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Il presente lavoro, fedelmente al titolo da cui si dipana, proverà a porre nel setaccio dello sguardo genealogico-analitico, due questioni strettamente intrecciate: 1) l’evoluzione, nelle viscere della biografia intellettuale darwiniana, del legame tra l’estetico e la costruzione della teoria scientifica; 2) la risoluzione della giovanile emergenza estetico-emozionale nella matura, collaudata, dinamica evolutivo-selettiva. La nostra narrazione procederà avvalendosi del prezioso viatico di una tripartizione euristico-finzionale, che richiama la legge dei tre stadi comtiana – nei confronti di cui Darwin, nei taccuini cosiddetti “metafisici”, manifestò apprezzamento ed entusiasmo. Ragion per cui paleseremo un “ever-increasing”, totalizzante, processo esistenzial-teoretico di scientifizzazione. Emergerà come la giovanile devozione di Darwin per l’humboldtiana “rara unione di poesia e scienza”, laddove, durante il quinquennale viaggio sul Beagle, l’olismo dello scienziato-esteta tedesco si accompagnava alla percezione di shelliani “dubbi terribili” evocati da una Natura, che sembrava essere più di un mero respiro della materia, lasciò viepiù il posto all’acribia “sperimentale” e macchinica del metodo scientifico. Dopo una fase “metafisica”, in cui l’emergenza estetica assunse una doppia connotazione, soggettiva, nel senso di momento creativo-immaginativo (“castles in the air”) propedeutico alla costruzione del cogente giudizio scientifico, e oggettiva, nel senso in cui l’attitudine estetica incarna viepiù le fattezze di un nodo estetico da sbrogliare naturalisticamente (“what is beauty?”), Darwin approdò ad una doppia legalistica risoluzione (selezione naturale/sessuale), all’interno di cui la giovanile misterica e palpitante Natura tropicale venne, per dirla con Lyotard, sacrificata sull’altare della legge (scientifica). Darwin, vent’anni dopo aver dato alle stampe quello che definì essere il suo “first literary child”, vale a dire il Journal of Researches (1839), il quale era ancora animato da strascichi humboldtiani, pubblicò l’Origin of Species (1859), nella cui intelaiatura il problema estetico divenne un’obiezione (teologica) alla teoria della selezione naturale da sciogliere utilitaristicamente. Obiezione che trovò il definitivo districamento in The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex (1871), dove bellezza (“sense of beauty”) e scelta estetica (“taste”) furono assorbiti nelle fauci del meccanismo evolutivo di variazione, ereditarietà e selezione. Persino l’arte divenne un implicito corollario della selezione (sessuale).
Malgrado quanto esposto, la progressiva narrazione comtiana dovrà fare i conti con una sorta di amara agnizione finale, in cui mostreremo - come attraverso la negativa di una positiva- i pericoli di un’ossessiva razionalizzazione della realtà naturale. Nell’Autobiography (1876-1882), Darwin, per l’appunto, affermò di esser diventato, invecchiando, sempre più una macchina estraente leggi, e con ciò perdendo il raffinato senso estetico giovanile, felicità, e creatività. Forse che un’eccessiva “positivizzazione” della realtà è deleteria, sia per l’uomo che per la scienza, nella misura in cui occulta, prima, deprime, poi, le radici emozionali della vita e del pensiero? D’altronde, stando al processo evolutivo stesso, le emozioni non rappresentarono l’imprescindibile brodo di coltura a partire da cui la ragione umana prese forma come, per dirla con Hume, un “meraviglioso e inintelligibile istinto”?