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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-01202013-135352


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
PAPI, VERONICA
URN
etd-01202013-135352
Titolo
Le maître et le disciple dans le roman d'apprentissage.
Dipartimento
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Corso di studi
LETTERATURE E FILOLOGIE EUROPEE
Relatori
relatore Goruppi, Tiziana
correlatore Brugnolo, Stefano
Parole chiave
  • formazione.
  • apprentissage
  • disciple
  • maître
Data inizio appello
11/02/2013
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
11/02/2053
Riassunto
Il roman d'apprentissage si sviluppa in un arco di tempo molto esteso che va dai primi del '700 fino alla fine dell'ottocento. Normalmente siamo soliti identificare questo genere, più comunemente conosciuto come romanzo di formazione, con quel corpus di romanzi, di epoca ottocentesca, che narrano le vicessitudini di giovani che si trovano a fare il proprio ingresso in società. Archetipo per eccellenza del genere, Gli anni di apprendistato di Wilhem Meister, di Goethe, pubblicato nel 1796; da qui parte la costruzione del modello Bildungroman, dal termine bildung tedesco che identifica l'operazione mediante la quale si conferisce una forma a ciò che prima non la possedeva. Con questo non si intende affermare che prima di Goethe la Germania e la letteratura tedesca fossero sprovvisti di storie che trattavano di un giovane che poco a poco si libera della propria immaturità o illusioni, ricordiamo infatti l'Agathon di Wieland (1766-1795), Anton Reiser di Moriz (1785-1790). Goethe narra le vicende del Meister in tre fasi distinte: La missione teatrale (1777-1785), Anni di apprendistato, Gli anni del viaggio di Wilhem Meister (1821-1829).
Se per definire i parametri del romanzo di apprentissage ci basassimo su quelli fornitici da Goethe, dovremmo postulare come necessari sia il conclusivo raggiungimento di un equilibrio interiore, sia e soprattutto il suo successo di inserimento armonioso e fecondo nelle varie sfere della società. La bildung è quindi una ri-costruzione della totalità. Se decidessimo di assumere questi parametri come paradigma di costanti, nessuno dei romanzi giudicati importanti per la cultura francese, che si collocano tra '600 e '900, potrebbe essere considerato adeguato alla classificazione di roman d'apprentissage. I grandi capolavori narrativi dell'Ottocento,- Le rouge et le noir, La chartreuse de Parme, Père Goriot, Les illusions perdues, L'éducation sentimentale, Mme Bovary, Bel-Ami e così via- che sboccano quasi sempre in un fallimento, non potrebbero essere considerati nel corpus.
Evidentemente dobbiamo allargare il concetto di Bildung, o, come ho deciso di fare io stessa, lasciarlo da parte. Il fatto che per anni si sia parlato di Goethe come padre fondatore del romanzo di formazione, è a mio avviso estremamente obsoleto e germanocentrico. Un apprendistato, una formazione, un apprentissage non è necessariamente una ascesa verso il meglio, verso il compimento di una maturità positiva e del successo. Le formazioni più emblematiche della narrativa francese ottocentesca, ma prima ancora settecentesca, si concludono quasi sempre nel peggiore dei modi; condanna a morte, suicidio, reclusione spontanea, rimbambimento precoce e simili sono le costanti. Le cause di questi disastri variano a seconda del caso, non possiamo quindi generalizzare; talvolta l'eroe soccombe e cade perché è troppo grande per la società in cui è inserito, altre volte al superiore idealismo del protagonista e alla malvagità della società si aggiungono anche ingenuità, narcisismo, debolezza, oppure l'inettitudine e la scarsa maturità. Superiori o inferiori, buoni o cattivi, maturi o immaturi, uomini o donne che siano, i protagonisti che andremo ad analizzare sono sempre accompagnati da una figura che ha lo scopo di condurli per mano nella società, di iniziarli alla formazione. Il maître potrà essere un libertino, un amico, una donna, un mentore, ma anche un'entità molto più astratta, come vedremo in particolare nei romanzi ottocenteschi dove Parigi sarà la vera maître per i giovani che intendano farne parte. Senza anticipare troppo, rischiando di creare malintesi o errori di lettura, analizzeremo il rapporto che sussiste tra il maître e il disciple come paradigma che attraversa e copre trasversalmente il campo della nostra ricerca. Non daremo particolare rilievo all'autore come persona, ma piuttosto al narratore, lasciando che il testo, o meglio il legame che sussiste tra i vari testi, faccia da padrone nella disamina. Mi rifarò ai criteri postulati da Francesco Orlando in "Dodici regole per la costruzione di un paradigma testuale" dove, sotto un titolo ironico circa il carattere arbitrario del numerale, egli ha tracciato a posteriori, una riflessione sui procedimenti di interpretazione. Orlando distingue tra due concezioni diverse tra loro dell'interpretare: una che consiste nell'operare delle sostituzioni -«uno o più elementi extratestuali vengono incaricati di motivare unilateralmente uno o più elementi testuali.», l'altra che vede invece l'operazione dell'interpretare come un collegamento di «due elementi entrambi testuali -o più di due-, [che] vengono messi in un rapporto secondo cui si motivano bilateralmente -o plurilateralmente.».
Il nostro paradigma testuale -dove per paradigma si intende «ciò che si estrae (o che si astrae) da un testo letterario»- sarà il rapporto maître-disciple, analizzato lungo l'arco di tempo che va dagli inizi del 1700 alla fine del 1800. Il termine a quo coincide con Les égarements du coeur et de l'esprit, di Crébillon fils, mentre il termine ad quem sarà Bel-Ami di Maupassant.
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