Tesi etd-01232024-223121 |
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Tipo di tesi
Tesi di specializzazione (5 anni)
Autore
QUERCIOLI, LAURA
URN
etd-01232024-223121
Titolo
Pseudoaneurismi infetti post-iniezione di sostanze stupefacenti in arteria femorale: studio multicentrico di confronto tra trattamento chirurgico open ed endovascolare
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
CHIRURGIA VASCOLARE
Relatori
relatore Prof.ssa Berchiolli, Raffaella Nice
correlatore Prof. Troisi, Nicola
correlatore Prof. Troisi, Nicola
Parole chiave
- Pseudoaneurismi femorali infetti
Data inizio appello
15/02/2024
Consultabilità
Completa
Riassunto
L’iniezione di sostanze stupefacenti per via endovenosa comporta un alto rischio di lesioni vascolari.
Le lesioni arteriose sono le più gravi, ed il chirurgo vascolare viene sempre più spesso consultato per il riscontro di pseudoaneurismi arteriosi, la cui sede più frequente è quella femorale.
Gli pseudoaneurismi femorali infetti (IFAP) rappresentano un’emergenza chirurgica impegnativa che, se non trattata, può evolvere in complicazioni potenzialmente letali come la rottura con shock emorragico, sepsi ed ischemia degli arti.
La gestione ottimale degli IFAP è ancora oggi oggetto di discussione, ed in particolare, la tecnica di ricostruzione ed il tipo di materiale da utilizzare.
In questo studio multicentrico è descritta l’esperienza di 16 diverse unità di Chirurgia Vascolare italiane a volume medio-alto nella gestione degli IFAP in tossicodipendenti nel periodo 2010-2023 con la casistica italiana più ampia presente in letteratura.
Lo scopo è quello di riferire gli esiti della riparazione sia a cielo aperto che endovascolare con i dati del registro italiano “IN-FEMS” (INfected Femoral artery psEudoaneurysMs in drug abuser) e fornire una panoramica completa dei risultati.
In letteratura sono riportate diverse opzioni di trattamento sia chirurgico tradizionale che endovascolare.
L’escissione e lo sbrigliamento con legatura dell’arteria coinvolta senza rivascolarizzazione sono riportati come un’opzione praticabile; tuttavia, la successiva possibile ischemia degli arti ha un’incidenza compresa tra il 20% e l’80%.
La ricostruzione arteriosa con ripristino del flusso ematico dovrebbe quindi rappresentare l’opzione auspicabile nella gestione degli IFAP, soprattutto se si considera la giovane età dei pazienti.
La ricostruzione arteriosa può essere ottenuta mediante innesto autogeno o sintetico localizzato in situ o extra-anatomico, a seconda dell’entità della lesione arteriosa e dell’estensione della contaminazione.
Gli innesti vascolari biologici come la vena grande safena (VGS) rimangono ancora una grande risorsa dato che mostrano i migliori risultati in termini di resistenza alle infezioni e pervietà nel tempo.
Tuttavia, la vena grande safena spesso non è disponibile perché danneggiata dalle frequenti iniezioni di sostanze stupefacenti, o perché già utilizzata per precedenti ricostruzioni arteriose chirurgiche; in alcuni casi essa risulta anche non prelevabile per la concomitante presenza di una trombosi venosa profonda (TVP).
L’indisponibiltà della VGS può rappresentare uno scenario in cui può essere evocato l’uso di innesti protesici per la ricostruzione arteriosa immediata o ritardata. Tuttavia questi innesti sono stati associati ad un elevato rischio di reinfezione anche se inseriti in percorsi extra-anatomici.
Ciò è stato riscontrato anche nella nostra casistica in cui 16 pazienti (84.2% della coorte) non avevano una VGS utilizzabile. In 4 casi è stato utilizzato un innesto in PTFE o Dacron Synergy e la reinfezione si è verificata in 2 di questi pazienti (uno per ciascun tipo di innesto); ciò, ovviamente, ha comportato altrettanti reinterventi.
