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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-02042016-083351


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
BUCCIOLINI, MARCO
URN
etd-02042016-083351
Titolo
"Custodia cautelare come extrema ratio: un principio a lungo disatteso"
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Bonini, Valentina
Parole chiave
  • libertà personale
  • misure cautelari
  • extrema ratio
Data inizio appello
22/02/2016
Consultabilità
Completa
Riassunto
La tutela della libertà personale costituisce uno tra i più importanti diritti fondamentali spettanti ad ogni uomo. Nell’ambito processual- penalistico tale diritto ha dovuto spesso piegarsi ad esigenze puramente finalizzate a garantire l’efficienza della macchina processuale che andavano a discapito della libertà personale del singolo individuo. Prima dell’avvento della Costituzione all’indagato, nei confronti del quale si innestava un processo, non veniva riconosciuto alcun tipo di diritto, essendo sottoposto alla libera discrezionalità dei giudici, che in virtù del principio di colpevolezza, privavano della libertà tale soggetto prima della sentenza definitiva, attraverso l’istituto della carcerazione preventiva.
La custodia cautelare in carcere è stata considerata in vari periodi storici l’antidoto più efficace per rispondere alle paure e alle tensioni che derivavano dalla collettività. In altre parole tale istituto, tipicamente di stampo inquisitorio, ha cercato di proteggere gli interessi derivanti dalla società a discapito della tutela personale dell’imputato. Solamente con la caduta del regime fascista e la nascita della carta costituzionale nel 1948 si è avvertito il primo grande segnale di cambiamento e di tutela nei confronti dei diritti spettanti ad ogni uomo, compreso l’indagato-imputato sottoposto a processo. L’inviolabilità della libertà personale, sancita all’art. 13 della Costituzione insieme all’art. 27 secondo comma riferito alla presunzione di non colpevolezza, costituiscono i due baluardi a cui guarda il legislatore nel 1989 con la creazione del nuovo codice di procedura penale. L’intervento codicistico in materia di misure cautelari personali è volto principalmente a proteggere la figura dell’imputato. Il diktat è portare la misura inframuraria da regola ad eccezione, ricorrendo all’utilizzo dell’istituto della custodia solamente nei casi in cui le altre misure cautelari risultino inadeguate. I buoni propositi di lasciare alla custodia carceraria il ruolo di extrema ratio vengono più volte screditati nel corso degli ultimi anni, nei quali si “riaprono ferite” che sembravano essere completamente risarcite. Ad aprire gli occhi all’Italia è la Corte di Strasburgo che, a seguito della Sentenza Torreggiani, sottolinea come l’abuso della custodia carceraria sia una delle cause che hanno portato il nostro Paese al connesso problema del sovraffollamento carcerario. Per risolvere la delicata questione la Corte costituzionale ha demolito tutte quelle presunzioni di adeguatezza che aveva ritenuto fino a pochi anni fa essenziali a fronteggiare le paure e soddisfare i bisogni della società che si creavano a seconda degli “allarmi sociali”. Sotto la scorta delle pronunce dei giudici della Consulta, anche il legislatore è recentemente intervenuto con la legge 47/2015 al fine di individuare delle linee guida per orientare i contrasti interpretativi e risolvere la frammentarietà patologica che ha caratterizzato gli ultimi interventi legislativi in materia di misure cautelari. L’obiettivo principale risiede ancora una volta nell’intento di evitare l’abuso delle misure cautelari quali anticipazione della pena, in particolare il ricorso al carcere. Affiancato dal “sostegno legislativo”, il giudice cautelare viene più che mai responsabilizzato nel mantenere le promesse di questa grande scommessa giuridica, sociale e culturale.
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