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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-03222009-195909


Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica
Autore
BARBIERI, ILDE MARIA
URN
etd-03222009-195909
Titolo
Sviluppo di metodi per la misura quantitativa dell'infarto miocardico con "Delayed-contrast Enhancement "
Dipartimento
INGEGNERIA
Corso di studi
INGEGNERIA BIOMEDICA
Relatori
Relatore Positano, Vincenzo
Relatore Prof. Giovannetti, Giulio
Parole chiave
  • immagini risonanza magnetica
  • Delayed contrast Enhancement
  • algoritmi di segmentazione
Data inizio appello
28/04/2009
Consultabilità
Completa
Riassunto
Clinicamente l'infarto è una sindrome acuta provocata da una insufficiente irrorazione sanguigna (ischemia) del miocardio in seguito ad una occlusione improvvisa o per una stenosi critica delle arterie che portano il sangue al distretto. La presenza di stenosi, ossia di riduzione del lume, provoca cambiamenti nel flusso regionale del miocardio. La vasodilatazione delle arteriole permette di compensare l’aumento della resistenza incontrata dal flusso sanguigno. In condizioni non patologiche la vasodilatazione permette un aumento di flusso coronarico di 4-6 volte rispetto al valore basale. Se le richieste metaboliche del tessuto aumentano occorre un corrispondente aumento di flusso. In presenza di stenosi la vasodilatazione riesce soltanto a mantenere costante il flusso in condizioni basali. In caso di una richiesta metabolica maggiore le cose si complicano. Lo squilibrio tra richiesta e offerta di ossigeno portano all’ischemia miocardica e a tutta una serie di eventi (riduzione del flusso, alterazioni della funzione diastolica, della funzione sistolica, modificazioni elettrocardiografici e comparsa di dolore precordiale). Una ridotta perfusione miocardica con durata prolungata potrebbe modificare il metabolismo e la funzionalità del miocardio e in alcuni casi può portare a necrosi. L'infarto miocardico è una delle più frequenti cause di morte nei paesi occidentali. La regione colpita da infarto diviene necrotica e se il malato sopravvive alla fase acuta, l'organismo riassorbe i tessuti morti generando in quella zona una cicatrice di tessuto connettivo fibroso, l'organo perde definitivamente una parte della sua funzionalità.
Questa patologia può essere indagata con la Risonanza Magnetica applicata in ambito Cardiovascolare (CMR). Dalla metà degli anni ’80 si è diffuso l’utilizzo delle tecniche MRI per lo studio del cuore in vivo, impiegando un mezzo di contrasto (solitamente il gadolinio).
Recentemente viene utilizzata una nuova sequenza di impulsi IR Fast GRE per la tecnica DE (Delayed– contrast Enhancement) che permette di ottenere immagini ad elevato contrasto.

Nelle immagini DE le regioni infartuate presentano un’intensità di segnale più alto rispetto al miocardio remoto.
In letteratura esistono vari studi il cui obiettivo è quello di standardizzare la definizione di iperintensità in modo da incrementare la riproducibilità, facilitare la quantificazione dell’infarto e permettere un confronto tra i risultati ottenuti in differenti centri.
In genere viene estratta una ROI dal miocardio sano, dalla quale si misura la media e la deviazione standard; un sistema a soglia va poi definire le aree di infarto. Vengono considerate HDE (zone di hyperenhancement) quelle regioni che mostrano un’intensità di segnale maggiore dell’intensità media di una quantità pari a due volte la deviazione standard misurata. Utilizzare l’SD non è però appropriato poiché vi sono diversi parametri che condizionano il risultato infatti la deviazione standard dipende dal protocollo di acquisizione, dal rapporto segnale rumore (RSN), dalle bobine e altri fattori.
Lo scopo di questo lavoro di tesi è quello di definire una metodologia che possa rendere quanto più oggettiva la quantificazione dell’infarto miocardico e che permetta di discriminare le zone con infarto da quelle prive di infarto.