Alcuni autori riportano l’uso con successo delle vene femorali o poplitee od anche lo xenotrapianto con materiale biologico (pericardio bovino, Omniflow II). In alternativa, l’allotrapianto con homograft arterioso resta un’opportunità, anche se non sempre percorribile dato il regime di emergenza/urgenza in cui questi interventi vengono di solito eseguiti.
Tra le alternative alla VGS, quindi, gli homograft sembrano una scelta consigliabile per la ricostruzione arteriosa nelle aree infette, nonostante esistano ancora molte preoccupazioni sul loro utilizzo, per i risultati a lungo termine controversi.
Nonostante il miglioramento della qualità dell’allotrapianto crioconservato, sono stati riportati casi di resistenza non completa alle infezioni e sono ancora descritti casi di degenerazione e/o occlusione aneurismatica a lungo termine; e questa evenienza non è da sottovalutare soprattutto se impiegati in pazienti giovani.
Nella nostra casistica sono stati utilizzati homograft di vene crioconservate rinforzate con rete metallica (mb-CSV) in 6 pazienti (31.6 % della coorte), di cui 4 sono stati sottoposti a ricostruzione con bypass iliaco-femorale a decorso laterale extra-anatomico, 1 è stato sottoposto a bypass transotturatorio ed 1 a bypass femorale comune-femorale superficiale.
L’innesto crioconservato di solito viene rinforzato posizionando una rete metallica perivascolare (Biocompound shunt) in modo da rinforzare considerevolmente la parete dell’homograft al fine di prevenirne la degenerazione e la dilatazione a lungo termine.
Questa tecnica permette di fornire all’innesto una maggiore consistenza su base metallica, rendendolo adatto al decorso extra-anatomico dove potrebbero verificarsi fenomeni compressivi talvolta imprevedibili.
Nei pazienti tratttati con mb-CSV non è stata rilevata alcuna degenerazione aneurismatica e non si è verificata alcuna reinfezione.
L’mb-CSV mantiene un’attività antibatterica intrinseca nei confronti dei comuni batteri Gram positivi (Staphylococcus aureus ATCC Enterococcus faecalis) e Gram negativi (Pseudomonas aeruginosa), che si è dimostrata paragonabile a quella della VGS.
In letteratura sono presenti diversi studi che indicano anche il trattamento endovascolare con stent coperto come metodo sicuro con risultati promettenti nel trattamento degli IFAP.
Tuttavia, permangono non pochi limiti legati al fatto che si tratta per lo più di studi monocentrici che richiedono conferma da studi più ampi e con casistiche esigue.
Il trattamento riparativo di tipo endovascolare, in particolare, ha dimostrato efficacia nelle condizioni di emergenza ovvero rottura dello pseudoaneurisma con emorragia attiva ed instabilità emodinamica, consentendo l’immediata ripresa clinica del paziente.
L’uso di dispositivi endoluminali per ottenere il controllo dell’emorragia rappresenta un utile complemento al trattamento tradizionale, ma comporta un rischio non trascurabile di infezione dello stent, che richiede l’escissione ritardata con o senza ricostruzione arteriosa.
Pertanto la riparazione endovascolare può essere considerata come un trattamento “bridge” verso interventi chirurgici definitivi, una volta che le condizioni del paziente si siano stabilizzate e l’infezione controllata.
Anche nel nostro studio i tassi di reintervento sono stati significativamente più alti per il gruppo di riparazione endovascolare (72.7% contro 35.9%, p=0.0447) e nella maggior parte dei casi sono stati causati da infezione (n=4, 36.4%).
Molte sono le limitazioni di questo studio: è retrospettivo, il numero di pazienti incluso è ancora troppo basso, e il periodo di osservazione è piuttosto breve.
Tuttavia, sulla base dei risultati ottenuti, si può concludere che la gestione chirurgica tradizionale negli IFAP mostra ottimi risultati e la soluzione endovascolare è da considerarsi solo come trattamento bridge in condizioni di emergenza.
