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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-01122020-131636


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
CAVALLO, CHIARA
URN
etd-01122020-131636
Titolo
La tutela degli interessi finanziari dell'Unione e l'istituzione della Procura europea.
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Marinai, Simone
Parole chiave
  • Procura europea
  • Interessi finanziari
  • Unione europea
  • Eppo
  • Public Prosecutor's Office
Data inizio appello
04/02/2020
Consultabilità
Tesi non consultabile
Riassunto
Dopo più di un ventennio dalla sua comparsa sulla scena del dibattito scientifico, il 12 ottobre 2017 il Consiglio dell’Unione ha finalmente adottato, attraverso una procedura di cooperazione rafforzata che vede la partecipazione di 20 Stati membri,il regolamento sull’istituzione di una Procura europea (EPPO),regolamento 2017/1939/UE. L’EPPO avrà sede in Lussemburgo e sarà, almeno per il momento, competente ad indagare e perseguire, dinanzi alle giurisdizioni nazionali degli Stati partecipanti, gli autori di reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione. Il regolamento, art. 120, è entrato in vigore 20 giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione- consentendo di dare avvio alle attività propedeutiche alla sua entrata in funzione, a cominciare dalla selezione del procuratore capo e dei procuratori europei - ma il concreto avvio delle indagini e delle azioni penali avverrà a non meno di tre anni di distanza, attraverso una separata decisione della Commissione su proposta del procuratore capo europeo e solo dopo l’avvenuta adozione del regolamento interno e degli altri atti di normazione secondaria quali le “direttive” cui è rimessa la disciplina di numerose scelte inerenti l’esercizio stesso dell’azione penale. Tutto questo induce a collocare intorno al 2021 il momento in cui potremo assistere all’avvio delle prime indagini direttamente condotte dalla procura. Con la sua nascita si assiste finalmente alla creazione di un organismo giudiziario inquirente a vocazione realmente sovranazionale che costituisce un “unicum” a livello mondiale. Si tratta inoltre di una novità di estrema rilevanza anche all’interno dell’odierno panorama delle attività legislative dell’Unione in materia di cooperazione giudiziaria penale, concentrato sull’attuazione dei numerosi strumenti adottati prima e dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ed al tempo stesso tramortito dalla quasi esclusiva attenzione rivolta dal livello politico agli aspetti della cooperazione di intelligence e di law enforcment od al contrasto del traffico di migranti. Eppure il nuovo regolamento si porta dietro una serie di dubbi ed interrogativi. Innanzitutto, le resistenze a cedere la sovranità nazionale in campo giudiziario hanno fatto sì che il regolamento non registrasse, in seno al Consiglio, l’unanimità (richiesta dall’art. 86 TFUE) a sostegno della proposta. Il ricorso a tale meccanismo non ha di certo risolto gli ambiziosi problemi a cui si voleva porre rimedio attraverso l'istituzione della Procura europea, non essendo in garantisce né l'uniforme applicazione del diritto dell'Unione europea e né l'efficace ed equivalente protezione degli interessi finanziari dell'Unione . Ed è stato necessario procedere ad un vero e proprio “annacquamento” dei compiti e delle modalità di azione originariamente affidati all’organo. Questo ha portato ad abbandonare l’idea di un “Ufficio europeo” con il potere di indagare su tutto il territorio dell’Unione e di esercitare l’azione penale davanti al Tribunale di una giurisdizione nazionale prescelta, finendo per sostenere un meno invasivo “collegio” di pubblici ministeri designati dai governi nazionali, preposto al solo coordinamento delle attività di indagine e di accusa condotte nei e dai singoli Stati membri. Va rammentato altresì che il governo italiano si era opposto a questa oggettiva rivisitazione del progetto originario. Tant’è che quando in mancanza delle condizioni per un’approvazione unanime, sedici Paesi hanno deciso di dare vita alla nuova Procura europea, sfruttando il meccanismo delle c.d. cooperazioni rafforzate, l’Italia aveva scelto di non partecipare. Solo all’indomani di un incontro con Francia e Germania, il rifiuto del Governo italiano è stato superato e ad oggi sono