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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-05122019-190200


Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
VERO, MARTA
URN
etd-05122019-190200
Titolo
Dalla tragedia al tragico. La filosofia della tragedia di F. Hölderlin nel dialogo con F. Schiller e G. W. F. Hegel
Settore scientifico disciplinare
M-FIL/04
Corso di studi
FILOSOFIA
Relatori
tutor Prof. Amoroso, Leonardo
Parole chiave
  • Schiller
  • letteratura
  • Hölderlin
  • Hegel
  • filosofia
  • estetica
  • tragedia
  • tragico
Data inizio appello
06/06/2019
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
06/06/2025
Riassunto
L’interesse per la tragedia procede di pari passo al cammino delle filosofie della fine del Settecento e dell’inizio dell’Ottocento. L’ha notato Peter Szondi nel suo celebre saggio del 1961: la nascita delle filosofie primo idealistiche dal contesto post-kantiano e della Goethezeit si confronta in modo stringente con il paradigma della tragedia. La convergenza degli interessi delle filosofie primo idealistiche con il dramma è così intima, per Szondi, da favorire la nascita delle «filosofie del tragico», che si distinguono dalle estetiche della tragedia per il loro approccio dichiaratamente teorico. Le filosofie del tragico riflettono per Szondi sull’essenza della tragedia, non sulla sua forma artistica: esse si rivolgono alla tragedia per rilevarne il meccanismo più interno e comprenderne le radici filosofiche.
In effetti, anche F. Hölderlin, uno dei più importanti teorici idealistici della tragedia, fa riferimento al meccanismo «tragico» in una delle sue ultime opere, le Sophokles-Anmerkungen. In Hölderlin, in misura ancora maggiore che nello Schelling, che per Szondi avrebbe inaugurato la filosofia del tragico, l’interesse per la tragedia è un tema costitutivo e assume da subito una fondamentale importanza filosofica. Tale interesse è portato avanti dal poeta di Lauffen per tutta la sua produzione.
È debitrice verso il paradigma della tragedia, innanzitutto, la sua poetologia. Hölderlin legge la tragedia come fenomeno artistico e la interpreta, in primis, secondo le leggi della nascente estetica moderna. Per far questo, il nostro autore si inserisce in un dibattito di lunga tradizione sul predicato estetico da attribuire alla tragedia. In questo, si confronta con gli scritti del suo maestro Schiller, acclamato drammaturgo e autore degli scritti sul sublime, in cui il predicato della Erhabenheit viene conferito alla tragedia in modo sistematico. Il dibattito su sublimità o bellezza della tragedia è il primo campo in cui emergono le differenze poetologiche e filosofiche tra la teoria di Schiller e quella del suo prodigioso allievo. Soprattutto, tale dibattito si rivela fondamentale per mettere in evidenza gli aspetti intimamente filosofici della ricezione moderna della tragedia. Il problema della caducità, della rinuncia al bello, del caos dei fenomeni si impongono prepotentemente all’interno del dibattito sulla tragedia, che viene così connotata come arte filosofica per eccellenza. Soprattutto, quello che tutto ciò mette in evidenza è che la tragedia come arte sublime è quella che meglio può rappresentare l’intima scissione, di cui la natura umana è protagonista. Si tratta dell’urto tra l’istinto all’infinità e la condanna alla finitezza, alla materialità e alla determinazione, che il sublime patetico mette in scena e che dà luogo invero a una tensione tra diverse coppie oppositive. Le polarità della filosofia schilleriana – tra bello e sublime, finito e infinito, ma anche tra antichi e moderni, ingenuo e sentimentale, forma e materia – vengono raccolte dalla concezione tragica di Hölderlin e interpretate come elementi costitutivi di quella tensione reciproca di opposizioni che, a ben vedere, mette in scena l’agonismo tragico.
In questo modo, l’orizzonte della tragedia può rendere conto delle questioni filosofiche più urgenti degli anni di passaggio al XIX secolo. In particolare, la frammentazione e il dualismo che essa mette in scena possono esprimere anche la condizione di crisi politica, religiosa e filosofica in cui la generazione di Hölderlin è immersa. Una crisi che, per essere superata, necessita una riconciliazione: la conclusione della tragedia greca rappresenta proprio la via d’uscita dal «paradosso» tragico. In questo senso, il paradigma del tragico viene recuperato da Hölderlin in dialogo con Hegel come orizzonte di intellegibilità del destino dei moderni. Entrambi i filosofi ricorrono alla tragedia negli anni di Francoforte per rappresentare la condizione di alienazione dei loro popoli e per indicare le possibili vie di riconciliazione dalla Trennung che li caratterizza. Attorno alle figure di Empedocle e Gesù si radunano, allora, tutti gli elementi della tragedia classica (il conflitto, la peripepteia, la hamartia, la hybris, la tyche, la nemesis, la moira) che devono essere interpretati per comprendere il destino dei moderni. Dalla domanda sul destino della modernità, Hegel e Hölderlin traggono, allora, il «tragico»: ossia quel discorso sull’essenza della tragedia che deve entrare a far parte della filosofia. La filosofia raccoglie l’eredità della tragedia classica: essa deve dar conto, per Hegel, della «tragedia nell’etico». I primi anni dell’’800 segnano il distacco delle concezioni di Hegel e Hölderlin: il primo supera l’orizzonte della tragedia per volgersi al sistema, mentre il nostro autore resta ancorato alla poesia e alla traduzione. L’interesse per Antigone, tuttavia, continua ad accomunarli anche dopo l’interruzione del loro confronto. È con Antigone che la filosofia hegeliana ricomprende il tragico, per oltrepassarlo; è Antigone l’ultima figura del tragico in Hölderlin.
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