Tra le tecniche chirurgiche disponibili la rivascolarizzazione è da preferire alla legatura dell’arteria, considerando che la VGS si conferma come materiale di scelta per il ripristino del flusso sanguigno.
Nei casi in cui la vena safena non sia disponibile, le vene crioconservate con rete metallica hanno mostrato un potenziale beneficio al fine di poter essere considerate un’ottima alternativa.
Le lesioni arteriose sono le più gravi, ed il chirurgo vascolare viene sempre più spesso consultato per il riscontro di pseudoaneurismi arteriosi, la cui sede più frequente è quella femorale.
Gli pseudoaneurismi femorali infetti (IFAP) rappresentano un’emergenza chirurgica impegnativa che, se non trattata, può evolvere in complicazioni potenzialmente letali come la rottura con shock emorragico, sepsi ed ischemia degli arti.
La gestione ottimale degli IFAP è ancora oggi oggetto di discussione, ed in particolare, la tecnica di ricostruzione ed il tipo di materiale da utilizzare.
In questo studio multicentrico è descritta l’esperienza di 16 diverse unità di Chirurgia Vascolare italiane a volume medio-alto nella gestione degli IFAP in tossicodipendenti nel periodo 2010-2023 con la casistica italiana più ampia presente in letteratura.
Lo scopo è quello di riferire gli esiti della riparazione sia a cielo aperto che endovascolare con i dati del registro italiano “IN-FEMS” (INfected Femoral artery psEudoaneurysMs in drug abuser) e fornire una panoramica completa dei risultati.
In letteratura sono riportate diverse opzioni di trattamento sia chirurgico tradizionale che endovascolare.
L’escissione e lo sbrigliamento con legatura dell’arteria coinvolta senza rivascolarizzazione sono riportati come un’opzione praticabile; tuttavia, la successiva possibile ischemia degli arti ha un’incidenza compresa tra il 20% e l’80%.
La ricostruzione arteriosa con ripristino del flusso ematico dovrebbe quindi rappresentare l’opzione auspicabile nella gestione degli IFAP, soprattutto se si considera la giovane età dei pazienti.
La ricostruzione arteriosa può essere ottenuta mediante innesto autogeno o sintetico localizzato in situ o extra-anatomico, a seconda dell’entità della lesione arteriosa e dell’estensione della contaminazione.
Gli innesti vascolari biologici come la vena grande safena (VGS) rimangono ancora una grande risorsa dato che mostrano i migliori risultati in termini di resistenza alle infezioni e pervietà nel tempo.
Tuttavia, la vena grande safena spesso non è disponibile perché danneggiata dalle frequenti iniezioni di sostanze stupefacenti, o perché già utilizzata per precedenti ricostruzioni arteriose chirurgiche; in alcuni casi essa risulta anche non prelevabile per la concomitante presenza di una trombosi venosa profonda (TVP).
L’indisponibiltà della VGS può rappresentare uno scenario in cui può essere evocato l’uso di innesti protesici per la ricostruzione arteriosa immediata o ritardata. Tuttavia questi innesti sono stati associati ad un elevato rischio di reinfezione anche se inseriti in percorsi extra-anatomici.
Ciò è stato riscontrato anche nella nostra casistica in cui 16 pazienti (84.2% della coorte) non avevano una VGS utilizzabile. In 4 casi è stato utilizzato un innesto in PTFE o Dacron Synergy e la reinfezione si è verificata in 2 di questi pazienti (uno per ciascun tipo di innesto); ciò, ovviamente, ha comportato altrettanti reinterventi.
Alcuni autori riportano l’uso con successo delle vene femorali o poplitee od anche lo xenotrapianto con materiale biologico (pericardio bovino, Omniflow II). In alternativa, l’allotrapianto con homograft arterioso resta un’opportunità, anche se non sempre percorribile dato il regime di emergenza/urgenza in cui questi interventi vengono di solito eseguiti.
