Tesi etd-02082017-174508 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
LOFFREDO, MARILENA
URN
etd-02082017-174508
Titolo
La difficile evoluzione del licenziamento discriminatorio
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Mazzotta, Oronzo
Parole chiave
- Diritto antidiscriminatorio
- Diritto del lavoro
- Fattori discriminatori
- Jobs Act
- Licenziamento discriminatorio
- Riforma Fornero
Data inizio appello
19/04/2017
Consultabilità
Completa
Riassunto
La legge che per prima si è occupata del licenziamento è la l. n. 604/1966, in cui per la prima volta si va ad introdurre all’interno del nostro ordinamento giuridico un obbligo di giustificazione in grado di sorreggere il licenziamento e, con il precetto indicato all'art. 4 della stessa legge, viene riconosciuta espressamente la nullità del licenziamento ritorsivo, ponendo così le basi per lo sviluppo della disciplina reintegratoria, che verrà poi disciplinata con lo Statuto dei lavoratori del 1970, per i casi di licenziamento discriminatorio.
Infatti, lo Statuto dei lavoratori, l. n. 300/1970, ha permesso che tale principio fosse reso effettivo sul piano sostanziale, prevedendo che il licenziamento sorretto da motivazioni illecite desse luogo non solo al pagamento di un indennizzo economico, ma alla reintegrazione nel posto di lavoro, accompagnata dal versamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali non percepiti (art. 18, l. n. 300/1970). La c.d. “tutela reale” del posto di lavoro, se pure applicata limitatamente alle imprese con determinati requisiti dimensionali, permette dunque di superare il principio del risarcimento del danno (c.d. “tutela obbligatoria”) previsto dalla l. n. 604/1966. Non sono mancate però nel corso degli anni delle polemiche, soprattutto in relazione al limite dei requisiti dimensionali richiesti per l'accesso alla tutela che, di fatto, finivano per sottrarre gran parte delle imprese alla disciplina della nuova previsione ex l. n. 300/1970. Il dilemma fu superato solamente vent'anni più tardi con la l. n. 108/1990 con la quale si precisava che il licenziamento discriminatorio non solo è nullo, ma altresì è dovere del giudice applicare la tutela reale prevista all’ art. 18 qualora rilevi la presenza di una diversificazione illecita che aveva condotto alla cessazione del rapporto di lavoro con il dipendente a prescindere dal numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro all’interno dello stabilimento.
La situazione però inizia a mutare con la grave crisi economica e finanziaria del 2008. Le raccomandazioni europee, per tutto il decennio precedente, avevano continuato a promuovere politiche volte a congiungere una maggiore flessibilità nella regolamentazione dei contratti di lavoro con un sistema di sicurezza sociale universale, ma la disastrosa situazione negativa del mercato del lavoro italiano con un alto tasso di disoccupazione e di inoccupazione dovuto alle scarse occasioni di impiego, emerge in tutta la sua vulnerabilità. Così che il legislatore nazionale decide di intervenire riformando il mercato del lavoro, anche relativamente alla disciplina sanzionatoria dei licenziamenti illegittimi, prima con la riforma c.d. Fornero del Governo tecnico Monti, ossia la l. n. 92/2012, e poi con il c.d. Jobs Act del Governo Renzi, che ha trovato attuazione con il d.lgs. n. 23/2015. Queste due ultime riforme, in realtà, non hanno modificato il regime di tutela riconosciuto per i casi più gravi di licenziamento derivanti da discriminazioni vietate dallo Stato, ma in un certo senso si può dire che hanno evidenziato il peso di un tale genere di recesso con la progressiva esclusione delle altre fattispecie di licenziamento dal novero della tutela reale e la loro riconduzione a forme di riparazione semplicemente di carattere economico.
