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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-04042012-004842


Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica
Autore
DELLA GROTTA, FEDERICA
URN
etd-04042012-004842
Titolo
Coscienza, volonta', liberta'. Prospettive sull'approccio neuroscientifico al problema del libero arbitrio
Dipartimento
LETTERE E FILOSOFIA
Corso di studi
FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE
Relatori
relatore Marletti, Carlo
relatore De Caro, Mario
Parole chiave
  • determinismo
  • compatibilismo
  • neuroscienze
  • Libero arbitrio
Data inizio appello
23/04/2012
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
23/04/2052
Riassunto
Il problema del libero arbitrio

Prima ancora che un problema filosofico, la questione del libero arbitrio è legata alla psicologia ingenua, cioè alla concezione che gli esseri umani posseggono di loro stessi come agenti dotati di libertà. La nozione intuitiva di libero arbitrio suggerisce, infatti, che le nostre azioni devono dipendere dalla nostra volontà. Questa connessione diretta tra la volontà dell’agente e le azioni che esso produce permette di giustificare concetti etici centrali, come quelli di responsabilità, punizione, biasimo.
Come è ben noto, tradizionalmente questa idea intuitiva di libero arbitrio è stata messa in discussione su diversi fronti. In particolare, sia la visione religiosa che quella scientifica pongono forti limiti all’esistenza della libertà umana così concepita .
Il tentativo di riconciliare la preveggenza e la provvidenza divine con la libertà umana ha impegnato pensatori e teologi per millenni: se Dio è onnipotente, e dunque controlla le nostre azioni, noi non possiamo agire altrimenti rispetto a come facciamo.
Le visioni naturaliste e scientifiche, imperniate su una visione deterministica dell’universo, pongono limiti alla libertà umana nella stessa direzione. Possiamo definire sommariamente il determinismo come la tesi secondo cui ogni evento è l’effetto di un insieme di altri eventi che lo producono, in accordo alle leggi di natura. Se l’universo è deterministico, ogni cosa, incluse le nostre azioni e l’attività cerebrale che le ha prodotte, è predeterminata dallo stato iniziale dell’universo e dalle leggi di natura. Non sembra possibile, per l’uomo, ascrivere a se stesso il libero arbitrio, perché nessuno avrebbe potuto agire diversamente da come di fatto ha agito.
L’idea di un universo indeterministico, che le recenti visioni scientifiche suggeriscono , non riesce ugualmente a salvaguardare l’esistenza della libertà così come è stata definita. Se l’universo fosse indeterministico, infatti, le nostre azioni non sarebbero determinate, ma prodotte da una sequenza casuale di eventi. Questa sequenza casuale sarebbe tuttavia estranea all’individuo stesso, e il legame causale tra volontà e azione verrebbe apparentemente violato.


Il dibattito filosofico

Il tentativo di conciliare una visione accettabile del libero arbitrio con la concezione scientifica del mondo fisico è una delle questioni centrali a cui la riflessione filosofica ha cercato di dare una risposta nel corso dei secoli.
L’approccio del dibattito filosofico è consistito infatti essenzialmente nel cercare di stabilire se il libero arbitrio sia o meno compatibile con il determinismo e/o con l’indeterminismo. La distinzione fondamentale, in questo senso, è quella tra due famiglie di concezioni: il compatibilismo e l’incompatibilismo.
I compatibilisti affermano che il libero arbitrio non solo è compatibile con il determinismo, ma addirittura lo richiede. In questa concezione la volontà, pur essendo interamente determinata, può dirsi libera perché non è costretta da fattori esterni alla volontà stessa. Il determinismo è necessario perché assicura che le nostre azioni discendano causalmente dalla nostra volontà, pur essendo già prestabilite .
Gli incompatibilisti, al contrario, considerano la libertà del tutto inconciliabile con il determinismo. Tra di essi, i libertari sostengono una visione del libero arbitrio molto vicina a quella della psicologia ingenua: la libertà richiede necessariamente una rottura indeterministica degli eventi causali, che viene poi governata dal diretto potere causale degli agenti (agent causation) .
La questione appare estremamente complessa, ed entrambe le alternative teoriche non hanno condotto a risultati soddisfacenti.
Nel dibattito contemporaneo, la maggior parte degli autori concorda nel ritenere che il libero arbitrio si fondi su due presupposti, accettabili anche a livello del senso comune: perché un’azione sia definita libera, all’agente che la compie devono prospettarsi differenti corsi d’azione tra cui scegliere, e la scelta tra questi corsi d’azione non deve avvenire casualmente, ma deve essere il risultato di una sua autonoma e razionale determinazione.
Qualsiasi teoria accettabile del libero arbitrio deve rispondere adeguatamente a queste due richieste, ma né le teorie compatibiliste né quelle incompatibiliste sembrano in grado di dare conto in maniera adeguata di queste due precondizioni essenziali. Per questo motivo, sono sempre più i filosofi che hanno rinunciato a trovare una soluzione accettabile al dilemma, sostenendo che il problema del libero arbitrio sia intrinsecamente irrisolvibile .





