Tesi etd-03272017-211343 |
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Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
PASTENA, ROSA
URN
etd-03272017-211343
Titolo
L’EFFICACIA SOSTANZIALE DELLE DECISIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE IN SEDE DI CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI TRA POTERI DELLO STATO.
Settore scientifico disciplinare
IUS/08
Corso di studi
SCIENZE GIURIDICHE
Relatori
tutor Malfatti, Elena
Parole chiave
- Conflitti di attribuzioni
- Corte costituzionale
- poteri dello Stato
Data inizio appello
26/04/2017
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il lavoro muove dalla genesi dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato come strumento per garantire l’architettura dei poteri come delineata dalla stessa Costituzione. L’individuazione di tale competenza non è stata accompagnata da una discussione pacifica, in Assemblea costituente, anzi le incertezze definitorie hanno determinato la laconicità dell’art. 134 Cost.
L’istituto del conflitto tra poteri dello Stato ha conosciuto un avvio molto lento, per poi sbocciare a partire dagli anni ’90. In questo suo “crescendo” la Corte è stata più volte chiamata a risolvere conflitti dall’alto “tono costituzionale” che, in un primo momento, la dottrina non era neanche riuscita ad ipotizzare. In questa evoluzione, anche il concetto di separazione dei poteri è stato riletto alla luce del crescente pluralismo istituzionale e della crescente autonomia dei poteri di garanzia, il che ha messo in luce non tanto l’idea di separazione quanto quella di naturale convivenza e collaborazione dei singoli organi per lo svolgimento di un'unica funzione e per l’attuazione del disegno costituzionale delle competenze.
L’oggetto del conflitto risiederebbe, quindi, nel rapporto tra organi e, più specificamente, nell’individuazione di una competenza flessibile che attiene al momento dinamico della collaborazione. Ed è in questa rete di rapporti, dinamici, fluidi e interconnessi che trova il suo fondamento il principio di leale collaborazione, il quale rappresenta null’altro che l’altra faccia della medaglia del principio di separazione dei poteri. Il lavoro evidenzia, quindi, l’uso che la Corte ha fatto di tale principio come canone per interpretare le regole che disciplinano il riparto delle competenze.
Il principio di leale collaborazione tra i poteri appare connaturato allo stesso funzionamento dei diversi poteri dello Stato. Ove però si determini un illegittimo sconfinamento nell’altrui competenza, o non vi sia la cooperazione richiesta, la Corte è chiamata ad intervenire per ristabilire l’equilibrio e indicare il modus operandi a cui i poteri dovranno attenersi.
A questo punto è lecito chiedersi come la Corte intervenga per imporre la legalità costituzionale anche ai comportamenti degli organi politici ed, in particolare, quale efficacia sia riconosciuta alle decisioni del giudice dei conflitti.
Sulla scia delle prime intuizioni di Mazziotti di Celso, il quale già all’inizio degli anni ’70, aveva evidenziato che l’esecuzione delle decisioni della Corte è affidata in primo luogo allo spontaneo ossequio di tutte le autorità e dei cittadini verso il supremo organo di garanzia della Costituzione, il lavoro segue la strada tracciata da coloro che si sono rifiutati di ricondurre l’efficacia delle decisioni della Corte ai classici istituti del diritto processuale al fine di indagare, nel concreto, in che modo i diversi poteri hanno dato seguito alle pronunce della Corte.
Partendo quindi dall’idea di fondo che le decisioni del giudice costituzionale abbiano una efficacia che trascende il caso concreto, si propone l'esame di alcune vicende per verificare se, da un lato, gli altri organi costituzionali percepiscano come vincolanti tali decisioni e, in secondo luogo, se la loro efficacia possa discendere o meno dal leale e spontaneo ossequio verso la Corte costituzionale, al fine di individuare un’efficacia sostanziale delle decisioni del giudice costituzionale.
Per questo motivo sono esaminate tre vicende molto differenti tra loro, che investono tutte, in modo diverso il potere esecutivo.
Muovendo dall’esame della giurisprudenza in tema di segreto di Stato, di responsabilità ministeriale e in tema di mozione di sfiducia individuale di un ministro si propone un'analisi dei comportamenti degli altri poteri coinvolti.