Per quanto riguarda l’ambito del licenziamento discriminatorio, bisogna dire che questo trascende l’ambito del diritto del lavoro e va ad intrecciarsi con altre branche del diritto, in quanto la
discriminazione tocca proprio gli aspetti dei diritti fondamentali della persona.
Le varie Costituzioni europee del secondo dopo guerra hanno cercato di delineare nel tempo un sistema di tutele sempre più forti verso degli individui che la società indica come “soggetti deboli”, “soggetti diversi” e che per questo motivo vengono sottoposti continuamente a situazioni sgradevoli sia nella vita di tutti giorni, sia all’interno dell’ambito lavorativo.
Infatti, lo Statuto dei lavoratori, l. n. 300/1970, ha permesso che tale principio fosse reso effettivo sul piano sostanziale, prevedendo che il licenziamento sorretto da motivazioni illecite desse luogo non solo al pagamento di un indennizzo economico, ma alla reintegrazione nel posto di lavoro, accompagnata dal versamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali non percepiti (art. 18, l. n. 300/1970). La c.d. “tutela reale” del posto di lavoro, se pure applicata limitatamente alle imprese con determinati requisiti dimensionali, permette dunque di superare il principio del risarcimento del danno (c.d. “tutela obbligatoria”) previsto dalla l. n. 604/1966. Non sono mancate però nel corso degli anni delle polemiche, soprattutto in relazione al limite dei requisiti dimensionali richiesti per l'accesso alla tutela che, di fatto, finivano per sottrarre gran parte delle imprese alla disciplina della nuova previsione ex l. n. 300/1970. Il dilemma fu superato solamente vent'anni più tardi con la l. n. 108/1990 con la quale si precisava che il licenziamento discriminatorio non solo è nullo, ma altresì è dovere del giudice applicare la tutela reale prevista all’ art. 18 qualora rilevi la presenza di una diversificazione illecita che aveva condotto alla cessazione del rapporto di lavoro con il dipendente a prescindere dal numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro all’interno dello stabilimento.
La situazione però inizia a mutare con la grave crisi economica e finanziaria del 2008. Le raccomandazioni europee, per tutto il decennio precedente, avevano continuato a promuovere politiche volte a congiungere una maggiore flessibilità nella regolamentazione dei contratti di lavoro con un sistema di sicurezza sociale universale, ma la disastrosa situazione negativa del mercato del lavoro italiano con un alto tasso di disoccupazione e di inoccupazione dovuto alle scarse occasioni di impiego, emerge in tutta la sua vulnerabilità. Così che il legislatore nazionale decide di intervenire riformando il mercato del lavoro, anche relativamente alla disciplina sanzionatoria dei licenziamenti illegittimi, prima con la riforma c.d. Fornero del Governo tecnico Monti, ossia la l. n. 92/2012, e poi con il c.d. Jobs Act del Governo Renzi, che ha trovato attuazione con il d.lgs. n. 23/2015. Queste due ultime riforme, in realtà, non hanno modificato il regime di tutela riconosciuto per i casi più gravi di licenziamento derivanti da discriminazioni vietate dallo Stato, ma in un certo senso si può dire che hanno evidenziato il peso di un tale genere di recesso con la progressiva esclusione delle altre fattispecie di licenziamento dal novero della tutela reale e la loro riconduzione a forme di riparazione semplicemente di carattere economico.
Per quanto riguarda l’ambito del licenziamento discriminatorio, bisogna dire che questo trascende l’ambito del diritto del lavoro e va ad intrecciarsi con altre branche del diritto, in quanto la
discriminazione tocca proprio gli aspetti dei diritti fondamentali della persona.
Le varie Costituzioni europee del secondo dopo guerra hanno cercato di delineare nel tempo un sistema di tutele sempre più forti verso degli individui che la società indica come “soggetti deboli”, “soggetti diversi” e che per questo motivo vengono sottoposti continuamente a situazioni sgradevoli sia nella vita di tutti giorni, sia all’interno dell’ambito lavorativo.
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