Abbiamo utilizzato immagini provenienti da 30 pazienti con infarto miocardico (6 donne, 24 uomini) con età compresa tra 35 e 84 anni e peso compreso tra 45 e 100 kg. Le immagini sono state acquisite in 4 diversi centri (RIBA SpA di Torino, Presidio Ospedaliero di Mirano, Policlinico di Modena e Istituto di fisiologia clinica presso il CNR di Pisa) utilizzando diversi modelli di apparecchiatura e bobine di acquisizione.

Per ogni paziente sono state acquisite una serie di fette (8-20 slices) del ventricolo sinistro in asse corto.

La prima parte del lavoro consiste in un’operazione di segmentazione manuale, cioè di estrazione della zona di interesse dall’immagine. Manualmente sono stati tracciati i bordi dell’epicardio e dell’endocardio in ciascuna immagine con DE, ed è stata evidenziata la zona iperintensa. La segmentazione è stata applicata ad ogni fetta con presenza di infarto per ciascun paziente. Per segmentare le immagini è stato utilizzato un programma validato sviluppato in IDL (HIPPO DELAY) in uso presso l’Istituto di fisiologia clinica del CNR di Pisa.
Il programma è stato modificato al fine di poter salvare le maschere necessarie ad la successiva elaborazione. Si ottengono alla fine della segmentazione tre matrici volumetriche (512x512 x numero fette) per ciascun paziente. Una matrice contiene le maschere del miocardio, un’altra contiene le maschere del DE (zona iperintensa) che rappresentano le zone infartuate di miocardio, l’ultima matrice contiene le immagini originali senza segmentazione.

E’ stato implementato in IDL un algoritmo per la ricerca esaustiva della soglia ottima. La soglia ottima si ottiene andando ad ottimizzare l’accuratezza del metodo.
Esistono due diverse versioni dell’algoritmo, una lavora sull’intero volume e cerca una soglia ottima globale, l’altra versione trova una soglia ottima per fette.

I metodi proposti per quantificare il volume dell’infarto sono il metodo di Otsu, gli algoritmi di clustering K-means e Fuzzy C-means. Ogni algoritmo restituisce come risultato la soglia, l’accuratezza, la specificità, la sensibilità del metodo e il numero di pixel individuati come patologici. Per ogni algoritmo esistono due diverse versioni, una stima il volume globale, l’altra il volume per fette.
Il numero di pixel patologici permette di ricavare il volume di infarto.

I dati sono stati poi elaborati per estrapolare informazioni sulla loro distribuzione e sulle loro eventuali correlazioni.
Per lo stesso paziente si ottengono soglie diverse a seconda se si applica l’algoritmo all’intera matrice di dati o alle singole fette. Un primo quesito da risolvere è stato proprio questo, se ha senso usare una soglia globale.
Dal confronto mediante il metodo di Bland e Altman tra il volume globale e il volume ottenuto andando ad applicare l’algoritmo alle fette, si è giunti alla conclusione che i due volumi sono congruenti. Si giunge alle stesse conclusioni utilizzando il metodo dei minimi quadrati.

E’ stato verificato che non esiste una soglia ottima unica, ma varia con il paziente e con il metodo utilizzato.

Mediante la tecnica ANOVA ad una via è stato possibile affermare che il centro medico non ha alcuna influenza né sull’accuratezza del metodo utilizzato, né sulle soglie, né sull’errore relativo che si commette nella stima del volume della zona infartuata.
Infatti facendo l’istogramma delle soglie (Grafico 3) e dei valori di accuratezza (grafico 4) si nota che sussiste una distribuzione gaussiana.


Dal confronto Bland e Altman tra i risultati ottenuti da due diversi osservatori, uno umano (segmentazione manuale) ed uno automatico (algoritmi implementati) si è giunti alla conclusione che l’algoritmo Fuzzy C-means sovrastima il volume rispetto a quello di riferimento ricavato con la segmentazione manuale, ma l’errore che si commette è limitato. Gli altri due algoritmi (clustering K-means e il metodo di Otsu) sovrastimano commettendo un errore relativo molto grande quindi risultano non idonei a quantificare la zona con DE.
Usare invece soglia ottima ottenuta mediante una ricerca esaustiva porta a sottostimare il volume.
Altre tipologie di algoritmi, che tengono conto anche delle informazioni spaziali dell’immagine, potrebbero portare a risultati migliori.

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