Il libero arbitrio nelle neuroscienze

Il recente sviluppo delle neuroscienze ha reso disponibili spiegazioni sperimentali sul funzionamento del cervello nella generazione di comportamenti complessi e nella formazione del pensiero. Questi notevoli avanzamenti sembrano mettere in discussione aspetti essenziali della concezione dell’io suggerita dalla psicologia del senso comune .
Andando in questa direzione, le scoperte neuroscientifiche aggiungono nuovi tasselli al problema del libero arbitrio, ridefinendo ed ampliando lo sfondo concettuale della questione, e spostando l’attenzione su nuovi ed interessanti problemi.
Se fino ad ora la questione rilevante, nel confronto con la visione scientifica, è stata quella di conciliare un senso accettabile di libertà con il generale paradigma deterministico, i risultati sperimentali delle neuroscienze focalizzano la nostra attenzione su aspetto più circostanziato: il ruolo della volontà cosciente nella generazione delle azioni volontarie.
I principali studi neuroscientifici, sovvertendo il punto di vista proprio della psicologia ingenua, sembrano infatti indicare che la nostra volontà sia sostanzialmente inefficace nella produzione di azioni volontarie, che non rivesta alcun ruolo nel garantire all’agente il possesso delle proprie decisioni ed azioni. Come scrivono Sinnott-Armstrong e Nadel , la questione in gioco non riguarda più il determinismo a cui sarebbe soggetta la nostra volontà, ma piuttosto la presunta inefficacia di quest’ultima nel causare le nostre azioni:

“Questa nuova sfida non consiste nel comprendere se qualcosa causi la nostra volontà, ma, piuttosto, se la nostra volontà causi qualcosa. La questione riguarda gli effetti piuttosto che le cause della nostra volontà. Non ci si sta chiedendo se la nostra volontà sia libera, ma soltanto se sia efficace.”

I più celebri e pionieristici esperimenti in questa direzione sono sicuramente quelli condotti dal neuroscienziato Benjamin Libet. Libet per primo applicò metodi di indagine neurofisiologica per indagare la relazione temporale sussistente tra l’attività cerebrale e la volontà cosciente di eseguire un determinato movimento corporeo volontario.
Dagli esperimenti di Libet emerge un risultato controintuitivo: confrontando il tempo soggettivo della decisione con quello relativo all’inizio del movimento a livello neurale, si rileva che essi non coincidono. L’attività neurofisiologica del cervello inizia infatti circa mezzo secondo prima del momento in cui al soggetto sembra di aver preso la decisione di compiere un movimento volontario.
I risultati di questi esperimenti, confermati da nuovi e più recenti esecuzioni in contesti di laboratorio ancora più raffinati , sembrano indicare che le nostre azioni (o almeno la classe di azioni soggetta a questa indagine) sono causate da un’attività inconscia del cervello: il processo volitivo prende cioè avvio inconsapevolmente. La consapevolezza dell’azione sopraggiunge nell’individuo solo in un momento successivo, quando i processi neurali che danno origine all’azione sono già iniziati.
Questi risultati sembrano attribuire un ruolo epifenomenico alla volontà e alle intenzioni coscienti: poiché esse seguono cronologicamente l’attività cerebrale di preparazione al movimento, e poiché questa attività è inaccessibile al soggetto cosciente, le intenzioni non sembrano essere veramente causa delle nostre azioni. Il lavoro causale vero è proprio sembra infatti essere svolto dai processi neurali che precedono nel tempo le intenzioni coscienti.



Schema del lavoro

Lo scopo del lavoro vuole essere quello di comprendere quali sono le conseguenze di questi risultati sperimentali rispetto alla concezione della volontà, della coscienza, e in particolare della libertà, sia rispetto alla psicologia ingenua che al dibattito filosofico.
Nel corso del lavoro, verranno principalmente presi in considerazione i lavori sperimentali di Libet, come esempio paradigmatico del tipo di comprensione che le neuroscienze possono offrire dei problemi presi in esame.
Il lavoro è diviso in due parti. Nella prima parte, verrà analizzato con precisione il setting sperimentale degli esperimenti libetiani, al fine di determinare in maniera accurata se i risultati raggiunti possano essere rilevanti o meno per il problema del libero arbitrio (cap. 1-2). Per chiarificare ancora meglio i termini del problema, verranno inoltre riportati ulteriori risultati empirici rilevanti, raggiunti negli ultimi decenni proprio a partire dagli esperimenti di Libet (cap.3).
Nella seconda parte, prenderemo in considerazione la teoria che Libet formula a partire dall’interpretazione teorica dei risultati empirici. Il neuroscienziato offre una lettura personale di che cosa sia la mente e, al suo interno, di quale sia il ruolo svolto dalla coscienza e dal libero arbitrio quando parliamo di sensazioni coscienti e di azioni volontarie (cap. 4).
Cercheremo di sottolineare quali problemi emergono da un’attenta lettura di questa proposta teorica, sia rispetto a problemi generali, sia, nel particolare, rilevando tensioni interne e problemi metodologici, scientifico-epistemologici e teorici che emergono da un’attenta analisi di questi studi: le tensioni rilevate non permetteranno, in ultima analisi, di considerare i risultati offerti come determinanti per il problema del libero arbitrio. Nel fare questo, daremo conto dei contributi critici più rilevanti (cap.6).
Nonostante la sostanziale difficoltà ad accettare le interpretazioni proposte da Libet, l’ultimo capitolo sarà dedicato ad una riflessione positiva sugli elementi forniti dagli studi neuroscientifici rispetto al problema del libero arbitrio. A partire da un’attenta lettura di alcuni lavori neuroscientifici sulla presa di decisione a livello neurale, emergerà una prospettiva differente, in accordo con i risultati delle neuroscienze, su come definire il libero arbitrio e l’agentività causale (cap. 7).
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