Tra le alternative alla VGS, quindi, gli homograft sembrano una scelta consigliabile per la ricostruzione arteriosa nelle aree infette, nonostante esistano ancora molte preoccupazioni sul loro utilizzo, per i risultati a lungo termine controversi.
Nonostante il miglioramento della qualità dell’allotrapianto crioconservato, sono stati riportati casi di resistenza non completa alle infezioni e sono ancora descritti casi di degenerazione e/o occlusione aneurismatica a lungo termine; e questa evenienza non è da sottovalutare soprattutto se impiegati in pazienti giovani.
Nella nostra casistica sono stati utilizzati homograft di vene crioconservate rinforzate con rete metallica (mb-CSV) in 6 pazienti (31.6 % della coorte), di cui 4 sono stati sottoposti a ricostruzione con bypass iliaco-femorale a decorso laterale extra-anatomico, 1 è stato sottoposto a bypass transotturatorio ed 1 a bypass femorale comune-femorale superficiale.
L’innesto crioconservato di solito viene rinforzato posizionando una rete metallica perivascolare (Biocompound shunt) in modo da rinforzare considerevolmente la parete dell’homograft al fine di prevenirne la degenerazione e la dilatazione a lungo termine.
Questa tecnica permette di fornire all’innesto una maggiore consistenza su base metallica, rendendolo adatto al decorso extra-anatomico dove potrebbero verificarsi fenomeni compressivi talvolta imprevedibili.
Nei pazienti tratttati con mb-CSV non è stata rilevata alcuna degenerazione aneurismatica e non si è verificata alcuna reinfezione.
L’mb-CSV mantiene un’attività antibatterica intrinseca nei confronti dei comuni batteri Gram positivi (Staphylococcus aureus ATCC Enterococcus faecalis) e Gram negativi (Pseudomonas aeruginosa), che si è dimostrata paragonabile a quella della VGS.
In letteratura sono presenti diversi studi che indicano anche il trattamento endovascolare con stent coperto come metodo sicuro con risultati promettenti nel trattamento degli IFAP.
Tuttavia, permangono non pochi limiti legati al fatto che si tratta per lo più di studi monocentrici che richiedono conferma da studi più ampi e con casistiche esigue.
Il trattamento riparativo di tipo endovascolare, in particolare, ha dimostrato efficacia nelle condizioni di emergenza ovvero rottura dello pseudoaneurisma con emorragia attiva ed instabilità emodinamica, consentendo l’immediata ripresa clinica del paziente.
L’uso di dispositivi endoluminali per ottenere il controllo dell’emorragia rappresenta un utile complemento al trattamento tradizionale, ma comporta un rischio non trascurabile di infezione dello stent, che richiede l’escissione ritardata con o senza ricostruzione arteriosa.
Pertanto la riparazione endovascolare può essere considerata come un trattamento “bridge” verso interventi chirurgici definitivi, una volta che le condizioni del paziente si siano stabilizzate e l’infezione controllata.
Anche nel nostro studio i tassi di reintervento sono stati significativamente più alti per il gruppo di riparazione endovascolare (72.7% contro 35.9%, p=0.0447) e nella maggior parte dei casi sono stati causati da infezione (n=4, 36.4%).
Molte sono le limitazioni di questo studio: è retrospettivo, il numero di pazienti incluso è ancora troppo basso, e il periodo di osservazione è piuttosto breve.
Tuttavia, sulla base dei risultati ottenuti, si può concludere che la gestione chirurgica tradizionale negli IFAP mostra ottimi risultati e la soluzione endovascolare è da considerarsi solo come trattamento bridge in condizioni di emergenza.
Tra le tecniche chirurgiche disponibili la rivascolarizzazione è da preferire alla legatura dell’arteria, considerando che la VGS si conferma come materiale di scelta per il ripristino del flusso sanguigno.
Nei casi in cui la vena safena non sia disponibile, le vene crioconservate con rete metallica hanno mostrato un potenziale beneficio al fine di poter essere considerate un’ottima alternativa.
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