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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-04072015-161932


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
VERATTI, BENEDETTA
URN
etd-04072015-161932
Titolo
La quantificazione del danno nelle azioni di responsabilita' esercitate dal curatore fallimentare.
Dipartimento
ECONOMIA E MANAGEMENT
Corso di studi
CONSULENZA PROFESSIONALE ALLE AZIENDE
Relatori
relatore Prof.ssa Prosperi, Stefania
Parole chiave
  • differenza dei patrimoni netti
  • deficit fallimentare
  • capitale di liquidazione
  • distrazione
  • procedura fallimentare
  • quantificazione danno
  • responsabilità degli organi sociali
Data inizio appello
30/04/2015
Consultabilità
Completa
Riassunto
Nell’ambito delle azioni di responsabilità per gli illeciti compiuti dagli organi sociali durante lo svolgimento della propria carica all’interno dell’impresa, sovente esperite nelle procedure fallimentari da parte del curatore, una tematica di notevole rilievo operativo è costituita dalla determinazione del danno eventualmente da imputare agli amministratori e ai sindaci che non hanno adempiuto agli obblighi stabiliti dal codice civile. In tali situazioni il criterio di stima del danno deve essere indirizzato a quantificare l’eventuale decremento di valore realizzatosi in seguito ad atti illeciti che abbiano compromesso la consistenza patrimonio sociale a garanzia dei creditori sociali. E’ frequente il caso in cui sia contestata dalla curatela fallimentare la illegittima prosecuzione dell’attività in difetto dei presupposti di legge, quale condotta che segue all’occultamento doloso o al mancato accertamento colposo della totale erosione del capitale sociale in ragione di perdite. Il criterio di quantificazione del danno prodotto dall’illegittima prosecuzione dell’attività deve avere l’obiettivo di stimare l’eventuale diminuzione del valore dell’impresa a partire dal comportamento illecito degli organi sociali, ovvero tra il momento in cui gli amministratori avrebbero dovuto accorgersi della perdita del capitale sociale e il momento in cui vi è stata la cessazione dalla carica oppure la dichiarazione di fallimento.
Non appaiono però funzionali all’obiettivo di commisurare l’ammontare del danno risarcibile alla distruzione del valore aziendale né il criterio del deficit fallimentare, né il criterio della differenza tra i netti patrimoniali.
Nonostante il suo diffuso accreditamento, tale criterio appare infatti non condivisibile, in quanto si fonda su un approccio prettamente contabile che, non essendo in grado di evidenziare se vi sia stata effettivamente una perdita di valore in ragione della continuazione dell’attività, può condurre a un’erronea stima del danno.
Si ritiene che soltanto mediante l’applicazione, ove possibile, di un criterio basato sulla stima dell’effettivo valore distrutto si possa correttamente valutare il pregiudizio arrecato dalla prosecuzione illegittima dell’attività dopo la perdita del capitale sociale e, di conseguenza, apprezzare in moto più attendibile l’ammontare del danno da imputare ai componenti dell’organo gestorio e di controllo della società fallita verso i quali è stata promossa l’azione di responsabilità.
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