venti gli Stati che parteciperanno alla Procura europea , con l'auspicio che in futuro altri Stati aderiscano alla cooperazione rafforzata e che le competenze dell'EPPO vengano estese ad altri reati gravi, diversi dalla tutela degli interessi finanziari comunitari. Tuttavia, proprio con specifico riferimento all’opportunità di limitare l’azione di un organo tanto potente alla tutela del solo bilancio dell’Unione, già all’indomani della presentazione della proposta della Commissione, da più parti era stato evidenziato come vi fossero anche altri delicatissimi settori che giustificherebbero un’azione investigativa centralizzata. Basterebbe pensare, a titolo meramente esemplificativo, al terrorismo, alla tratta degli esseri umani, la criminalità informatica, alla pedopornografia digitale, ovvero a tutti quei reati che, avendo una dimensione transfrontaliera, difficili da contrastare con un’azione repressiva esclusivamente nazionale, richiedono una lotta comune ed uguale in tutti gli Stati membri. Era, pertanto, preferibile che la competenza della Procura europea fosse stata estesa “alla lotta contro la criminalità grave che presenta una dimensione transnazionale”, così come previsto dall’art. 86, par. 4, TFUE. Nondimeno, l’ostacolo all’estensione della competenza ratione materiae è insito nel dettato dell’art. 86 TFUE, che richiede necessariamente una decisione unanime del Consiglio per ampliare le attribuzioni della Procura europea alla “lotta contro la criminalità grave che presenta una dimensione transnazionale”. Vale a dire che manca, per quest’ipotesi di estensione di competenza, un’esplicita alternativa all’unanimità in termini di cooperazione rafforzata fra alcuni Stati membri. Invero, la previsione dell’unanimità fa sorgere taluni dubbi, in quanto avendo imboccato la strada della cooperazione rafforzata, non ha senso ritenere che gli Stati non partecipanti possano ostacolare l’ampliamento delle attribuzioni della Procura europea alla cui istituzione hanno scelto di non aderire. Non solo. Alla luce delle criticità emerse nel contrasto dei fenomeni criminosi lesivi degli interessi finanziari dell’UE, l’istituzione della Procura europea mira a realizzare plurimi obiettivi: in primis, quello di introdurre un sistema europeo coerente di indagine e azione penale per i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, offrendo un contributo concreto a rafforzare la tutela di tali interessi e lo sviluppo dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia e ad accrescere la fiducia delle imprese e dei cittadini dell’Unione nelle sue istituzioni, nel rispetto dei diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Il che mi consente di riallacciarmi ad un altro aspetto critico, vale a dire la mancanza, all’interno del regolamento, di una normativa di diritto sostanziale, infatti come è noto, l'art.22 del regolamento nell'individuare la competenza materiale della Procura europea rinvia alla direttiva n.1371 del 2017 , senza, però, assicurare una repressione equivalente in tutti gli Stati membri dei reati lesivi degli interessi finanziari comunitari. La Direttiva PIF, infatti, si limita a dettare soltanto norme minime; anche con riferimento alle sanzioni applicabili alle persone fisiche, di cui all'art.7, prevede che gli Stati membri devono assicurare che i reati da essa indicati siano puniti con sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive oltreché con una pena massima che preveda la reclusione, lasciando gli Stati membri, in concreto, liberi di stabilire la sanzione effettivamente applicabile a tali reati, con la conseguenza che in ogni Stato lo stesso reato sarà punito con pene detentive diverse. Per questi motivi sarebbe stato opportuno che il regolamento contenesse una normativa di diritto sostanziale che stabilisse quali fossero i reati di competenza della Procura europea e le rispettive sanzioni, in modo tale da avere una disciplina uniforme in tutti gli Stati membri. Tale direttiva include, fra l’altro, le frodi all’IVA, ed in tal caso la Procura europea sarà competente soltanto qualora esse siano connesse al territorio di due o più Stati membri e comportino un danno complessivo pari ad almeno 10 milioni di euro, nonché quelle di partecipazione ad un’organizzazione criminale (di cui alla decisione quadro 2008/841/GAI), quando l’attività dell’organizzazione criminale