irrilevanza del fatto per particolare tenuità” nel sistema penale minorile (art. 27 d. P. R. N. 448 del 1988) e all’istituto della “Esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto” nel sistema dinnanzi al giudice di pace (art. 34 d.lgs. n. 274 del 2000).
La clausola di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. individua “criteri fattuali” utili per l’applicazione dell’istituto stesso e regola, mediante l’introduzione di ulteriori articoli nel codice di procedura penale, l’operatività dell’istituto nelle diverse fasi procedimentali.
Il legislatore ha introdotto una “nuova ipotesi di archiviazione”, affiancandola a quelle già esistenti nel processo penale, che consente al p.m. e al giudice delle fasi successive alle indagini preliminari, di poter archiviare il fatto non perché il reo non l’abbia commesso o non sia imputabile, ma perché il fatto in concreto risulta “particolarmente tenue”.
Tuttavia la troppo spesso portata riduttiva della norma pone diverse questioni dubbie, che molte volte non consentono di inserire l’istituto in un tessuto di regole processuali già esistenti.
Il giudice è chiamato a valutare caso per caso ogni condotta criminosa, valutando se in concreto ci siano i presupposti per applicare l’istituto, non potendo infatti ancorare l’operatività dello stesso ad alcune fattispecie di reato in via preliminare.
Le diverse posizioni assunte dagli studiosi della materia e della giurisprudenza portano la Suprema Corte a dover spesso intervenire, dettando dei principi generali e delle interpretazioni univoche a cui i giudici dovranno attenersi.
L’istituto de quo sembra però essere, almeno ideologicamente, il passo giusto a cui ancorare il cambiamento necessario di cui il nostra sistema giudiziario ha bisogno.
La riforma ha infatti voluto “ripensare” i modi di risposta punitiva conseguenti alla commissione del reato, prevedendo delle misure che non si preoccupino solo di punire il colpevole, aggiungendo un altro male ad un male già commesso, ma di intervenire sulle conseguenze concrete derivanti dal reato stesso, operando di fatto una “giustizia conciliativa e riparativa” anzi che repressiva.
Una tale configurazione di giustizia non solo riduce il carico giudiziario ma permette allo Stato italiano di adeguarsi al resto dell’Europa.
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