Questa indagine sull'efficacia sostanziale delle decisioni consente, infine, di ricostruire la posizione assunta dalla Corte all’interno dell’ordinamento.
Il lavoro propone, quindi, un’analisi delle attuali tendenze in tema di conflitti d’attribuzione tra poteri, soffermandosi sulle "luci e ombre" attorno al ruolo assunto dal giudice dei conflitti negli ultimi anni.
L’istituto del conflitto tra poteri dello Stato ha conosciuto un avvio molto lento, per poi sbocciare a partire dagli anni ’90. In questo suo “crescendo” la Corte è stata più volte chiamata a risolvere conflitti dall’alto “tono costituzionale” che, in un primo momento, la dottrina non era neanche riuscita ad ipotizzare. In questa evoluzione, anche il concetto di separazione dei poteri è stato riletto alla luce del crescente pluralismo istituzionale e della crescente autonomia dei poteri di garanzia, il che ha messo in luce non tanto l’idea di separazione quanto quella di naturale convivenza e collaborazione dei singoli organi per lo svolgimento di un'unica funzione e per l’attuazione del disegno costituzionale delle competenze.
L’oggetto del conflitto risiederebbe, quindi, nel rapporto tra organi e, più specificamente, nell’individuazione di una competenza flessibile che attiene al momento dinamico della collaborazione. Ed è in questa rete di rapporti, dinamici, fluidi e interconnessi che trova il suo fondamento il principio di leale collaborazione, il quale rappresenta null’altro che l’altra faccia della medaglia del principio di separazione dei poteri. Il lavoro evidenzia, quindi, l’uso che la Corte ha fatto di tale principio come canone per interpretare le regole che disciplinano il riparto delle competenze.
Il principio di leale collaborazione tra i poteri appare connaturato allo stesso funzionamento dei diversi poteri dello Stato. Ove però si determini un illegittimo sconfinamento nell’altrui competenza, o non vi sia la cooperazione richiesta, la Corte è chiamata ad intervenire per ristabilire l’equilibrio e indicare il modus operandi a cui i poteri dovranno attenersi.
A questo punto è lecito chiedersi come la Corte intervenga per imporre la legalità costituzionale anche ai comportamenti degli organi politici ed, in particolare, quale efficacia sia riconosciuta alle decisioni del giudice dei conflitti.
Sulla scia delle prime intuizioni di Mazziotti di Celso, il quale già all’inizio degli anni ’70, aveva evidenziato che l’esecuzione delle decisioni della Corte è affidata in primo luogo allo spontaneo ossequio di tutte le autorità e dei cittadini verso il supremo organo di garanzia della Costituzione, il lavoro segue la strada tracciata da coloro che si sono rifiutati di ricondurre l’efficacia delle decisioni della Corte ai classici istituti del diritto processuale al fine di indagare, nel concreto, in che modo i diversi poteri hanno dato seguito alle pronunce della Corte.
Partendo quindi dall’idea di fondo che le decisioni del giudice costituzionale abbiano una efficacia che trascende il caso concreto, si propone l'esame di alcune vicende per verificare se, da un lato, gli altri organi costituzionali percepiscano come vincolanti tali decisioni e, in secondo luogo, se la loro efficacia possa discendere o meno dal leale e spontaneo ossequio verso la Corte costituzionale, al fine di individuare un’efficacia sostanziale delle decisioni del giudice costituzionale.
Per questo motivo sono esaminate tre vicende molto differenti tra loro, che investono tutte, in modo diverso il potere esecutivo.
Muovendo dall’esame della giurisprudenza in tema di segreto di Stato, di responsabilità ministeriale e in tema di mozione di sfiducia individuale di un ministro si propone un'analisi dei comportamenti degli altri poteri coinvolti.
Questa indagine sull'efficacia sostanziale delle decisioni consente, infine, di ricostruire la posizione assunta dalla Corte all’interno dell’ordinamento.
Il lavoro propone, quindi, un’analisi delle attuali tendenze in tema di conflitti d’attribuzione tra poteri, soffermandosi sulle "luci e ombre" attorno al ruolo assunto dal giudice dei conflitti negli ultimi anni.
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