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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-05092014-075603


Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica
Autore
GALLETTI, OLGA
URN
etd-05092014-075603
Titolo
LUIGI MANSI E IL DELITTO DI USURA
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Landi, Andrea
Parole chiave
  • DIRITTO COMUNE
  • LUIGI MANSI
  • USURA
Data inizio appello
07/07/2014
Consultabilità
Completa
Riassunto
La questione circa il divieto delle usure attraversa secoli di storiografia giuridica, da quando i testi giustinianei vengono riscoperti e rimaneggiati per restituire all’Europa un diritto -seppure variamente interpretato secondo i diversi particolarismi territoriali- dall’indiscussa autorevolezza, sino a quando, nel 1917, il canone 1543 del codice di diritto canonico riduce l’usura semplicemente a richiesta di un lucrum immoderatum. In verità nel diritto romano classico si era parlato diffusamente a proposito di usure, ma è solo con l’influenza dei precetti biblici che si comincia ad oscillare tra il divieto assoluto di domandare interessi per la pecunia o qualsivoglia altro bene fungibile dato a mutuo, e la creazione di tutta una serie di casi in cui è lecito che vengano corrisposti dal debitore gli interessi convenzionali, specie nei rapporti col ceto mercantile, per differente atteggiarsi della fattispecie giuridica in gioco. Una foltissima dottrina che confeziona di volta in volta argomentazioni atte ad aggirare il divieto e ad ammettere le ragioni del creditore pignoratizio. Davvero difficile ricostruire un puntuale iter logico dell’argomento: il divieto delle usure ha visto coesistere, in ogni epoca storica in cui è stato presente, elaborazioni che ne hanno stravolto il significato o che ne hanno esaltato le fonti di derivazione, prime fra tutte il vecchio ed il nuovo testamento. Resta celebre il passo dell’evangelista Luca “mutuum date nihil inde sperantes”, sopra il quale lo spirito universalistico basso-medievale edificò tutto il suo disprezzo e un fitto corredo di condanne verso chi avesse domandato un qualche compenso a seguito del perfezionamento di un contratto tipico di mutuo. Dall’altro, il travaglio intellettuale di segno opposto approdò alla sua reductio intorno al XVI-XVII secolo, arrivando ad affermare con sufficiente cognizione di causa che bifariam potest existimari pecunia.
Senza pretesa di completezza, il presente lavoro si prefigge lo scopo di delineare il tema delle usure all’interno della produzione giurisprudenziale di un eminente autore di consilia del XVII secolo: epoca nella quale il tessuto sociale ha subìto profonde trasformazioni, le istituzioni sono quelle tipiche dell’Ancien Régime, il mondo mercantile si sta evolvendo in una più organizzata compagine capitalistica dello Stato. Allo stesso tempo, il diritto comune tocca il momento di sua ultima espressione, sebbene il ceto dei giuristi di professione, eccezion fatta per qualche movimento culturale sparuto, continuerà ad essere ancora per molto tempo aggrappato a tutto quel sistema di regole che, a partire dai glossatori, aveva, quantomeno a livello teorico, assicurato un unico diritto a tutta l’Europa. Come ci accorgeremo dall’analisi dei testi reperiti, il delitto di usura viene affrontato sul fare del 600 con lo spirito proprio del diritto intermedio: rinforzato dalle bolle pontificie, l’antico divieto dispiega tutta la sua forza e la propria attualità sino, come abbiamo detto, agli albori delle codificazioni, quando, più potente dell’Illuminismo, il clima liberista riuscirà ad affrancarsi del tutto da molti fantasmi del passato.

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