sia incentrata sulla commissione dei reati PIF. Anche questa previsione ha suscitato perplessità in quanto secondo la Commissione ed il Parlamento europeo la soglia prevista è troppo alta. Persino la norma riferita al diritto penale sostanziale non detta un corpo di norme omogeneo comune a tutti gli Stati membri, prevedendo piuttosto una costante interazione tra le norme contenute nel regolamento e le norme nazionali con la conseguenza che anche in questo caso avremmo delle differenze tra gli Stati membri. Particolari questioni applicative potrebbero sorgere quando, nella repressione di reati transfrontalieri, le misure investigative devono essere eseguite in uno Stato membro diverso da quello in cui l’indagine è stata avviata e non partecipante alla cooperazione rafforzata. In tali circostanze, il PED titolare delle indagini e che ha disposto il loro avvio non potrebbe fare affidamento sulla collaborazione del suo omologo dello Stato in cui deve essere eseguita la misura investigativa, proprio perché mancante. Con la conseguenza che la prova potrà essere ottenuta facendo ricorso alle modalità già vigenti, quali gli strumenti di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie di un altro Stato membro, l’attività di coordinamento delle indagini penali svolta a livello sovranazionale da Eurojust, o, da ultimo, la presentazione di rogatorie nei vari Stati interessati. Sarebbe, dunque, necessario contemplare tali situazioni negli accordi tra l’EPPO e gli Stati non partecipanti alla cooperazione rafforzata. Non può non essere menzionata, ancora, la questione relativa al valore da attribuire al principio del giudice naturale in tutti i casi in cui siano coinvolti Stati membri partecipanti e non, quando i criteri di individuazione della giurisdizione radicherebbero la competenza giurisdizionale di uno Stato non partecipante. In simili casi, la Procura europea, in ossequio alle disposizioni del regolamento, non potrebbe esercitare l’azione penale dinanzi alle autorità giudiziarie di tale Paese né potrebbe decidere di farlo altrove, pena la violazione del principio del giudice naturale di cui all’art. 6 par. 1 della Convenzione sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo. Altresì, oltre all’inefficacia dell’azione repressiva, di fronte a casi trattati da Stati membri non partecipanti e azioni esercitate dalla Procura europea, potrebbe configurarsi la violazione, nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, del principio di uguaglianza davanti alla legge, che richiede che casi uguali siano trattati con procedure uguali. Infatti, fattispecie criminose perseguibili dall’EPPO, se poste in essere negli Stati in o dai cittadini di tali Stati, potrebbero restare impunite se commesse negli Stati out. Si sottolinea, pertanto, ancora una volta, la necessità che simili ipotesi trovino puntualmente regolamentazione negli accordi tra gli Stati out e la Procura europea. La Commissione aveva annunciato che nel 2018 le disposizioni del regolamento in esame sarebbero state accompagnate da nuove misure, in parallelo con una radicale revisione dello statuto dell’OLAF, per adeguare l’Ufficio alla nuova realtà e con l’adozione di una comunicazione “in prospettiva 2025”, in occasione della quale sarà affrontato il tema di una possibile estensione della competenza dell’EPPO anche ai reati di terrorismo. Il nuovo organo, frutto di un vero e proprio compromesso, con tanti limiti e numerosi difetti, rappresenta dunque un punto di partenza, non certo di arrivo, verso risultati più ambiziosi. Invero, come già notato, la tutela penale degli interessi finanziari dell’Unione non può più essere affidata alle sole “risorse” sanzionatorie degli Stati membri anche perché come sottolineato dalla Commissione europea nella Relazione sulla proposta di Direttiva PIF del 2012, l’attuazione degli strumenti PIF negli Stati membri ha dato risultati assolutamente insoddisfacenti, in specie sotto il profilo dell’armonizzazione e prassi sanzionatoria; sicché sarebbe necessario, in una cornice di contestualità temporale, l’ “equivalenza” della tutela penale mediante norme incriminatrici comuni e sanzioni omogenee, come richiesto dall’art. 325 TFUE; equivalenza essenziale, anche e soprattutto, per un corretto ed “efficace” funzionamento della Procura europea.
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